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SUICIDIO ED EUTANASIA CONOSCITIVA

L’Io-psyché proietta, con continuità,
 tanatofobia e paura intensa della sofferenza,
 e responsabilità esistenziali
che soltanto a se stesso possono appartenere.

Il termine suicidio deriva dal latino sui cadere e significa uccidere se stessi. È l’azione che l’Io psyché esprime e attraverso cui, per motivi ostacolanti e discrasici, auto-determina il proprio punto morte al tempo voluto.

Il termine eutanasia deriva dal greco euthanatos, eu significa bene, buono, thanatos significa morte, buona morte: è l’azione esprimibile dall’Io-psyché attraverso cui al tempo voluto,

per motivi di auto-consapevolezza vissuta, auto-determina

la buona, tranquilla e serena morte,

accettata come naturale transmutazione del modo di

manifestarsi della vita-autopoiesi nel corpo fisico.

Ci sono molte motivazioni che possono determinare di assumere

  • l’azione del suicidio

o

  • l’azione dell’eutanasia.

Anche se i due termini evidenziano delle similitudini, nelle due azioni, si riconoscono specifiche differenze:

  • definisco suicidio discrasico, l’azione conseguente alla presenza di un ostacolatore-discrasia (patologia psico-somatica);
  • definisco eutanasia autopoietica l’azione conseguente ad un atto vissuto di conoscenza e di coscienza olistica

Indaghiamo la prima.

L’azione del suicidio discrasico

Nel suicidio, individuiamo elementi auto-aggressivi, auto-violenti che, come detto, sono espressioni di stati ostacolanti-discrasici.

La pratica del suicidio discrasico interessa molto l’Io-psyché dell’essere umano, infatti, a comprova, è stato misurato, in difetto, che nel mondo ogni anno almeno un milione di Io-psyché di esseri umani assumono di farlo. È stato calcolato, sempre in difetto, che per ogni singolo suicidio effettivamente creato ce ne sono almeno venti, per diversi motivi, non riusciti. Ciò significa che in milioni di persone non si evidenzia un’adeguata pedagogia e psicagogia funzionale a non far insorgere stati Io-somatici patologici.

Dopo più di trent’anni di pratica della Sigmasofia Io-somatica, posso affermare, con assoluta certezza, che ogni singolo ricercatore da me incontrato ha sempre evidenziato, in modo conscio o inconscio, la tanatofobia (dal greco thanatos che significa morte e phobos che significa paura), ossia, quegli esseri umani mi hanno testimoniato di sentire in loro la profonda paura di morire ed anche la profonda paura delle sofferenze fisiche che vi sono collegate. Alla domanda:

  • Al di fuori delle visioni religioso-spirituali-filosofiche che cosa è esattamente per lei la morte, nella sua esperienza quotidiana, concreta?

Più del novantacinque per cento dei ricercatori da me intervistato non ha saputo spiegare che cosa sia la morte in sé, se non con generali e generiche spiegazioni (molto comuni):

  • non posso più comunicare il mio affetto, la mia amicizia, la mia sessualità (…) all’altro;
  • non capisco proprio perché debba esistere la morte;
  • mi impedirebbe di vedere le realizzazioni di mio figlio, del mio progetto lavorativo, di vita…;
  • non voglio soffrire;
  • mi mancherebbe la contemplazione della bellezza della natura;
  • non sopporto il dolore;

(e così via).

Mai, ripeto mai, ho ricevuto un tentativo di spiegazione, di eventuali studi, fatti in merito. Tutti i ricercatori scienziati (fisici, medici, biologi…) invece, hanno fornito un’enorme quantità di informazioni utili ad evitare il punto morte, ad allontanarlo, ad evitare-curare correlati quali il dolore, sofferenze…, ma mai, ripeto mai, hanno saputo riferirmi una spiegazione su che cosa sia intrinsecamente la morte. Se non con affermazioni, sempre generali:

se c’è lei non ci siamo noi, quindi non possiamo sapere (da verbalizzazione).

Tutti gli intervistati hanno proiettato lo stesso luogo comune:

evidenziando, con diverse intensità angosce, nevrosi, paure, rispetto all’idea che si erano fatti della morte, non di quello che la morte è.

I religiosi-spiritualisti, alle domande formulate hanno risposto con dogmi come c’è vita dopo la morte, sostenendo tale affermazione con frasi del tipo rinasco in Christos, nell’aldilà vivrò in paradiso, sicuramente esiste la reincarnazione, vivrò nel mondo spirituale, e così via. Mai nessuna di queste affermazioni dogmatiche, fideistiche e devozionali ha saputo reggere l’analisi approfondita tentata durante il setting, tuttavia la prevalenza ha dato continuità alla propria fede, al proprio dogma. Ricordo il caso esemplare di un Maestro spirituale, che insegnava la reincarnazione e il karma e la bellezza della continuità di vita nell’aldilà, produrre una significativa depressione al momento della produzione del suo tumore e relative metastasi, manifestando nel contempo, la proiezione dello stato di paura profonda di morire, temendo di restare chiuso in una stanza di un ospedale francese. Spero di non essere frainteso: quello che voglio evidenziare è che, per quanto di mia conoscenza, non ho trovato nessuna spiegazione adeguata della morte in sé, ma moltissimo materiale e informazioni, su come tentare di evitarla e su come tentare di ritardarla aumentando, attraverso cure e un adeguato stile di esistenza, l’aspettativa di vita.

Il quadro è semplice: tutti i ricercatori hanno espresso la chiara intenzionalità di voler evitare il punto morte e di voler evitare suoi possibili correlati, dolore, sofferenza (…). In questo quadro e con questi significati, il suicidio non può che essere interpretato come atto auto-lesionistico, auto-aggressivo e quindi associato a stati di malessere Io-somatico, l’ostacolatore-discrasia appunto (depressioni, disturbi mentali, psicotici o altro -vedi dopo-).

Per questo motivo, gli orientamenti verso la prevenzione del suicidio sono cresciuti: l’intensità della proiezione tanatofobica ha saputo perfino creare una nosologia delle motivazioni suicidarie.

Il suicidio e la vita continua

A differenza da quanto affermato da molti esseri umani,

il suicidio non è un atto con il quale si mette fine alla vita.

Infatti, la vita è un processo che troviamo in tutto l’Universo: nasciamo e troviamo la vita in azione, moriamo e la vita prosegue. Forse quegli esseri umani volevano affermare che il suicidio pone fine alla manifestazione della vita del corpo in cui ci individuiamo, quindi non finisce la vita, ma il suo modo di esprimersi nel corpo umano del singolo che attua quella particolare scelta: al punto morte la vita continua ad evidenziarsi attraverso l’algor, il livor, il rigor, mortis e la putrefactio (del corpo) e con altri processi (Vedi La Morte studi e ricerche d’avanguardia, ed. La Caravella). Inizia ad evidenziarsi come il punto cruciale per incominciare a capire tale processo sia necessario comprendere, vivere di più che cosa sia la vita, da quali ingredienti sia formata, e che cosa determina i suoi diversi modi di esprimersi nell’Io-soma. Di fondamentale importanza è arrivare a comprendere che cosa aggrega e poi disaggrega le microparticelle-Io-psyché che ci formano e una volta disaggregate in quale modo procedono nella loro esistenza. Se la fisica quantistica inizia a dimostrare gli stati di entanglement, di non separabilità oltre che a livello quantistico anche a livello cosiddetto macroscopico, si viene a determinare una continuità di aggregazione che si esprime in un modo che stiamo iniziando a consapevolizzare. Prima di sviluppare la componente conoscitiva della morte, completiamo l’elemento ostacolante-discrasico. Lo faremo entrando in alcune motivazioni che spingono l’Io-psyché a creare il suicidio ostacolante-discrasico.

Le azioni che precedono il suicidio

Negli anni, sono riuscito a mappare una serie di azioni che precedono l’assunzione effettiva del suicidio: si tratta di tre gruppi di possibili cause acquisite che si susseguono. Il suicidio può trovare la sua concretizzazione quando dopo i primi due viene prodotto il terzo gruppo (ovviamente possono manifestarsi in diversi modi e con diverse associazioni)

  1. Ostacolatori-discrasie ascrivibili ai primi anni di vita quali, morte dei genitori o tutori, violenze, condizionamenti, abusi, assenze, denutrizione somministrata dai genitori o dai tutori (…), che si evidenziano a casa, a scuola, nella società (…), e, successivamente, nel lavoro, nella vita coniugale, da single (…). Possiamo sintetizzare tale primo punto come

incapacità dell’Io-psyché di adattamento ai diversi contesti interiori-esterni indotti dalle azioni aggressive indicate che, successivamente, possono somatizzarsi come perdita del significato di vivere.

Ciò non significa che le problematiche indicate siano solo quelle descritte o che siano la causa unica del suicidio: affermo semplicemente che si tratta di uno degli elementi che si riscontrano, praticamente sempre, nei casi di suicidio riuscito.

Quanto indicato al precedente punto a. diviene significativo, se successivamente (o contemporaneamente) si crea e si evidenzia a quanto di cui al successivo punto b.

  1. Creazione di stati Io-somatici proiettati su situazioni che vengono vissute, riconosciute e interpretate come:
  • minacce alla continuità di manifestazione della vita nel corpo: cancro, cardiopatie, diabete disabilità ecc.;
  • stati di dipendenza che ostacolano, significativamente, la propria autonomia;
  • due o più esperienze di vita che hanno suscitato dolore intenso di picco;
  • stati di impedimento continuo dell’autonomia: lungo degenze in ospedale, prigionia, essere senza fissa dimora, povertà.

L’Io-psyché proietta con continuità tanatofobia e paura intensa della sofferenza, e responsabilità esistenziali che soltanto a se stesso possono appartenere.

Quanto indicato al precedente punto b. diviene ancor più che significativo se successivamente (o con-presente) si crea e si evidenzia quanto di cui al successivo punto c.

  1. Creazione di stati Io-somatici proiettati su situazioni che vengono vissute, riconosciute e interpretate come:
  • insorgenza dell’ostacolatore depressione in forma acuta;
  • remissione definitiva dei significati-significanti a vivere (perdita definitiva dell’enantiodromia tra stato di assenza di significati e ri-attivazione di significati, anche minimi);
  • aumento significativo della conflittualità, dell’aggressione verso persone dal soggetto considerate come maggiormente significative e di alto valore affettivo, amicale, sessuale, spirituale…;
  • impossibilità di essere complemento di se stessi nella maggioranza dei metabisogni e bisogni-desideri;
  • almeno due o più atti auto-lesionistici (intensi, gravi), utilizzando lo stesso strumento e la stessa modalità per auto-somministrarselo e senza auto-riflessione, auto-critica nelle fasi successive.
  • parlare continuamente in modo bipolare (in positivo e in negativo) del punto morte.

L’Io-psychè produce con continuità intensa depressione aggressiva-violenta verso l’altro da sé, abreagendo ogni forma di significato-significante a vivere, evidenziando incapacità continuativa di poter soddisfare direttamente metabisogni e bisogni-desideri e auto-aggredendosi, utilizzando la stessa modalità o strumento.

Quando sono presenti gli stati del punto c., quelli dei punti b e a divengono enormemente significativi: il ricercatore presenta una chiara e cosciente pre-disposizione all’ideazione e alla concretizzazione dell’azione suicidaria.

I punti a., b., e c. evidenziano la presenza di diversi ostacolatori:

  • ostacolatore enantiodromia (bipolarità),
  • ostacolatore depressione,
  • ostacolatore post-traumatico,
  • ostacolatore discraiosi
  • ostacolatore insonnia
  • ostacolatore tanatofobia
  • (…)

Un ruolo significativo potrebbe giocarlo la

presenza nella vita del soggetto di un eccesso di altruismo,

di volontariato verso l’altro:

Mi uccido per non essere di peso

o

Vorrei morire io pur di salvare mio figlio

(…).

La tanatofobia

La tanatofobia è semplicemente

la proiezione di una non conoscenza vissuta

di che cosa sia realmente il punto morte

ossia ciò che ha fatto nascere

l’esigenza della prevenzione del suicidio.

È tale proiezione, ossia la propria paura di morire, il non volerla, che spinge molti a proiettare su altri che anche loro non dovrebbero voler farlo, quindi, non per motivi di comprensione reale di che cosa sia la morte, ma soltanto come conseguenza dell’dea proiettiva che se ne sono fatti. Voglio significare che, semplicemente, non sanno per loro stessa ammissione, che cosa sia. Ciò che molti esseri umani, forse, hanno osservato è che il livor, l’algor, il rigor mortis, la putrefactio sono stati riconosciuti come assolutamente negativi, quindi non voluti, trattandosi di stati Io-somatici che non attraggono in quanto non suscitano nessun tipo di interesse soprattutto rispetto alla soddisfazione, anche intensa, che talvolta ci riserva l’essere in vita vivendo: l’affettività, la sessualità, la spiritualità, l’amicizia, il divertimento, la meditazione, i viaggi (…). E non di meno intensità è la valutazione secondo cui

la morte pone in remissione l’identificazione-fissazione su noi stessi, sulla propria individuazione a cui non vogliamo rinunciare.

Di conseguenza, l’esigenza di molti esseri umani e di molti specialisti è quella di non volere tale stato, creando così un potente ostacolatore (discrasico) al riconoscimento della presenza o meno di altri significati-significati, eventualmente presenti nello stato Io-somato-autopoietico punto morte.

L’evento suicidario non è mai un evento inatteso per l’Io-psyché che vuole produrlo. Infatti, come visto nei precedenti punti a, b, c, è conseguenza della propria storia di vita.

In ogni caso, l’essere umano ha la consapevolezza che ad un determinato tempo convenzionale produrrà il punto morte, appunto perché, come dicevamo prima, è anche più sicuro del punto nascita (che, infatti, dipende dalla decisione di riproduzione sessuata agita da altri). Per questo motivo, è nel perfetto ordine e innato fluire della vita voler indagare e consapevolizzare che cosa sia la morte e il voler vivere consapevolmente la morte. Quando dallo stato ostacolante suicidario si entra nella consapevolezza di voler conoscere il punto morte per prepararci a viverlo consapevolmente come atto assolutamente previsto dalle funzionalità innate che formano ogni essere vivente, si sta di fatto attuando

la transmutazione del suicidio in eutanasia autopoietica.

L’azione dell’eutanasia conoscitiva autopoietica

L’Io-psyché ha la facoltà di preparare la sua buona morte, la sua eutanasia, facendosi trovare preparato, in-formato di quanto accadrà. Non c’è maggiore disponibilità per un Io-psyché se non quello di disporre integralmente della propria vita di cui egli stesso è una testimonianza indiscutibile:

la disponibilità diretta integrale ed inequivocabile della vita-autopoiesi che opera in noi, è l’unica ricchezza universale di ogni essere umano, di ogni Io-psyché,

motivo per cui creare eutanasia rientra nel diritto-dovere inalienabile disponibile ad ognuno, senza che nessun tanatofobico, proiezioni religioso-spirituali, profilassi patologiche, proiettino prevenzioni allo scopo di impedirla.

Ogni Io-psyché per auto-determinazione potrà assumere per se stesso come vorrà creare il proprio punto morte. Quindi, nessuna critica a chi per auto-determinazione vuole posizionare il proprio punto morte il più lontano possibile nel tempo, nulla da eccepire, ma diviene lesionistico, violento verso altri quando vuole esportare e financo imporre la propria auto-determinazione (in un caso da me seguito, la persona nascondeva la paura irrisolta di morire in altruismo). 

Ho scritto questo articolo perché è possibile che i maieuti della I.S.U. da me formati e che a loro volta hanno in formazione i ricercatori possano individuare in alcuni la presenza di quanto ai punti a, b, e c: in tal caso, possono disporre di strumenti favorevoli alla somministrazione della maieutica, affinché i soggetti interessati possano riconoscere la propria intenzionalità anche rispetto al punto morte.

Gli studi e le ricerche della Sigmasofia mi hanno indotto ad individuare il punto morte come uno dei tanti ingredienti che formano l’Universi, di cui siamo parte integrante e inscindibile.

In questo momento, l’universo e le sue funzionalità stanno evidenziando simultaneamente milioni di esseri viventi che stanno nascendo e milioni di esseri viventi che stanno morendo e l’universo sembra essere transfinitamente in vita (sicuramente, rispetto alla convenzione spazio-tempo, esiste da miliardi di anni). La scoperta rivoluzionaria secondo cui, per entanglement micro-particellare e coscienziale, siamo non separabili da tale Universo ha delle implicazioni straordinarie:

testimonia la continuità di vita-autopoiesi, producendo continuamente milioni di nascite e milioni di morti di esseri viventi, evidenziando così che il punto morte è una testimonianza di vita-autopoiesi dell’Universi (esiste più di un Universo). Si tratta del processo paragonabile a quello innato di apoptosi cellulare che l’essere vivente produce: il ricambio, che si attua attraverso la morte di cellule e la nascita di nuove, non significa la morte, intesa nell’accezione comune, del corpo fisico che la esprime. La continuità di produzione e di morte di esseri viventi è l’apoptosi olistico-autopoietica dell’Universi-parte, noi stessi.

Penetrare il punto morte

Per questo motivo, l’unica azione pedagogica-psicagogica disponibile è quella di creare le condizioni per permettere di penetrare consapevolmente, di conoscere il punto morte così come il punto vita, per vivere consapevolmente lo loro eziologia. In conseguenza di tali vissuti, l’Io-psyché potrà auto-determinarsi come ritiene opportuno, senza proiezioni.

In mancanza di questi vissuti verso cui la formazione tende, ciò che resta è soltanto la propria proiezione tanatofobica che si evidenzia anche come voler imporre su altri il proprio stato di impenetrazione di non vissuto e di non conoscenza del punto morte. Trattandosi di una violazione aggressiva-violenta del più alto grado di irresponsabilità, il Maieuta dovrà essere inflessibile verso la sua remissione, ogniqualvolta il ricercatore la manifesti.


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