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La radiazione percettiva e la vista

La percezione è uno degli strumenti e delle funzionalità fondamentali dell’Io-psyché, attraverso cui si diviene consapevoli di un oggetto, di un tema, di una situazione. La percezione è strettamente interconnessa con i sensi e con le altre funzionalità, attraverso cui interagiscono gli stimoli esistenti, in quanto partecipati-osservati.

Dal latino

perceptionem,

che significa

apprendere.

La percezione è un insieme di funzionalità disponibili all’Io-psyché, che investe il piano corporeo e autopoietico. Tale funzionalità, il cui principio attivo autopoietico troviamo prevalentemente nell’archetipo Ψ del campo M.A.C., permette all’Io-psyché di trarre in-formazioni, di riconoscere l’evento partecipato-osservato, interiore ed esterno, così come il suo fluire dinamico.

Parti integranti di questa facoltà sono i sensi primari di base e altre sensorialità (che ritroveremo nel dettaglio nel sesto volume, S.T.o.E. Autopoietica). Lo strumento della percezione è propriocettivo, ossia un processo che nasce nei principi attivi autopoietici.

L’Io-psyché e i suoi strumenti di percezione sono funzionalità interagenti, indivisibili anche se, per comodità espositiva, possiamo considerarli separatamente: sono tutti i singoli processi e funzionalità dei sensi, del concettualizzare, del sentire, dell’immaginare (…), che formano la facoltà del percepire, utilizzata dall’Io-psyché.

All’inizio del percorso formativo, i ricercatori riconoscono che, di base, la percezione è la somma del volere, del sentire, del pensare, del concettualizzare, facoltà che vengono lette e decodificate. È la fase in cui il ricercatore ancora non riconosce altri campi di forza sovrasensibili che muovono nel tema e nella situazione percepiti. Nella prima fase, è tutto organizzato per orientarlo verso la Risalita-transmutazione della percezione semplice di base. Gli si insegna a non proiettare sulla percezione le proprie questioni irrisolte, legate agli archetipi c.a. e B., agli ostacolatori, ai bisogni, alle pulsioni, ai desideri, agli obiettivi, tutti elementi che riducono al proprio stato di consapevolezza acquisito. Queste situazioni e condizioni deviano la percezione e creano la condizione di ridurre ad un parametro legato alla propria storia personale acquisita una funzionalità che dovrebbe trascenderla.

Se questa Risalita-transmutazione non viene effettuata attraverso il vissuto diretto, di fatto, non si può proseguire con efficacia nel sentiero formativo.

Sia lo stimolo che la risposta sono legati all’Universi-parte: non è l’oggetto separato dal soggetto percipiente ciò che stimola, in quanto autopoieticamente formano un’unità.

La percezione può percepire se stessa, come funzionalità, come processo, ed è uno degli obiettivi che ci si prefigge, partendo dalla facoltà di poter percepire espressioni diverse dell’Universi-parte.

Il modo in cui i sensi, i recettori e tutte le altre funzionalità irradiano e determinano la percezione dipende dallo stato di autoconsapevolezza e di equilibrio funzionale Io-somatico raggiunto: più l’Io-psyché ha indagato se stesso più la radiazione, la penetrazione è forte, intensa.

La partecipazione-osservazione dimostra che, essendo un processo propriocettivo e partendo dalle profondità autopoietiche sempre attive, la radiazione percettiva può subire, anche durante il suo naturale manifestarsi, delle variazioni sia innate che acquisite. La percezione è un essere, almeno inizialmente, continuamente cangiante: chi riconosce, percepisce una cosa, chi l’altra.

Ci sono intensità di radiazione, riconoscibili, altre così tenui da risultare impercettibili: in quest’alternanza, si muovono le percezioni. Ogni percezione-radiazione ne stimola un’altra. Il lavoro di formazione consiste nell’espandere questa soglia. Non esistono livelli di possibilità percettiva insuperabili, dipende dal tipo di allenamento delle funzionalità agite, anche se, bisogna ammetterlo, superata una certa soglia, le penetrazioni, gli approfondimenti, sono lentissimi e faticosi.

Per irradiare la propria facoltà di percepire, l’Io-psyché utilizza recettori, organi sensoriali, il sistema nervoso e, quando giunge al suo target, può subire deflessioni.

A seconda della forza, della potenza agita, si ha un più o meno forte senso di eccitabilità che, anche in questo caso, può durare più o meno tempo.

Per funzionare perfettamente, la percezione ha bisogno di tempo: un conto è che la si eserciti stando in una grotta chiusa, completamente al buio, un conto se la si esercita, camminando per strada di giorno, un altro, se la si esercita guardando il Sole, e così via. L’organismo ha necessità di modulare queste radiazioni per metterle, per così dire, a fuoco. Può benissimo nascere la situazione per cui la percezione di parti di sé molto intense, potenti come il Sole, possa risultare incomprensibile, mantenendo le stesse funzionalità. Ci sono parti del proprio corpo non raggiungibili, se non costringendosi a cambiamenti di stato, infatti, la percezione diretta, prolungata del Sole può arrecare modificazioni alla vista.

Il campo M.A.C. è autopoieticamente reale e transfinitamente sperimentato dall’Io-psyché, essendone parte essa stessa, come processo funzionale autopoietico.

L’Io-psyché non è un ente che si estende da un corpo, dalla testa di un essere umano, fino al punto in cui partecipa-osserva, direziona la propria percezione. Ma, di fondo è un campo, parte integrante di ogni singola microstruttura e oltre, formante qualsiasi manifestazione sensibile. In tale ambito, partecipandolo, l’Io-psyché, può modularsi e identificarsi, percepire un singolo obbiettivo. È in conseguenza della partecipazione di questo campo che ho verificato l’esistenza delle facoltà autopoietiche. Dobbiamo partecipare-osservare che, anche in questo caso, queste non sono separate dalle cosiddette funzionalità normali. La percezione di un ente cosiddetto esterno a noi non potrebbe avvenire senza l’esistenza di tale campo, se la percezione fosse esclusivamente dentro alla testa, prodotta solamente dal cervello. Anche la normale spiegazione scientifica della percezione implicitamente lo ammette, infatti, ci dice che l’occhio percepisce una radiazione emessa dall’oggetto partecipato-osservato e che è poi il cervello ad elaborare. Le cose non funzionano così, ma anche in questo caso, la scienza ammette l’esistenza di questa radiazione emessa dal corpo come parte integrante di ciò che il cervello processerà ed elaborerà. Quindi, tale radiazione c’è! Se così non fosse, non ci sarebbe l’ente da percepire.

Esiste l’Io-psyché e il campo M.A.C.: utilizzando le proprie facoltà, come i sensi e la percezione, si collegano, s’identificano, partecipano ciò che stanno osservando. A tale operazione, concorrono le funzionalità radianti dell’evento osservato, le radiazioni sensoriali-percettive dell’Io-psyché e il campo M.A.C., e il tutto è un processo unico, indivisibile, anche se l’Io può discernere, isolare la specifica caratteristica che vuole evidenziare. Le facoltà sensibili e sovrasensibili, percepibili sono un ulteriore campo coscienziale modulato che normalmente utilizziamo, per partecipare-osservare l’esterno e l’interiorità. È inequivocabile che, in tal senso, l’Io-psyché, che partecipa-osserva, è parte integrante dell’ente osservato. La distinzione è determinata dal campo coscienziale modulato.

Quando si prende consapevolezza che il campo coscienziale modulato è parte integrante del campo M.A.C., in quel preciso istante, vive l’intuitive e il synchronicity insight o processi sovrasensibili, noti come la telepatia, la telesomatopatia, la cronovisione che sintetizzo nello stato coscienziale di olospresenza e stato coscienziale Sigmasofia, che li include.

È interessante notare che è il campo coscienziale, presente in ogni manifestazione della natura, in ogni specie animale, a permettere che questi enti possano produrre nel loro specifico modo le proprie facoltà olistico-autopoietiche.

L’Io-psyché non è un semplice prodotto o proprietà, emergente dal funzionamento del cervello. Infatti, senza ombra di dubbio, è parte di processi non localistici, così come lo è il campo coscienziale ed è questo ad aver prodotto il sistema nervoso e il cervello che, a loro volta, evidenziano l’Io-psyché, attraverso cui esprimiamo i processi funzionali localistici, come la componente locale del pensare, del volere, del sentire, del concettualizzare, e così via.

Le diverse facoltà sensibili e sovrasensibili possono essere indicate come processi semplicemente spiegabili e fruibili, così come si evince dall’esperienza umana quotidiana: si vedano gli archivi Fortiani o gli studi e le interviste a migliaia di persone, realizzati da R. Sheldrake. Da sempre, l’Io-psyché dell’essere umano sa che tutto ciò è parte della propria natura biologica, autopoietica.

L’esperienza Sigmasofica ci prova che sia la dimensione non locale del campo coscienziale che le specifiche funzionalità del cervello e del sistema nervoso sono un campo unico indivisibile e che, dall’uso integrato e consapevole di entrambe, possiamo spiegare meglio la percezione.

L’Io-psyché non è centrato, posizionato nel cervello, bensì è un campo non locale, in quanto è parte e utilizza il cervello, per ogni produzione di stati coscienziali. Questo spiega perché molti esseri umani sentono il proprio Io-psyché centrato in quel luogo. Lo stato identificativo in quelle aree è potentissimo, infatti le usiamo con continuità giorno e notte. Il fatto, per cui siamo quasi totalmente identificati in quella regione, non esclude la non località del campo M.A.C., dell’Io-psyché. A forza di rimanere a quel livello, molti hanno atrofizzato, cristallizzato tale possibilità di autoconsapevolezza, tanto che possiamo indicarla come la discrasia identificativa fondamentale, in cui moltissimi sono caduti. Tale visione si trova già nello spirito della scienza che lavora da tempo sui campi elettromagnetici, sul campo elettrodebole, sul campo nucleare-atomico, dai telefoni cellulari alle trasmissioni radio, televisive (…). Sono regioni che evidenziano di avere specifiche funzionalità che operano nel cuore degli atomi da essi formati e che emettono radiazioni, le quali esternamente si interconnettono e sono modulabili. Ad esempio, le trasmissioni radio-televisive ci indicano modulazioni di frequenza, di ampiezza, attraverso cui, abbinando un decodificatore, riconosciamo i diversi canali. Inoltre, si può evidenziare, come alcuni riferiscono, che il campo gravitazionale può provocare effetti della propria radiazione anche su altri satelliti, come la Luna.

Voglio comunicare che già il concetto di campo è ampiamente utilizzato e ne fruiamo con una specifica tecnologia applicata. Si tratta di emissioni di campi provenienti dalle funzionalità atomiche: anche il corpo umano produce bios-elettricità, bios-chimica, infrarosso (…), che sono radiazioni visibili, misurabili. Allo stesso modo, il sistema nervoso-cervello, immerso nel campo M.A.C., che ingloba anche i campi ufficialmente riconosciuti dalla scienza, quando crea, produce uno stato coscienziale, come la percezione. Pur nascendo localmente, anche attraverso funzionalità non locali, questa diviene una modulazione, una radiazione percettiva emessa dal corpo e partecipante tutto il campo M.A.C., trovando tuttavia una specializzazione, una direzione nell’ente che stiamo percependo, per specifiche funzionalità ed esigenze.

Ogni stato coscienziale prodotto, emesso, non può non avere, per così dire, effetti su tutto il campo M.A.C. a cui è collegato e da cui emerge e, soprattutto, non può non influenzare la modulazione scelta, ossia il tipo di stato coscienziale prodotto.

Facciamo ora un esempio di percezione nell’accezione Sigmasofica.

Un essere umano si posiziona seduto di fronte ad un altro e i due iniziano a percepirsi, ad osservarsi. Molti ci dicono che l’immagine che stanno vedendo si trova all’interno del cervello con la relativa funzionalità che ne consente la percezione. Invece, altre testimonianze (statisticamente meno) affermano che l’immagine sembra essere esattamente nel luogo, in cui è posizionato il corpo dell’altro.

Secondo alcune accezioni scientifiche, l’essere umano percepito, partecipato-osservato, emetterebbe una frequenza-luce, parte delle caratteristiche funzionali del corpo, che entrerebbe negli occhi, nella testa dell’osservatore, per essere elaborata. Ossia, utilizzando il campo elettro-magnetico, la luce riflessa, entra negli occhi. In questo caso, c’è, quindi, un’emissione, una radiazione reciproca che può essere elaborata dall’Io-psyché e dal cervello. Anche evidenziando soltanto questo, si comprende e si deduce che i corpi sono, nello stesso tempo, emettitori ed assorbitori di luce, riflessa o meno che sia. Quindi, di fatto, la percezione non può essere esclusivamente un processo che va dal corpo percepito al corpo del percipiente, ma almeno una radiazione bi-direzionale (senza contare che il corpo di ognuno sta emettendo molti altri campi energetici). Gli occhi di entrambi concentrano la luce, emessa da ognuno, a cui, per specifiche funzionalità dell’Io-psyché, fanno assumere la forma, l’immagine del corpo, ossia quella luce si transmuta in immagine dell’ente che stanno osservando, ma risulta capovolta sulla retina di entrambi. Ci sono, quindi, due radiazioni di luce che si compenetrano reciprocamente e che uniscono i due corpi. Queste luci, in questo campo, per determinazione dell’Io-psyché, divengono immagini della morfologia dell’altro e, già qui osserviamo una compenetrazione indelebile della radiazione percettiva, per cui la modulazione e la transmutazione sono determinate dall’Io-psyché, lì presente, con la sua storia e la sua memoria. Se così non fosse, come potrebbe la radiazione-luce transmutarsi in immagine capovolta? Tale luce-immagine dell’altro va a finire sui bastoncelli e sui coni della retina, provocando delle specifiche modulazioni, transmutazioni al loro interno, determinando impulsi nervosi che stimolano i nervi ottici e penetrano in specifiche aree del cervello dove producono attività bios-elettriche e bios-chimiche. I due percipienti, collegati da tale campo, fanno esperienza l’uno dell’altro, della fisionomia, dei tratti, dei vestiti, dei colori (…). Chi determina tale presa di consapevolezza non può che essere l’Io-psyché che, di fatto, è parte integrante dell’attività bios-elettrica e bios-chimica che sta evidenziando quella percezione, inserita in quel campo.

Il contenuto dell’Io-psyché e, in questo caso, la fisiologia della vista non possono non essere che un corpo unico e non possono non partecipare tutta la radiazione percettiva dall’Io al Tu, dal Tu all’Io: se così non fosse, non ci sarebbe la percezione e coscientizzazione dell’altro. È tale consapevolezza che non potrà più incorrere nella proiezione di differenziazione, ossia nel non considerare la continuità esistente tra l’Io-psyché agente e il meccanismo autopoietico che permette di osservarla. Con questi riferimenti, si cerca una percezione non proiettiva, in cui il tema percepito si congiunga con la struttura che percepisce ed, essendo questo atto una funzionalità dell’Io-psyché, può accadere che il riconoscimento avvenga, si raggiunga, nella cosa vista: non importa se sensibile o sovrasensibile.

Se il percepito fosse a distanza di venti metri, la radiazione percettiva lo raggiungerebbe comunque, magari potremmo non essere in grado di decodificare le lettere di una scritta sulla sua maglietta, ma anche in lontananza la radiazione resterebbe inequivocabile. Infatti, quando l’Io-psyché di uno percepisce l’altro, la prima sensazione netta è che l’altro sia posizionato esattamente dov’è: non lo vediamo dentro la retina, capovolto, o nemmeno come campo bios-elettrico e bios-chimico. È lì, nella posizione in cui è. Quindi, ciò significa che la luce transmutata in immagine dell’altro è parte di tutto il campo che lega il primo al secondo percipiente. Tale elemento coscienziale acquisito non è soltanto identificabile nel cervello, ma anche nel luogo su cui si zooma e in tutti gli stadi intermedi. L’altro è esattamente a venti centimetri o a cento metri: è, per così dire, un’immagine che inizia ad essere non locale, infatti, sicuramente per la percezione di tutti, va dall’uno all’altro, è estesa, occupa ogni spazio che va dal soggetto all’oggetto intesi nell’accezione comune.

L’immagine è simultaneamente dentro e fuori del corpo di chi percepisce.

Le cose non possono stare nel modo con cui la scienza ce le indica, perché sarebbero incomplete. Infatti, le teorie attuali non spiegano come l’Io-psyché, i sensi possano trovarsi nel cosiddetto punto in cui è l’altro, perché esso ci dice che quell’esperienza si trova soltanto nel cervello che percepisce.

Il funzionamento è semplicissimo: l’immagine che ognuno ha dell’altro è, simultaneamente e come campo unico, sia nel cervello che lo percepisce, sia nella radiazione percettiva, che nel punto in cui l’altro è posizionato. È sia dietro che davanti gli occhi, infatti, con la visione applicata alla coscienza, all’interiorità, noi possiamo vedere, creare immagini esattamente come ogni notte viviamo, durante la fase R.E.M..

Inoltre, se l’Io-psyché riempie simultaneamente tutto lo scenario della radiazione percettiva, non è neanche corretto dire che si tratta di una radiazione, ma di una modulazione percettiva di un campo pre-esistente, il campo morfo-atomico-coscienziale. Ed è tale modulazione, applicata su tale campo, l’elemento coscienziale olistico-autopoietico che coincide con l’altro che stiamo guardando. Se questa coincidenza simultanea non ci fosse, accadrebbe che, se i due si mettessero a camminare uno verso l’altro, si scontrerebbero.

È possibile evidenziare che la percezione è parte integrante del tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, infatti, proprio la percezione è uno dei tanti riferimenti che ce lo prova. Essa sembra essere limitata (di solito, possiamo percepire fino alla linea dell’orizzonte e più è distante, meno riconosciamo il particolare): in realtà, nel tutto è legato, tale radiazione è simultaneamente ovunque, da intendersi letteralmente. É la modulazione dell’Io-psyché, identificata soltanto nel cosiddetto range sensoriale, che non ci consente di parteciparlo, perché si riconosce come ente locale, delimitato. Un’apertura dell’Io-psyché, della funzione Ypsi modificherebbe la radiazione, la modulazione percettiva, acquisendo, così, ulteriori rivelazioni dell’Universi-parte.

Tutte le facoltà dell’Io-psychè sono parti integranti delle funzionalità autopoietiche. Può percepire attraverso immagini, tale facoltà non può non essere scaturente dai principi attivi autopoietici che ci hanno formati e tutta la manifestazione sensibile e sovrasensibile non può non esserne coinvolta.

La vista, la percezione non comportano una proiezione esterna, ma l’evidenziazione di questa dà un processo funzionale sostanzialmente non locale, sovrasensibile, che trova possibilità di attuazione attraverso l’uso del cervello e del sistema nervoso, di cui l’Io-psyché, la funzione Ypsi è parte. Gli occhi, in milioni di esseri, sono stati creati da questo principio attivo formante. I sensi, così come tutte le altre facoltà, sono parte integrante e legati indelebilmente a ciò che percepiamo.

L’organo visivo è uno degli organi di senso che normalmente opera nell’essere umano, in un range che va dalla percezione del rosso alla percezione del viola, tra i 400 e i 700 nanometri.

L’Io-psyché irradia di bios-luminescenze l’occhio e la cornea, regolando, con il sistema parasimpatico, la concentrazione e la dilatazione della pupilla, determinando specifiche funzionalità del sistema nervoso autonomo.

Esistendo l’Universi-parte ed essendoci, quindi, continuità interna ed esterna, lo stimolo è vissuto come proveniente dal corpo complessivo stesso (non da stimoli esterni).

Ritroviamo la bios-luminescenza irradiata dall’Io-psyché nell’archetipo c.a., il quale, in presenza di particolari intensità istintivo-emozionali, può riflettersi nella pupilla, dilatandola. Tale bios-luminescenza viene focalizzata dalla retina che, attraverso specifiche cellule, la trasforma in impulsi nervosi che s’interconnettono tra loro e si uniscono tramite i nervi ottici, in un punto denominato chiasma ottico. Superatolo e sensibilizzata la retina, questa, attraverso i cosiddetti coni e bastoncelli, riproduce il fenomeno della vista.

Più è forte l’intensità delle bios-luminescenze, maggiore è l’attivazione della retina. La radiazione percettiva possiede informazioni, atte a produrre transmutazioni bios-chimiche della rodospina, facendola fungere da mediatore tra la luce e ciò che stimola i nervi sensoriali che producono la visione. Si può dire che la presa di consapevolezza dei principi attivi olistico-autopoietici e la loro conseguente messa in circolo possono produrre ampliamenti del range sensoriale, modellando e producendo in modi diversi la rodospina e tutti gli inneschi, determinando la nascita di ipersensibilità, della visione olistico-autopoietica.

In base alla radiazione proveniente dal profondo, i coni modificano e si sensibilizzano ai diversi colori fondamentali, il rosso, il blu, il giallo e il verde, dall’unione dei quali si formano gli altri. Ognuno dipende dalla lunghezza d’onda della frequenza della radiazione percettiva. Tali frequenze si aggiungono o si sottraggono, determinando diverse tonalità luminose.

La bios-luminescenza, l’archetipo c.a. sono la sorgente di tutti i colori e, a livelli più profondi, superata la riduzione-collasso della funzione campo M.A.C., possono prodursi ipersensibilità, anche attraverso l’organo della vista.

Per percepire una parte dell’Universi in movimento, l’occhio deve stimolare i recettori di molte cellule cerebrali: è proprio questa stimolazione progressiva che dà l’idea di movimento, che può risultare veloce, lento, fermo, veloce-lento, veloce-lento-fermo.

Si determina la possibilità di percepire la tridimensionalità, attraverso i movimenti diversi degli occhi, l’intensità delle stimolazioni e il fenomeno di irradiare su un determinato oggetto che sembra essere più vicino ad un altro.

Sono tutti processi che possono essere potenziati dal tipo di osservazione, proveniente dal campo coscienziale olistico-autopoietico, che può raggiungere gli organi di senso, senza collassare, senza riduzioni.

Se vediamo l’altro ad una distanza di cento metri, non significa che l’Io-psyché-vista si sia esteso fino a cento metri, ma che ha preso coscienza di sé, della sua dimensione non locale, proprio in quel punto. L’Io-psyché è un campo locale e non locale che include le estensioni. La vista, come gli altri sensi, non è un processo a senso unico, per cui la luce si sposta negli occhi, i cui impulsi viaggiano lungo i nervi ottici, innescando processi di aree del cervello che ci consentono di vedere le immagini del percepito. Le cose stanno in un altro modo. Se riflettiamo e andiamo a studiare i diversi esperimenti sulla percezione, risulterà un fatto sorprendente: nessun ricercatore scientifico è riuscito, con la propria tecnologia, a vedere un’immagine contenuta nel cervello. Gli strumenti vedono bios-elettricità, bios-chimica, fisiologia localistica, funzionalità cellulari, atomiche, ma non l’immagine essere umano definita, così come la vediamo noi, quando la partecipiamo-osserviamo. Però, pur non riuscendo a vederla con gli strumenti, quegli stessi ricercatori la vedono stando con gli occhi chiusi, mentre sognano e le immagini scorrono. Attraverso gli strumenti, vedono attività bios-chimica-elettrica, però il principio transmutante, la luce-fisiologia, in immagini, è presente in ogni Io-psyché e non potrebbe esserlo, se questo principio transmutatore non fosse patrimonio del campo coscienziale olistico-autopoietico, organico, che si riconosce e si evidenzia localmente (nell’essere umano), in parte assumendo la veste di acquisito. Applicando tale principio transmutatore, nascente dall’esperienza diretta e dalla funzione Ypsi, da dentro, la fisiologia della vista si evidenzia in immagine, nel cuore della bios-elettricità, della bios-chimica. L’elettricità, la chimica, l’autopoiesi sono l’espressione sensibile di tale campo coscienziale.

Evidenziandosi dal campo coscienziale olistico-autopoietico, l’Io-psyché non è un epifenomeno dell’attività cerebrale, nel senso che non influenza la sua attività. Le cose stanno all’opposto: è esattamente il campo coscienziale olistico-autopoietico che ha saputo creare e trasmettere funzionalità al sistema nervoso e al cervello. Compreso e vissuto questo, si può riconoscere come gli stati identificativi, ripetitivi, assunti dall’Io-psyché, possano essere essi stessi un epifenomeno, per quanto riguarda i processi localistici, che da soli non spiegano la funzionalità autopoietica complessiva.

Con gli strumenti che utilizza, la scienza non è riuscita a vedere il pensiero, le immagini, l’Io-psyché.

L’Io-psyché e il cervello sono lo stesso processo, non nell’accezione scientifica, bensì come espressioni della funzionalità non localistica dell’Universi-parte: la località è l’Universi-parte transfinito.

Per partecipare-osservare un cielo limpido, senza nuvole, l’Io-psyché deve produrre una radiazione percettiva continua, omogenea. Nel caso in cui comparissero delle nuvole di passaggio sullo sfondo, per percepire entrambe le immagini, dovrà produrre una radiazione percettiva simultanea e, nello stesso tempo, differenziata.

Nell’interiorità, succede lo stesso. Il campo istintivo-emozionale rappresenta lo sfondo su cui possono manifestarsi fluttuazioni percettive, immagini, specifici stati coscienziali (come le nuvole rispetto al cielo). È necessario distinguere il fondo unico, l’archetipo c.a. o campo morfo-atomico-coscienziale, dalla fluttuazione, dallo stato coscienziale, visualizzabile sotto forma di bios-luminescenze-immagini o, esternamente, come manifestazione sensibile dello stato. In quel momento, l’Io-psyché può intenzionalmente zoomare sulla fluttuazione percettiva, mantenendo ridotta la percezione del fondo, del campo, da cui emerge.

Il modo di manifestarsi delle fluttuazioni percettive può assumere diverse forme. Se la fluttuazione, nel sensibile, è vicina, permette di riconoscere più forme rispetto a quella lontana (nell’accezione spaziale comune). Parti che si somigliano sono più riconoscibili di altre, che si differenziano e che formano lo stesso campo percettivo; la fluttuazione percettiva cambia ancora, se è delimitata da qualche cosa, come un lago all’interno di montagne, una figura onirica specifica all’interno del tessuto del sogno.

Inoltre, il loro movimento costante indica certi parametri, maggiormente riconoscibili, rispetto ad altri che si muovono casualmente. Se non si controllano le proiezioni, il corrispettivo interiore dell’esperienza memorizzata, che va a percepirsi, può determinare differenza di percezioni: si osserva meglio ciò che è stato più e più volte già osservato, partecipato.

É abbastanza difficile spiegare questi processi, in quanto gli eventi cambiano continuamente: il livello di autoconsapevolezza dell’Io-psyché può situarsi sull’autopoietico o rimanere fisso sul sensibile acquisito. Un esempio. Nel primo caso, si annullano i rapporti spaziali tra colui che percepisce e il tema percepito. Nel secondo, a causa della non consapevolezza dell’autopoietico, dell’Universi-parte, si cade nei riferimenti spazio-temporali convenzionali e la differenza risulta essere molto significativa.

Nell’autopoietico, non esiste lo spazio-tempo ed anche il tema percepito è visto come campo di forza che irradia nel DNA, nell’atomo, e oltre. Nel sensibile, la forma si aggrega e assume specifiche morfologie, legate all’ingresso nella dimensione spazio-temporale convenzionale. Una volta aggregato, formato, l’oggetto appare come se fosse cristallizzato nel sensibile: non perde la propria morfologia. Può essere spostato nello spazio-tempo e accade che, anche allontanandosi dall’osservatore, non perda le proprie caratteristiche. Voglio specificare che l’Io-psyché è organizzato per riconoscere-dedurre che un oggetto che si allontana rimane della stessa grandezza, nonostante la percezione, rispetto allo spazio-tempo, avvenga da una distanza maggiore e susciti la sensazione di rimpicciolimento. Quando un oggetto si allontana dall’Io-psyché che lo sta percependo, essendo questi consapevole della morfologia dell’oggetto stesso, la percezione irradiata tende a correggere gli effetti dell’allontanamento e, quindi, del conseguente rimpicciolirsi. Anche quando diviene un puntino, in noi rimane la consapevolezza della sua morfologia. Ciò dipende dal fatto, per cui l’olistico-autopoietico complessivo ingloba quella distanza. Partecipando-osservando un oggetto nella sua aggregazione-morfologia sensibile, esiste un livello della fluttuazione percettiva, per cui si tende a vederlo e a riconoscerlo sempre nello stesso modo. Ebbene, questo contributo alla cristallizzazione sensibile deve essere destrutturato, Risalito e transmutato. Tutto ciò fa parte dei principi attivi autopoietici. Rileviamone alcune applicazioni nel sensibile. In qualunque modo e in qualunque circostanza, possiamo riconoscere un oggetto, una persona o una situazione che percepiamo frequentemente (per esempio, un familiare), che mantiene sempre la stessa forma. La modulazione percettiva irradiata è quella ed è quella stessa radiazione che si ripete, che ci può far riconoscere il tema, anche da una sola sfumatura o da un singolo particolare. Tutti i temi sensibili hanno sostanzialmente, o per lunghi periodi, una costanza di forma. Un albero, il terreno, l’aria (…), alla percezione, sono sempre in quel modo, anche se cambiamo l’angolazione dell’osservazione: la forma codificata irradiata è quella.

Gli eventi iniziano progressivamente a modificarsi, quando applichiamo la percezione agli stati coscienziali e ai principi attivi autopoietici che li formano. Lì, osserviamo che le forme che si aggregano e si cristallizzano tendono a modificarsi, fino a riconoscere il dinamismo degli archetipi autopoietici, dello stato coscienziale Sigmasofia. Possiamo ritrovare tale costante cristallizzazione nel mantenimento della posizione di un ente nel sensibile, rispetto all’Io-psyché che lo percepisce. Nell’autopoietico, i processi sono differenti: è tutto l’Universi-parte che, in realtà, è dinamico, è tutto il campo di forza complessivo, di qualunque manifestazione sensibile, ciò che si muove. Ciò si evidenzia in particolar modo durante l’applicazione di alcune specifiche tecno-ontos-sophos-logie Io-somato-autopoietiche di non località, che propongo.

La continuità di percezione, sempre delle stesse forme, con gli stessi colori, dipende dall’assenza di Risalita al piano autopoietico, che moltissimi dimostrano. A quel livello, non c’è più continuità, tutto diviene danza autopoietica. È possibile reintegrare la condizione autopoietica percettiva con quella acquisita, dinamizzandola, rendendola viva, danzante, e non cristallizzata.

Nel sensibile, nello spazio-tempo convenzionale, vige inoltre, la legge della successione degli eventi. La prima, la seconda, la terza azione, il primo, il secondo, il terzo oggetto che percepisco davanti a me, ci danno l’idea di distanza, di profondità dell’uno, rispetto all’altro. Questo succede, perché, attraverso la percezione, proiettiamo la riduzione, l’ostacolatore frattura, ossia non siamo consapevoli dell’olistico-autopoietico. A questa successione, si possono abbinare processi come le ombre, i chiaro-scuri che ci permettono di individuare la forma di un oggetto che, rispetto ad un punto, ci dà l’idea di profondità, di larghezza, di altezza, di movimento. Anche la percezione percepisce nel movimento la prima, la seconda, la terza forma, quindi la successione temporale, ma, attraverso la Concentrazione-transmutazione autopoietica, entrando nella consapevolezza dell’Universi-parte, queste distanze scompaiono, la velocità scompare, in quanto è tutto l’insieme a muoversi, a vibrare. Scompaiono anche le quattro dimensioni, così come le concepiamo, e si entra in un’altra, la Sigmasofica, che le contiene tutte. In questa condizione, cambiano molti parametri. Ne indico alcuni. Come campo di forza, si è olospresenti, fatto che annulla la successione, in quanto non si hanno più i riferimenti convenzionali e lo spazio-tempo va in remissione. Una condizione di autopoiesi continua non ha bisogno di riferimenti, di sponde. Non esistono errori proiettivi (talvolta, in treno, si ha la sensazione di spostarsi, quando invece si è fermi, ed è il treno che guardiamo dal finestrino a muoversi), perché si sente di essere parte non separata dall’una e dall’altra possibilità.

Ed ancora. Con l’effetto stroboscopico, o guardando i lumini di Natale che si accendono in successione, si ha la sensazione che la luce cammini, ma in realtà è prodotta da lampadine fisse. Nell’autopoietico consapevole, ci si rende conto che i principi attivi autopoietici sono fermi e nello stesso tempo in movimento, in riferimento al campo M.A.C. complessivo, transfinito, di cui sono parte e in cui muovono.

Sono possibili molti effetti e molti giochi. Si può affermare che la percezione autopoietica è una delle condizioni raggiungibili dall’Io-psyché: possono mettersi in remissione tutte le fluttuazioni percettive e le diverse riduzioni interpretative, condizione che si può raggiungere, rivoluzionando le modalità di relazione con se stessi e con l’altro, con l’Universi-parte (in questo caso, il termine rivoluzionario è riduttivo).

In conclusione, posso dire che la radiazione percettiva, così come la riconosciamo, è frutto sia dell’innato che dell’acquisito. Si tratta di livelli di autoconsapevolezza che devono viaggiare insieme: tanto penetro e riconosco le transfinite regioni olistico-autopoietiche, tanto questa consapevolezza dev’essere utilizzata nella percezione, per così dire, esterna.

Utilizzando specifiche intenzionalità, l’Io-psyché e la radiazione percettiva possono essere selettivi e orientati dalle pulsioni dell’aggredior (In caso di fame, saranno orientati verso il cibo, in caso di sete cercheranno l’acqua, e così via).

Percepire la percezione è una delle porte reali al sovrasensibile.

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