L’immagine è la figura interiore o esterna, creata dall’Io-psyché e riconosciuta attraverso il processo della vista.
Dentro sé, l’Io-psyché costruisce l’immagine di un elemento esterno o interiore e ne può osservare la morfologia, anche ad occhi chiusi: ne può percepire, conoscere, individuare interiormente le caratteristiche più che tridimensionali, la forma, il colore. Si tratta di un parente stretto della facoltà di concettualizzare. Applicata al tema cosiddetto esterno, per essere riconosciuta, tale immagine è comunque sempre parte integrante e non separata dell’Universi-parte che siamo.
Deriva dal latino immago che significa immagine; e proviene da imitaginem o mimaginem, dalla radice greca mimos che significa imitatore. Approfondiamo.
L’Io-psyché può creare l’immagine di un oggetto, anche quando questo non c’è, attribuendovi un significato-significante. Alcuni ricercatori riferiscono di poter creare un’immagine e di abbinarla ad un pensiero-idea che producono, altri rappresentano contenuti della propria conoscenza.
Esplorando, l’Io-psyché può attingere e creare immagini registrate in costellazioni inconsce, memorizzate che, ovviamente, nel momento in cui le raggiunge, diventano consce. L’immaginare è una facoltà necessariamente consapevole dell’Io-psyché (se fosse inconscia, non se ne accorgerebbe).
Durante la fase R.E.M., l’Io-psyché produce serie continue di immagini, più che tridimensionali. Le spezzetta, le modula, le modifica: a volte, sono nitidissime e non associate o abbinate a null’altro. A seconda del grado di consapevolezza vissuta, possono modificarsi, assumere forme diverse. Per esempio, l’Io-psyché produce l’immagine del proprio schema corporeo, che può essere modificata dalle interpretazioni e dal vissuto.
L’immagine creata da un Io-psyché che non ha ancora scoperto che il soggetto non è separato dall’oggetto partecipato-osservato è profondamente diversa creata da chi ha saputo vivere la realtà indivisibile tra soggetto e oggetto: un’unica immagine complessiva, non divisa né divisibile, rispetto a quella che considera un elemento per volta, l’uno separato dall’altro.
Percepire attraverso i sensi significa anche irradiare immagini che trovino corrispondenza con l’elemento percepito: quella parte di noi, che denominiamo mondo, fa parte dell’immagine che lo traduce.
Il mondo (noi stessi) è esattamente come l’Io-psyché e le sue facoltà lo edificano e, a seconda del livello di autoconsapevolezza, questi parametri possono modificarsi.
Quando sull’immagine che corrisponde all’oggetto o al ricordo percepito, proiettiamo ancora altro di diversa natura, può verificarsi una sovrapposizione, che dà vita a forme di visioni autopoietiche, facenti parte di peculiari ipersensibilità.
Spesso, in conseguenza di interpretazioni proiettive, i ricercatori in formazione mostrano di investire e di creare immagini che fanno vivere loro un quadro erroneo, rispetto alle reali caratteristiche del tema interiore o esterno, osservato o immaginato.
Nei momenti di passaggio dimensionale tra la veglia e il sonno e viceversa, si può osservare un fluire di immagini tridimensionali, con intensità superiore: infatti, in quel momento, l’Io-psyché è meno ancorato alle identificazioni quotidiane, quindi, c’è più flusso delle cosiddette immagini ipnagogiche e ipnopompiche.
Nella coscienza, è registrata ogni forma di immagini, anche arcaiche, dagli inneschi originari: è facoltà dell’Io-psyché raggiungere quel livello di introspezione arcaica. Spesso, quelle stesse immagini sono collegate a processi collettivi, ma essendo parti dell’Universi, si può benissimo indicare il collettivo come una caratteristica propria del corpo unico che siamo.
Come per la facoltà del concettualizzare, è facile assumere che anche il processo dell’immaginare sia edificato dai principi attivi autopoietici da cui nasce, quindi anche l’immagine, di qualunque natura, è un ente da risalire e da transmutare, per vivere ciò che la forma. Si sta evidenziando che ogni forma sensibile è, di fatto, una porta che conduce al campo coscienziale olistico-autopoietico che l’ha edificata: l’Io-psyché deve soltanto riscoprire tale funzionalità. Quando le sue facoltà sono orientate verso la propria componente innata, accade che anche le immagini si modifichino, per dare il via a vissuti olistico-autopoietici che spesso non sono, di fatto, traducibili con le parole: più ci si spinge in profondità, più questa intraducibilità concettuale, in immagini, in pensieri o in idee, risulta impossibile. Sono luoghi, in cui operano funzionalità autopoietiche che, da quanto si partecipa-osserva, sono rarissime da vivere.
Le vie della Concentrazione-transmutazione autopoietica, applicata, a noi stessi sono transfinite.