(…) Non vorrei essere frainteso.
l’errore non è la scienza in sé (…)
Nello
Se gli scienziati di cento anni fa dovessero dimostrare e provare, oggi, il loro sapere, prenderebbero coscienza che è diventato
archeologia scientifica,
in quanto superato dalle acquisizioni scientifiche attuali.
Molti esseri umani
sembrano accettare in modo acritico le asserzioni scientifiche,
perché, di solito, ritengono che lo scienziato sia, quasi per definizione, autorevole, fino a scambiare per presunta esatta realtà quella che è un
momentaneo stato di conoscenza
un processo di olos-direzionalità, di visione olistico-autopoietica,
per inconsapevolezza non applicato dallo scienziato riduzionista.
Non c’è niente di più incompleto di auto-consapevolezze che auto-ritenendosi sperimentate e condivise, si identificano e fissano in loro stesse (in riferimento all’olos-direzionalità indicata). Spiego attraverso un esempio.
L’ENIAC è uno dei primi computer costruiti al mondo. Fu posizionato su una superficie di circa centocinquanta metri quadrati e pesava decine di tonnellate! I loro costruttori dichiararono che poteva addirittura compiere migliaia di addizioni al secondo. Entusiasta di tale costruzione, Paul Bellac dichiarò
“In nessun caso si riuscirà a costruire
computers migliori di questo”
Se adesso vedo e uso il mio smartphone, non posso far altro che sorridere sereno a tale affermazione scientifica!
Ed ancora.
Dichiarazione di Bergier:
Non si potranno mai sviluppare macchine traduttrici
perché necessiterebbero di memorie gigantesche
adesso osservo un già ampiamente superato DVD e sono consapevole che potrebbe contenere decine di “macchine traduttrici”;
Lord Kelvin disse a Conrad Rontgen, l’inventore dei raggi x:
Si tratta di un abile trucco!
Fourier quando presentò la sua analisi (analisi di Fourier) dovette subire l’incredibile opposizione di luminari di quel periodo, quali Simon De Laplace, Biot, Poisson, Lagrange ed altri.
Voglio comunicare che è necessario prestare attenzione: taluni ricercatori scientifici e non
proiettano la scienza
come una storia di accumulo di successi
e le ammissioni riguardo al proprio stato di incompletezza, sul piano della consapevolezza, vengono
scientificamente rimosse, represse, ignorate.
Una formazione coscienziale a se stessi, se degna di questo nome, affronta fin dalle prime sensibilizzazioni, vissute, il
processo dell’auto-mistificazione.
Si procede cioè a porre in remissione lo stato identificativo in stati di auto-consapevolezza che necessariamente dovranno essere superati.
Il fatto che la comunità scientifica internazionale sostenga una scoperta non significa altro che anche quel processo,
dopo aver creato ciò che sa creare,
sarà successivamente superato da altri.
L’atteggiamento da trascendere è quello
dell’identificazione e fissazione nei raggiungimenti conoscitivi del momento,
attraverso cui analizzare tutto,
trascurando situazioni o fatti esistenziali che non ricadono nel
range scelto dalla scienza
presunta d’avanguardia del momento.
Basti pensare alle pratiche meditative millenarie, alle pratiche inerenti le Tradizioni di tutto il mondo: milioni di esseri umani si sono impegnati nella pratica meditativa, utilizzando la coscienza esattamente come fa lo scienziato. Molti raggiungono stati estesi di coscienza che, anche al momento,
sono ignoti al sistema meramente scientifico.
Infatti, questo
ha bisogno di strumenti per misurare,
per ricondurre quanto sta studiando a numero, a matematica.
Allo stato, non risultano essere stati inventati Nirvanometri, quindi non si può misurare il Nirvana; non esiste un Samadhometro per misurare il Samadhy. Anche se ci riferiamo ad elementi più semplici e quotidiani, possiamo affermare di non disporre di un bellometro, per misurare la bellezza o di un ragionometro per misurare la ragione; ugualmente, non c’è un coscienziometro per ridurre a numero e a misura la coscienza, come non esiste neanche il concettualizzatometro, per misurare la capacità di concettualizzare. Voglio comunicare che,
per produrre scienza, si deve necessariamente utilizzare la coscienza,
l’Io-psyché, strumento che, a volte, è meno conosciuto,
meno misurato scientificamente,
in quanto ancora manca un’adeguata tecnologia.
Per questi motivi, la tendenza ad essere aperti olistico-autopoieticamente, l’assunzione del loro Io-psyché a formarsi a se stesso, attraverso il vissuto diretto,
a percepire la percezione o ogni stato coscienziale, percepire la fisiologia localistica e non localistica che forma ogni stato coscienziale,
dovrebbe essere la base di ogni applicazione e ricerca scientifica, in quanto è esattamente quello il mezzo che si utilizza per produrre scienza, per creare modelli. Si potrebbe, così, entrare in un’attitudine di ricerca, maggiormente olistica e maggiormente remunerativa, anche per la ricerca all’interno dei parametri dati. Invece, spesso assistiamo a stati identificativi auto-referenziali, soltanto sensorio-percettivi che, di fatto,
gli impediscono di riprodurre computazionalmente la coscienza:
come si potrebbe farlo se non si vivesse che questa ha estensioni non localistiche?
Da che cosa si evincerebbe? Da migliaia e migliaia di anni di pratica meditativa e dai risultati che la stessa pratica ha prodotto in chi l’ha realmente sperimentata. Invece, all’opposto, ci si può trovare come colui che disquisisce, specula noeticamente sul movimento corporeo rispetto a quello che lo pratica centinaia di volte, applicando specifiche tecnologie, per percepirne da dentro il vissuto, i segreti.
Sarebbe facile dimostrare con quanta rapidità tendenze scientifiche possono disintegrarsi e mutare radicalmente.
Non vorrei essere frainteso.
L’errore non é la scienza in sé,
che è uno dei tanti strumenti disponibili inventati dalla coscienza, ma
la prevalente mancanza di formazione vissuta integrale a se stesso dell’Io-psyché del ricercatore scientifico e di altre discipline.
Noi sappiamo che chiunque assuma tale arroganza è irrilevante, ma, di fatto, se si continua a pensare che i propri fatti sono dimostrati in modo definitivo, si diventa ostacolatori alla presa di consapevolezza di sé.
Stiamo lavorando, perché non accada quanto segnalato da Peter Fisher (storico della scienza):
La fine della fisica è già stata preannunciata più volte,
e la previsione sbagliata forse più nota in questo contesto
è quella di un docente di Max Plank che,
verso la fine dell’Ottocento
(auto-mistificandosi)
sconsigliò al suo studente più famoso di studiare fisica,
poiché in questa scienza rimanevano solo
pochi problemi che ancora non si inquadravano nella teoria,
ma che sarebbero stati ben presto risolti
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