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La vera storia di Caporipa
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La vera storia di Caporipa

prima parte

Era esattamente l’anno 1989. Da circa due anni, sognavo e visualizzavo un pastore maremmano bianco che condivideva con me tutte le mie attività quotidiane e, in particolare, mi accompagnava nelle escursioni di Sigmasofia Ecologica (attuale E.Co.A.), sempre fiero, orgoglioso alla guida delle sue pecore: noi! Finite le escursioni, mi godevo il meritato riposo in un posto con del terreno intorno, due pini nani a forma di cono, una piccola casa con dei grandi tendoni, simili a quelli utilizzati dai circhi (…). Questo sogno si è ripetuto molte volte, ma puntualmente al risveglio mi ritrovavo nel letto della mia casa di Frascati e successivamente di Crognano –Sutri-, c’era del terreno ma non era quello del mio sogno ricorsivo. 

In quel periodo, mi allenavo con intensità e forza e, per farlo, sceglievo luoghi intorno alla mia casa che era posizionata in prossimità di una forra etrusca, esattamente sul costone opposto e in perfetta direzione con quella che ancora non sapevo sarebbe diventata la sede della Via di Conoscenza Sigmasofia. Allenandomi, ne approfittavo per cercare riscontri al mio sogno ricorsivo intorno al luogo in cui vivevo. Non mi veniva spontaneo di andare dall’altra parte del canalone, perché questo avrebbe comportato l’attraversamento dello stesso che, su quel punto, aveva strapiombi di cinque-dieci metri e, quindi, era impossibile o difficile da superare durante gli allenamenti: per aggirarlo, ci sarebbero stati diversi chilometri di strada da fare che, in quel periodo non conoscevo ancora bene. Niente, nulla: nessun riscontro al sogno. Sapevo che il posto era etrusco, somigliava ai posti in cui mi allenavo, ma, nulla, non lo riconoscevo. Sarà soltanto un sogno, mi dicevo, ma sentivo ed intuivo che faceva parte degli altri sogni quelli che, quando si ripetono in quel modo e con quelle caratteristiche peculiari, hanno un riscontro anche nella cosiddetta realtà sensibile. Mi era accaduto già altre volte di sognare e di trovare dei riscontri e, lì, i presupposti c’erano tutti!. Nulla, per mesi e mesi, fino a che un giorno mi sentivo in una forma perfetta, avrei potuto correre per centinaia di chilometri ed ero certo che non avrei battuto ciglio e che non avrei accusato segni di stanchezza: quindi, decisi di allargare il giro dei miei allenamenti. 

Correndo sotto il sole delle 13.00 di agosto, decisi di esplorare la zona di Tro Spadì. L’avevo conosciuta precedentemente, perché alcuni amici di Frascati mi avevano fatto visitare un luogo etrusco proprio in quella zona. Mi avventurai, ritrovai il posto, ma decisi di avventurarmi ulteriormente più avanti. La strada bianca proseguiva e sembrava perdersi in uno splendido bosco: tanto finirà di li a poco, mi dicevo. Mi addentrai, attraversai quella parte di bosco di Caporipa e vedevo che ancora proseguiva. Ho un buon senso dell’orientamento e vedevo che la direzione era verso il paese di Sutri. Mi dissi di proseguire e che quella decina di chilometri li avrei divorati.

Proseguii. Il posto era familiare. Improvvisamente, assorto nei miei pensieri, mi si sciolse il laccio di una scarpa. Sbuffai, mi fermai in prossimità di una rete di recinzione per allacciarmela. Abbassandomi, vidi all’interno del recinto, coperto da rovi e foglie, un cartello Vendesi: c’era una casetta e circa cinquemila metri di terreno intorno. Lessi il numero di telefono sul cartello e decisi di memorizzarlo. Ripresi a correre e mi ripetevo mentalmente il numero di telefono come un mantra: sapevo che se fossi riuscito a farlo, per almeno 27 volte con potenza, profondità e attenzione, lo avrei fissato nella memoria. E così fu. Il posto non mi aveva particolarmente colpito, ma stavo cercando da tempo uno spazio da acquistare, per realizzare la mia attività di ricerca. All’indomani, tornai correndo, sul posto insieme a Piera. Il numero era giusto e così decidemmo di telefonare. Tornati a Crognano, telefonai e presi appuntamento con una signora, che mi sembrava abbastanza distratta. Fissammo l’appuntamento per il giorno successivo alle ore 13.00. Sempre di corsa, ci recammo all’appuntamento e trovammo un signore, annoiato, ad attenderci che ci comunicava che la signora proprietaria di quel posto era dovuta uscire per impegni personali e che il prezzo era di circa 180 milioni delle vecchie lire, un prezzo spudoratamente fuori mercato, per le quotazioni dell’epoca. Dissi a quel signore che, in realtà, fissando quel prezzo, la signora forse non voleva vendere. Mi rispose, allargando le mani e aggiunse: Sentite, visto che questo non vi interessa anch’io ho deciso di vendere il mio pezzo di terra con casetta, ad un prezzo più accessibile. Se volete, ve lo mostro, è quello confinante con questo e io sono il vicino della signora che mi ha chiesto la cortesia di attendervi. Dicemmo ok ed entrammo.

Ci mostrò una casetta di circa 30 metri quadri e poi la sorpresa, vidi

due pini nani a forma di cono,

erano quelli che avevo visto nel mio sogno ricorsivo. Fu una folgore intuitiva, e dissi la prendiamo, punto e basta, stop!!! E fissammo per un nuovo incontro il giorno successivo per portare un acconto e procedere all’acquisito. Tornammo la sera a Crognano e mi capitò di leggere in un vecchio testo questa frase

Si strinser tutti ai duri massi de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti.

Mi ricordai che il nome della località era Caporipa, una coincidenza che mi sembrava realistica, ero perfettamente conscio che in quel periodo volessi iniziare a scalare a superare i luoghi ripidi e scoscesi, le balze, i pendii, i dirupi della mia esistenza, e li eravamo sul Capo ossia sulla parte superiore sull’estremità, della Ripa. La telefonata del mio amico Lucio (ora impegnato in un’altra manifestazione della vita) mi comunicava che un suo amico pastore aveva dei cuccioli bianchi di maremmano da donare e ciò mi chiudeva il cerchio delle sincronicità. Dopo non molto tempo, subito dopo l’acquisto ufficiale di Caporipa, arrivò Lambda e il mio sogno ricorsivo si rivelò simmetrico con la mia realtà sensibile.

Arrivammo che era tutto da ristrutturare, ma c’era Lambda e la cosa mi tranquillizzava. 

I primi giorni con Piera e poi anche con altri amici, cominciai a ristrutturare la piccola casa, guidati da un mio amico muratore che elargiva consigli ed indicazioni pratiche. 

Ero in una fase di piena ricerca e di formazione a me stesso, stavo mettendo insieme il frutto di anni di lavoro e di corsi formativi. Ero impegnato nella 

ricerca sui significati-significanti del vivere in tutte le sue espressioni Io-somato-autopoietiche e, soprattutto, dello stato coscienziale punto morte.

La mia formazione a me stesso prevedeva la pratica diretta di ogni situazione di vita, di qualunque natura e genere, in cui sarei venuto a trovarmi e da cui far nascere

 la costruzione della mia teoria conseguente al vissuto,
cercando successivamente dei riscontri su testi, libri inerenti la ricerca interiore, psicanalitica, terapeutica, religiosa, tradizionale (…).

 La mia parola d’ordine era

prima l’esperienza diretta penetrata e poi la ricerca del riscontro sui testi. 

Ed ecco che costruire la mia casa, ristrutturarla, farlo con il bosco, la natura, creare muri con quella peculiare pietra che vive, che è il tufo, scavare e spostare quintali e quintali di pietre significava per me lavorare direttamente su me stesso. Mi partecipavo-osservavo nelle mie reazioni, mentre lavoravo e mentre ristrutturavo parti del posto: io, inequivocabilmente almeno per me, rimettevo in funzione componenti rotte del mio Io-soma-autopoiesi.

Ho utilizzato sempre un antico rituale Rasna che consiste nel piantare un albero al momento di un vaticinio, di una presa di consapevolezza, ritualizzandolo con il cosiddetto

sulcus primigenius.

Il rituale prevedeva anche l’applicazione nelle radici dell’albero piantato un oggetto personale, investito affettivamente, emozionalmente, autopoieticamente. Fu così che nacque il

 rituale di fondazione della Sigmasofia,

che ancora oggi attuiamo con i ricercatori e che prevede di

 piantare un albero con un oggetto proprio che cresce insieme alla pianta.

Così, nelle radici di ogni singola pianta di Caporipa, oltre al microclima che è venuto a crearsi, si nasconde un piccolo tesoro istintivo-emozionale-autopoietico, anche di valore sensibile.

Per motivi personali, ero già andato in pensione, e quindi mi trovavo nella condizione di poter lavorare a tempo pieno su me stesso e nell’edificazione del posto: dopo tanta fatica ad esistere, tutto sembrava facilmente dischiudersi, formarsi. Fu per questi motivi che ogni mattina potevo dar vita ai miei allenamenti auto-formativi, durante i quali

srotolavo e rielaboravo le esperienze vissute nei giorni precedenti, osservavo attentamente i messaggi autopoietici dei miei sogni del mio stato di autoconsapevolezza Io-somato-autopoietico.

Ogni giorno, rinnovavo l’intensità della mia motivazione a

voler vivermi, conoscermi, in me stesso e in relazione.

Una cosa avevo ben chiara: dopo essermi scottato per una vita intera, la mia guida era la natura innata che, per intero, sentivo muovere in me e che riconoscevo all’opera, come forza movente nell’ambiente intorno. Alle radici di un albero, che nessuno conosce, a Caporipa c’è il sigillo di questo giuramento autopoietico a me stesso!

Tra l’altro, ciò prevedeva il raggiungimento della condizione in cui diventavo

complemento di me stesso,
utilizzando anche quella parte di me che denominavo
 l’altro.

Ad ogni lavoro interiore ed esterno realizzato, Caporipa diventava il veicolo delle peculiari atmosfere autopoietiche auto-formative vissute ed i frutti coincidevano nella realizzazione di opere e nel potenziamento della

sicurezza ontos-sophos-logica.

Tutti i ricercatori, che in quel periodo seguivano la formazione in Sigmasofia, durante i momenti di Sigmasofia Ecologica, che avevano come riferimento di partenza Caporipa, iniziarono a riconoscerla e a viverla come luogo, in cui quelle particolari 

atmosfere silenziose facilitavano il lavoro su se stessi.

Iniziarono ad investire un maggior numero di ore nel lavoro di costruzione, contribuendo alla crescita del posto, sulla base del volontariato autopoietico. Via via, per la maggior parte dei volontari, si formò la sensazione che Caporipa potesse essere un

Centro di rigenerazione, di autoguarigione, di autorealizzazione: 

stavano nascendo le basi del 

ophy International Project,
con applicazioni terapeutiche che seguivano i principi attivi fondamentali della
S.T.O.E.
Sigmasophy Theory of Everything,

e come luogo in cui i Maieuti in formazione potevano svolgere momenti di tirocinio,
di approfondimento individuale.

Ora,

Caporipa
è sinonimo di formazione, di Sigmasofia, di auto-realizzazione, di auto-determinazione.

Molti conviventi, parenti, amici, istituzioni hanno proiettato su Caporipa loro problematiche esistenziali, irrisolte! Come me ne accorgevo? Semplice! Quando verificavo inequivocabilmente che, quanto mi veniva attribuito, li a Caporipa, semplicemente non accadeva. Avendo la formazione in elettronica, ho sempre rigorosamente basato la verifica delle mie scoperte sulla ripetibilità, su una solida base scientifica nell’accezione sigmasofica. Per questi motivi, la proiezione di non scientificità attribuitami si è sempre puntualmente e rigorosamente ripercossa su chi la effettuava, anche soltanto sotto forma di maggiore conflittualità nella relazione con il convivente: questi,

 denigrando il proprio compagno/a, figlio/a (…) su basi non vere, di fatto, denigrava la sua capacità di discernimento e di scelta.

I ricercatori hanno ottenuto molti risultati vissuti visceralmente e questo li ha resi inattaccabili ad ogni critica che non riconosceva tale realtà

Il vissuto

incredibilmente si auto-difendeva, anche nei momenti di maggiore tensione e difficoltà, praticamente anche senza intervenire per non alimentare situazioni già tese. Vedevo che, per in-formazioni innate, tali dinamiche si auto-rigeneravano, con i significati che trovavano forme di auto-trasmutazione e di induzione alla continuità formativa. 

Bastava aspettare, senza proiezioni, senza contro-transfert e le cose si riarmonizzavano, anche per intervento diretto delle persone che, fino a poco prima, avevano tentato di attaccare, per così dire di offendere.

È come se Il posto fosse autonomo: ad alcuni, basta entrare e qualche cosa accade in loro.

Ormai, è successo ormai troppe volte, per non raccontarlo con cognizione di causa.

Sì, a Caporipa ho impostato

le fondamenta dell’essere umano e dell’eco-società autopoietici, in modo semplice, naif, naturale, autopoietico, sostanzialmente lasciando operare la natura autopoietica maestra, movente alla radice di ogni Io-psyché.

Per chi ha occhi per vedere, è possibile riconoscere il prototipo di riferimento per questo

 nuovo paradigma di essere umano autopoietico.

Non è un lavoro da pionieri, come molti mi hanno detto, ma semplicemente un lavoro per essere umani che 

si rendono conto che l’insegnamento è già per intero scritto in ogni loro singola cellula, in
ogni singolo atomo e nel campo coscienziale olistico-autopoietico di cui sono evidenza. La
Sigmasofia è uno stato coscienziale raggiungibile da ogni ricercatore, perché tale stato di autoconsapevolezza è inscritto nei luoghi coscienziali transfiniti, appena descritti.

Chi entra a Caporipa

non segue Nello Mangiameli
e la sua Sigmasofia:

segue semplicemente la

natura innata maestra che muove in essi
e che anche Nello Mangiameli e la sua Sigmasofia seguono.

Di fatto, Sigmasofia è uno stato coscienziale non localistico che può trovare forse maggiore possibilità di evidenza a Caporipa: ma, di fatto ed inequivocabilmente, è presente in tutta la manifestazione sensibile e sovrasensibile, locale e non locale.

Il rispetto dell’empatonia Io-somato-autopoietica di ognuno è prassi consolidata: ognuno, se sa raggiungerla, è consapevole che può esprimere

la propria libertà di (…),
la propria libertà da (…)
e soprattutto
la propria libertà olistico-autopoietica.

Non interessa il giudizio, ma l’arte maieutica autopoietica sigmasofica, qualunque sia il contenuto che potenzialmente l’Io-psyché del ricercatore può esprimere. Quando vivono l’orientamento seguito, tutti divengono dei facilitatori dell’espressione Io-somato-autopoietica del ricercatore, senza giudizio alcuno. Ovviamente,

ciò non significa che a Caporipa non ci siano conflitti e tensioni,

unitamente agli altri aspetti, ma vengono vissuti come temi privilegiati, su cui applicare le tecnologie operative, al fine di conoscere visceralmente le problematiche, i sintomi, le identificazioni e per risalirli e trasmutarli definitivamente, dopo averle vissuti. Non importa, se per realizzare questo alcuni Io necessitano di anni. È certo che l’orientamento seguito è questo: 

si lavora sull’ostacolatore puro identificativo, patologico, alienante (…), per tentare di porlo in remissione definitiva, al di là dei cosiddetti giudizi morali.

Tutto ciò avviene, unitamente alla

pratica di autopoiesi olografiche che riescono a creare momenti di autoconsapevolezza, talvolta anche estatica.

L’applicazione del principio attivo, estrapolato direttamente dalla natura innata dell’Universi-parte, ci ha posto nella condizione di creatori diretti e consapevoli della nostra azione bios-etica autopoietica quotidiana, fatto che ha

 posto in remissione ogni possibilità di identificazione nelle, spesso patologiche, dinamiche quotidiane, economiche, politiche, sociali (…).

A Caporipa, avviene che, appena entrato e iniziando a partecipare, il ricercatore possa piantare il suo albero nel proprio

sulcus primigenius interiore ed esterno.

Se lo sente, entra in questo orientamento autopoietico esistenziale, senza alcun dover essere e contribuisce a creare quel

microclima Io-somato-autopoietico Sigmasofico

che, per riconoscimento di moltissimi, lì, si respira! 

È il famoso
(per chi ci frequenta) effetto ∑igma
(o effetto Caporipa)

che può

innescare l’orientamento verso l’auto-determinazione, l’auto-realizzazione, l’autoguarigione: la capacità esplorativa, vissuta di se stessi.

Notizie storiche di Caporipa

La sede della Via di Conoscenza Sigmasofia è situata in un bosco, in cui è possibile trovare innumerevoli apprestamenti Rasna, Etruschi. Si trova esattamente tra due forre, in prossimità della quota più alta. La presenza continua su quel particolarissimo territorio Rasna mi ha consentito di leggerne, vivere direttamente la storia, giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro, scoprendone i segreti innati e ricostruendone la storia, più verosimile. 

Ai piedi di Caporipa, si trova la splendida villa Savorelli, l’anfiteatro etrusco e molti resti di tombe e di abitazioni etrusche, nonché vie del fuoco (cave) e un Mitreo: luoghi che, per molti ricercatori, suscitano l’effetto di

risveglio di memorie
e di nutrimento ecologico-autopoietico-conoscitivo.

Dei luoghi indicati, hanno già parlato e scritto molti e a quei lavori rimando: in questa presentazione privilegerò l’area interna, meno conosciuta del bosco e delle forre di Caporipa.

Posso affermare che conosco di questo territorio ogni singola pietra di tufo, di agglomerato di torrenti e di suoni-silenzi emessi dal posto: reperti antichi che affiorano ogni dove, atmosfere rarefatte, autopoietiche.

In zona Trò Spadì, nel territorio di Capranica, ho avuto la possibilità di parlare, di intervistare alcuni anziani contadini, da sempre proprietari di quei terreni e da generazioni appartenenti a quelle atmosfere. Mi hanno raccontato, senza possibilità di errore, l’esistenza di numerose grotte, abitazioni, insediamenti civili che risalgono al settimo ottavo secolo prima di Cristo, e altri più recenti. 

Durante una delle tante chiacchierate, uno di loro si offrì di accompagnarmi per visitare un posto particolare, denominato il Castellaccio. Immediatamente, mi resi conto che probabilmente conoscevo già quel posto, perché me lo aveva presentato Pino, un amico di Frascati e, che successivamente lo avevo visitato più volte insieme ad altri ricercatori, amici. Accettai comunque l’invito, perché ricordavo il Castellaccio come luogo bellissimo, e tornarci mi stimolava; inoltre, avevo saputo da altri ricercatori che, in quella zona, sarebbe stato addirittura possibile trovare reperti egizi

Ci incamminammo e, con mia sorpresa, vidi che quel vecchietto si direzionava verso un altro luogo: mi permisi di chiedergli se fosse quella la strada giusta e mi rispose di sì, senza esitazioni. Pur non essendo distanti dal Castellaccio, quello noto, il contadino mi fece arrampicare su una parete di tufo e seguire a mezza altezza il costone, fino a che, di fronte a me, vidi una ripida scalinata, direttamente scavata nel tufo antico. Incredibile! In prossimità di un camminamento ufficiale, previsto dal Comune di Sutri per i turisti, si trovava l’ingresso di un castello multipiano, scavato a mano, a svuotamento nel tufo di cui, nell’itinerario proposto dal Comune e dalla pro-loco, non c’era alcune traccia!

Entusiasta, iniziai a salire quella ripida scalinata e ad osservare nel dettaglio, simboli ed incisioni. Arrivammo in cima e mi resi conto che ci trovavamo su una superficie quadrata molto ampia che, viste le dimensioni, non poteva essere una tomba a dado. Posizionandoci sulla parete a strapiombo di sinistra, la seguimmo fimo a raggiungere una grande stanza, anch’essa quadrata, senza tetto, ma con ancora evidentissime ed inequivocabili pareti di tufo, che la delimitavano. Mi affacciai ad una delle aperture-finestre di quella stanza senza tetto e vidi che ci trovavamo sul punto di confluenza di tre canaloni-forre, con quella caratteristica conformazione a Y che la confluenza di tre canyon necessariamente forma. L’aria era tipica, sospesa, autopoietica, il profumo del tufo antico inequivocabile, e fu lì che il vecchietto-contadino, prendendo un robusto bastone, iniziò a picchiare sul terreno: il risuono, rimbombo del vuoto era inequivocabile, sotto di noi presumibilmente un’altra stanza. Me lo confermò, dicendomi che anni prima avevano fatto un sondaggio sul tufo, con un semplice cartoccio e l’avevano individuata senza dubbio: erano entrati e, sotto ancora, c’era un’altra stanza lo stesso suono vuoto. Sicuramente, c’erano almeno tre livelli. Per verificare da fuori la struttura, mi allontanai e vidi che, anche se passando all’esterno non ci si accorgeva di nulla, da alcune precise e specifiche posizioni era osservabile (e tutt’oggi, lo è) la magnificenza del

castello multipiano etrusco di Caporipa

(non del castellaccio con i resti etruschi ed egizi!).

Scoprii così che i castelli di Caporipa erano due, inequivocabili e ancora lì, disponibili a qualunque ricercatore chieda di visitarli. Ma, le sorprese del mio amico contadino (sempre disponibile con chiunque e che, per suoi inspiegati motivi, non vuole essere nominato in questo articolo) non erano finite. Mi raccontò che quel posto gli era stato presentato da un nonno. Prima di recarsi al castello di Sutri, questi con il padre passava sempre a fare un bagno alle terme di Caporipa. Non potevo crederci:

terme a Caporipa?! ma dove? 

credevo di conoscere il posto, ma non le avevo mai viste: il contadino mi sorrise e mi disse che avrebbe accompagnato a vederle soltanto me (gli sono simpatico!). Tornammo indietro ed, esattamente dalla quota più alta di Caporipa, si recò in direzione della forra che si dischiude in direzione di Bassano Romano. Scendemmo da un costone e vedemmo a distanza una grande bella pineta. Erano tutte proprietà private, ma conoscendo bene il luogo le aggirammo e, poco distante dalla pineta, vidi in una marmitta piena d’acqua l’inequivocabile gorgoglio di un soffione sulfureo. Dopo pochi metri, completamente ricoperta dai rovi c’era, e c’è, una grande vasca, una vera e propria piscina di circa cinquanta-sessanta metri quadri! E in più punti altri soffioni. Il posto: incantato, sospeso, particolare…. 

Riflettendoci attentamente, mi accorsi che in realtà avevo sempre individuato quelle aree, le avevo sempre esplorate, non legandole insieme in un corpo unico: muovendosi a piedi, questa operazione di visione d’insieme richiede, per realizzarla, molto tempo tecnico. Per anni ho percorso i diversi canaloni-forre che legano tutta l’area nelle diramazioni, verso l’attuale Parco Marturanum di Barbarano Romano, verso Norchia e l’area di San Giovenale dedicata alla divinità Uni: 

sono un unico Fanum Voltumnae

(Tempio di Voltumna, da identificarsi in un territorio più che in uno specifico edificio!).

Al di là dell’enorme valore archeologico, per la Sigmasofia, questi posti sono veramente potenti e utili per praticare le specifiche autopoiesi olografiche che proponiamo e che sono in grado di risvegliare memorie antiche, presenti nell’inconscio collettivo di cui le atmosfere di questi luoghi sono un potente e prezioso amplificatore. Infatti, durante una seduta da me proposta in questi territori, il mio amico Lucio (e molti altri) riuscì a vivere e a ricostruire un antichissimo rituale etrusco che poi, verificammo essere veramente esistito. Si dimostrarono così particolari evidenze di ciò che denomino archeologia coscienziale autopoietica: uno strumento della Sigmasofia Ecologica (E.Co.A.) che i ricercatori in formazione utilizzano per conoscere se stessi e i contenuti dell’inconscio collettivo e autopoietico. 

Caporipa e i posti indicati, nonché molti altri, si prestano moltissimo alla formazione a se stessi e sono adatti a realizzare il

progetto essere umano ed eco-società autopoietici.

Noi non siamo interessati all’archeologia, intesa nell’accezione classica (ritrovamenti, classificazioni ecc.), ma alla 

scoperta di memorie antiche custodite nell’inconscio collettivo,

per poi utilizzarle come base alla risalita verso l’inconscio autopoietico, i cui contenuti non sono immagini, ricordi, ma funzionalità autopoietiche. La formazione in Sigmasofia non orienta alla difesa campanilistica del proprio cosiddetto patrimonio storico, ma è a favore del diritto-dovere dell’Io-psyché di auto-riconoscersi come campo localistico e non locale dell’umanità, dell’Universi-parte, non come stato identificato in una memoria, in una regione, in soprintendenze archeologiche (…). L’Io-psyché dell’essere umano ha saputo edificare enormi patrimoni architettonici: questi appartengono all’Io dell’essere umano, alle sue facoltà e funzionalità e non a quella sovrintendenza o a quel paese o a quella regione (sono soltanto funzionalità localistiche, da includere nella 

visione autopoietica, olistica d’insieme).

Le sorprese non erano ancora finite. Il mio amico anziano contadino mi disse che, per andare nelle aree archeologiche su citate (Barbarano, San Giovenale), la direzione era verso Capranica e che dalle terme proseguendo nel canalone, avrei incontrato altri reperti archeologici e, visto che lui abitava lì vicino, rientrando, me li avrebbe mostrati. Scoprii che gli insediamenti, di cui parlava, erano a me noti: me li avevano presentati i miei amici di Frascati, durante una delle prime escursioni, realizzate insieme in territorio Rasna, prima che io aprissi la sede di Caporipa. Allora, mi spiegarono che, in realtà, quello era un Tempio dedicato alla simbologia particolare della Y e che la prova di quanto asserito era individuabile in due incisioni a forma appunto di Ypsilon che si trovano nella stanza di

sinistra. I miei amici mi avevano anche detto che si trattava del, 

Tempio delle Y,

scoperto da un altro amico comune, nel periodo compreso tra il 1970 e il 1980, e che questi aveva provveduto a segnalarlo ufficialmente alle autorità competenti. Raccontai questa esperienza al mio amico contadino, sicuro di far bella figura. Egli digrignò i denti e mi disse che quanto dicevo riguardo a quel luogo poteva essere anche vero, ma che, sicuramente, i simboli a Y, posizionati nella stanza di sinistra, erano stati incisi materialmente dal nonno ed erano serviti a bloccare una porta in legno, allo scopo di proteggere materiali da lavoro e ad impedire la fuga dei maiali. Lo ricordava perfettamente e che quindi, almeno dagli abitanti di quel luogo, quel posto era perfettamente conosciuto, tanto che ricordava momenti felici e tanti bagnetti fatti nel ruscello che scorre subito di fronte al Tempio e che sicuramente fin dalla meta del 1800 era un posto frequentato e conosciuto. Risposi che al di là di queste considerazioni, comunque quello era un luogo particolare e d’interesse archeologico e coscienziale, per alcuni tipi di ricerche. Mi bloccò, con lo sguardo infastidito, come a dire 

  • Ma, che cosa vuole questo qui, che viene a rompere con questi discorsi strani, fatti proprio a Trò Spadì, dove da sempre lavoriamo e viviamo?

Capii, gli sorrisi e lo ringraziai, pregandolo di non fare caso alle mie presunte chiacchiere forse colte, ma del tutto fuori contesto contadino. 

Ci salutammo e mi riservò un’ultima sorpresa. Mi disse che in un’altra occasione mi avrebbe accompagnato ad una sorgente naturale che alcuni stranieri chiamavano “niffao”: molto probabilmente voleva dire ninfeo. Gli sorrisi. Continuavo ad essere in sintonia con Caporipa

 E cambiai la poesia di Dante Alighieri da 

Si strinser tutti ai duri massi de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti

in

Entraron in fusione con la vivente natura de l’alta ripa
per viver innatamente, liberi.


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