VIA DI CONOSCENZA SIGMASOFIA

FONDATORE

Nello MANGIAMELI

∑ophy

Official web site

Home » I saggi » 24. La Sessualità » CAPITOLO SECONDO

CAPITOLO SECONDO

GLI OSTACOLATORI E LE DISCRASIE AL VISSUTO DELLA SESSUALITÀ DELLA CONOSCENZA



Ostacolatore di congiunzione-penetrazione

Y, il due che diventa uno,
il maschile e il femminile uniti
ossia il figlio:
il riferimento verso il vissuto dell’androginia.

Quando, durante le conferenze o gli stages, parlo di congiunzione e di penetrazione, la stragrande maggioranza delle persone pensano all’atto sessuale. La questione è legata al congiungersi e a penetrare l’altro per fecondarlo o, all’opposto, per essere penetrati, per essere fecondati. Ma, quella indicata è soltanto una delle possibilità. Moltissimi vogliono penetrare, congiungersi, in funzione del piacere che tale atto consente di provare, di sentire. Lo steso vale per chi si apre alla penetrazione e desidera essere penetrato. Ma, la congiunzione e la penetrazione hanno in sé l’elemento fusionale autopoietico. Durante l’atto sessuale, i corpi si compenetrano e possono vivere la sensazione di perdita di confine della propria cute (ho vissuto e rilevato molte testimonianze in questo senso). Il pene, all’interno della vagina, ritrova lo stato di fusionalità: non c’è separazione tra i due e questo, per risonanza, può richiamare l’elemento di fusionalità da cui proveniamo, quando eravamo in uno stato di osmosi con il corpo della madre. Abbiamo visto che, in quei nove mesi, durante l’edificazione del corpo, l’estasi proveniva proprio dalla capacità di autopoiesi, lì in atto. Ribadisco che, dalla mia esperienza diretta e da altre testimonianze, quando si riesce a rievocare quei momenti di auto-costruzione del proprio corpo, si sente lo stato di estasi-instasi, di Sigmasofia che potrebbe essere definito un piacere-beatitudine più intenso di quello che normalmente si prova nell’atto sessuale e di ciò che, erroneamente, denominiamo orgasmo.

Tutte le Autopoiesi Io-somatiche si compenetrano e sono in risonanza tra loro, sono forme di richiamo. Essendo tutti i piani collegati, da quello dell’Io-psyché a quello autopoietico, il congiungersi-penetrare non potevano restare separati. Quante volte, attraverso gli argomenti dell’Io-psyché, vogliamo penetrare, farci ascoltare dall’altro, per fecondarlo, per fecondarlo, per indurgli un processo che potrebbe dare vita a nuovi pensieri? Quando accade, si realizzano attività creatrici e la creazione è qualche cosa che abbiamo già autopoieticamente registrato nel DNA. Ma, veniamo al punto. Se io penetro l’altro, mi congiungo, in qualche misura l’latro mi incorpora, m’introietta, mi divora. Ed io, dove sono, se sono dentro, all’interno dell’altro che talvolta mi contiene e mi avvolge?

Il corpo è pieno di buchi, che alcune funzioni possono penetrare! Ci si sente osservati, penetrati, anche profondamente, dalla vista dell’altro; l’odore può inserirsi nelle mie narici e viceversa; la mia voce, il suono possono entrare attraverso l’udito; dalla pelle, posso far entrare sensazioni tattili, prodotte dall’altro. Il modo di reagire parla anche dello specifico modo, scelto dall’altro, per comunicare con me.

Quanto durerà questa introiezione dell’altro?

Che effetti avrà su me?

È vero, prima di arrivare a questi nuclei fondamentali, ho ascoltato tante spiegazioni, molte razionalizzazioni, ma tutti i ricercatori che hanno saputo proseguire il loro percorso sono riusciti a raggiungerli. Ebbene, ora sappiamo che quell’orgasmo è il picco, la sensazione percepibile di un processo molto profondo: è quanto riesce a raggiungere il piano sensibile della condizione estatica, sigmasofica, normale per l’attività di autopoiesi continua.

Per essere onesti al massimo, i ricercatori più arditi possono intuirlo. Viverlo, richiede la capacità di rievocare quel ricordo o di arrivare, come consapevolezza, a quei nuclei. L’Io-psyché, però, si rende conto che è difficilissimo essere consapevoli di quei momenti. Ciò dipende dal fatto che dev’essere allenato, potenziato, per poter raggiungere quel ricordo ma, spesso, non ne ha la forza. Quindi, non può far altro che muoversi intorno ai nuclei dell’archetipo c.a., delle pulsioni di sopravvivenza. Lo scollamento, l’incapacità di risanare la frattura della consapevolezza sono gli ostacolatori, le condizioni che ci spingono sempre a tentare di penetrare qualche cosa, a congiungerci, a ritrovare la fusionalità olistico-autopoietica. È ciò che ci costringe a rimanere identificati, soltanto nelle funzioni acquisite dell’archetipo c.a., ma che continua dal profondo a farci sentire incompleti, inadeguati. Si spiega, così, la spinta che hanno molti ad incontrare persone sempre nuove, a congiungersi con chiunque. Sono impulsi, provocati da moti più profondi e non riconosciuti.

Anche se comune a tutti, l’archetipo c.a. coincide con la base dell’identità, dell’individualità: io, con il corpo, devo trovare cibo, acqua, evacuare (..), e questo fa nascere l’Io e il Tu, ma, la risposta è nella fusione, lo spermatozoo e l’ovulo uniti, dove l’Io e il Tu non c’erano, tutto si compenetrava. Sappiamo anche che, per alcuni ricercatori, entrare in fusione con l’altro significa abbandonare l’identità, e questo può richiamare sensazioni di non farcela a sopravvivere. Quando ero nella condizione di zigote, i metabisogni autopoietici fondamentali venivano esauditi automaticamente: un mosaico di sensazioni contrapposte che l’ostacolatore di penetrazione, di congiunzione, dell’archetipo b., non risalito, può risvegliare. Per questo, le spinte a penetrare ed essere penetrati, a ricevere ed essere ricevuti, a rigettare, ad assorbire, sono così frequenti: il desiderio, la paura, l’accettazione, il rifiuto, e tanti derivati. Tutto questo può trovare una soluzione possibile nel vissuto consapevole dei principi attivi autopoietici, irradianti l’atomo, il DNA, vissuti nella loro azione in uscita, verso il sensibile e, a monte, verso il sovrasensibile, ossia verso gli archetipi formatori.

Vedremo che, tra gli strumenti per superare questo ostacolatore, c’è l’archetipo Io-psyché e la funzione Ypsi (noi stessi). Rappresentano il potere di integrare, consapevolmente, l’identità individuale, la fusione e l’autopoiesi continua, facoltà che determinano simultaneamente l’autonomia fusionale autopoietica.

Per questioni meramente acquisite, il socio-culturale di molti Io, popoli, tradizioni, in diversi modi, ha subito trattamenti di repressione, anche rispetto alla sfera sessuale. Così, accade che l’Io-psyché del ricercatore, quando incontra la pulsione sessuale, spesso si organizza per ostacolarla, per deviarla, per inibirla. Questa operazione crea l’esperienza dell’atto ostacolante, che viene registrata. Tale atto può successivamente essere incontrato e l’incontro con tale repressione viene vissuto come sintomo, ci si trova di fronte, cioè, all’atto con cui si è bloccata la pulsione autopoietica: per questo, il sintomo è sempre simbolo di ciò che rappresenta. Abbiamo visto come il sintomo non sia il sistema utilizzato dall’Io-somatico, per scaricare ciò che rappresenta, ma soltanto e semplicemente l’indicatore del processo che segnala: non scarica alcuna quantità di autopoiesi in eccesso, semplicemente avverte.

Ogni Io-psyché p espressione dell’attività, del cammino filogenetico ed ontogenetico e, in questo procedere, si è formato in specifici modi, tra cui gli ostacolatori dell’archetipo B., di cui l’ostacolatore congiunzione assume una veste significativa. Tale organizzazione Io-somatica ostacolante, spesso sessuofobica, viene trasmessa di padre-madre in figlio, ed è possibile percepirla direttamente nell’inconscio acquisito. L’Io-psyché la vive nella misura in cui ci si identifica, e non riesce a disidentificarsi dal proprio acquisito. Tutti i processi di repressione, in ultima partecipazione-osservazione, non sono mai del cosiddetto ambiente socio-culturale in cui si è inseriti e ci si riconosce, bensì sono sempre dell’Io-psyché di ognuno, che può assoggettarsi o meno a quell’imposizione, a quel divieto, a quel tabù. Anche se la norma sociale dovesse prevedere l’evirazione, l’imposizione coercitiva violente, ognuno può decidere se conformarsi o meno a quella parte dell’Universi-parte.

Nel patrimonio filogenetico e ontogenetico, esiste sempre e prevalentemente la componente autopoietica. È quella che si trasmette maggiormente, sulla quale s’inscrivono le storie acquisite, che hanno di limiti, delle sessuofobie, ma che poggiano e nascono da funzionalità autopoietiche transfinite. Infatti, se percepita non in uscita, ossia in chiave di realizzazione sensibile, ma a monte, in chiave dei principi attivi autopoietici, creanti la pulsione, l’aggredior stessa ci permetterà di scoprire questa dimensionalità, al di là dello spazio-tempo convenzionale, transfinita. L’istanza dell’Io-psyché che esercita l’ostacolatore Difese-Resistenze-Repressione, è acquisita, è norma convenzionale socio-culturale, in cui l’Io-psyché s’identifica, che agisce e che ognuno eredita e acquisisce, vivendo: tutto questo poggia su principi attivi autopoietici che non hanno in sé le riduzioni, i collassi, i limiti, propri dell’acquisito. In esso, troviamo costellazioni registrate che ci indicano, ad esempio, il divieto socio-culturale di congiungersi sessualmente con i genitori o con i figli: come questo, ne esistono moltissimi altri che hanno pari dignità, ma che sono comunque tutti da risalire e da transmutare.

L’io-psyché dispone di tutte le funzionalità Io-somato-autopoietiche, di cui è consapevole: è lui, che, attraverso tale consapevolezza, dovrà utilizzarle per interagire, vivere, con quel campo unico che sono il mondo interiore e quello esterno. Durante tale operazione, dovrà funzionare tenendo conto di tutti gli archetipi alfa, in particolare degli ostacolatori e, nella misura in cui è identificato o disidentificato da essi, interagirà e si relazionerà con se stesso e con il mondo. Esistono ostacolatori che sono vivibili, come un nucleo che concentra in sé la somma delle proibizioni acquisite introiettate. L’Io-psyché che non trova forme di autonomia da questi suoi contenuti, in cui è identificato, non potrà relazionarsi o creare in modo scaturente direttamente dell’autopoiesi che lo forma, applicando ciò alle realizzazioni acquisite, su cui sta lavorando.

In caso di castrazione della pulsione dell’Io-psyché o di difficoltà a soddisfarla, può accade che ripieghi l’investimento su se stesso (per impossibilità di realizzazione, da verbalizzazione) e quindi ritrovi tale pulsione all’interno di sé. In questo caso, ho assistito ad Io-psyché che hanno ampliato l’immaginazione, l’investimento masturbatorio di tale pulsione su loro stessi, o ad altri che l’hanno convertita in particolari ricerche, hobby, studi, o che sono entrati in meccanismi d’interpretazione del proprio Io-psyché, in quanto la pulsione emessa non trovava possibilità di essere ricevuta. In realtà, anche se inizialmente ebbi la sensazione di trovarmi di fronte a forme di sublimazione, potei scoprire che non era così (se non per l’interpretazione che ne davo). Infatti, la pulsione autopoietica, l’elemento con cui avevo a che fare, inglobante tutto l’archetipo c.a., e non soltanto la sessualità, così come ogni forma, ogni stato coscienziale, è emanazione di tale campo. Quindi, non può esserci sublimazione, se l’elemento da cui si parte è la facoltà di autopoiesi continua, intesa in senso olistico, e questa si trova all’essenza. Diviene sublimazione (per l’interpretazione, per lo stato identificativo), quando non si parte dall’autopoiesi, ma già da un suo applicativo, ossia quando tale pulsione olistico-autopoietica è già divenuta pulsione sessuale e quando questa, incontrando il tema, viene negata e decide di spostarsi sulla scienza, sull’arte o su altro. Il punto è riportare l’Io-psyché ad essere consapevole della propria facoltà autopoietica, e questa diviene semplice creazione dello stato coscienziale e no sublimazione.

Tornando agli ostacolatori della S.d.C., si può osservare che il tabù sessuale di alcuni è molto intenso, e che spesso rappresenta un’identificazione così forte da inibire qualsiasi espressione collegata a quel piano, con particolare riferimento, paradossalmente al piacere corporeo. Si osserva che il raggiungimento della dimensione fusionale richiama immediatamente la dimensione affettiva-sessuale-sensuale e questo a causa del tabù, dell’ostacolatore che determina autovalutazioni di colpevolizzazione e di autoproibizione. Durante le verbalizzazioni, no è raro ascoltare frasi del tipo che io ricordi, i miei genitori non mi hanno mai toccato né abbracciato (…). Ho potuto anche osservare che questo ostacolatore può essere traslato, proiettato nella relazione con i bambini. Ogni contatto corporeo con loro, lo vivo come sessuale! (da verbalizzazione). Per quanto abbia potuto finora notare, in palestra e nella vita, la componente fusionale, unitamente a quella affettiva-sessuale-sensuale (così come tutte le altre), è stata del tutto transmutata: dalla sua semplicità originaria è stata spostata su processi complessi, intellettualizzati e fortemente ostacolanti il fluire naturale. Quando si approfondisce, si comprende che, malgrado ciò che osserviamo ovunque (in TV, al cinema, nella pubblicità, sulla stampa, nel mondo), la cosiddetta liberazione sessuale è molto lontana dalla realtà. Ho seguito il caso di una donna che, pur avendo praticato numerosissimi rapporti sessuali, disse: Sento di non conoscere minimamente la mia sessualità, non so cosa sia! Aver decolpevolizzato il piacere del corpo on significa affatto conoscerne la sfera fusionale-affettiva-sessuale-sensuale, tutte componenti del campo istintivo-emozionale.

Un corpo acceso, in vita, normalmente alimentato dal campo morfo-atomico-coscienziale, da cui emerge è, a quel livello, in una condizione di fusionalità: non si tratta, quindi, di un processo culturale acquisito, ma di presenza nell’essenza delle cose. Muovendo alla radice di noi, del cosmo, è inevitabile che l’io-psyché, inconsapevole, sul piano della percezione interiore diretta, la ricerchi, la voglia trovare nell’azione, nella relazione. L’archetipo campo istintivo-emozionale e le pulsioni di sopravvivenza che veicola nascono dal campo morfo-atomico-coscienziale e per questo è inevitabile che tali forze siano sempre in circolo, con particolare riferimento alla pulsione di sopravvivenza del congiungersi, in cui inglobo la componente affettiva-sessuale-sensuale. Infatti, da quell’atto creiamo la vita, la Y, il due che diventa uno, il maschile e il femminile uniti che sono il figlio: il riferimento verso il vissuto dell’androginia.

La presenza dell’archetipo c.a. è sempre in atto, la sua componente di piacere, che veicola la possibilità di connessione con l’autopoiesi, è l’elemento per cui questa dimensione è sempre presente, in circolo. L’essere sempre in atto è uno dei motivi che contribuisce a spiegare la presenza dell’incesto, nella vita relazionale di alcuni ricercatori che ho avuto modo di seguire.

Spesso, si osserva che i ricercatori in formazione si lasciano assorbire dalla sola componente affettiva-sessuale-sensuale, senza mai tentare di penetrare, esplorare, risalire la transfinita dimensione fusionale, in cui le forze dell’autopoiesi continua operano e muovono! Alcuni di loro cercano di viversi tutto (così hanno verbalizzato), praticando continuamente la sessualità genitale, finalizzata al piacere dell’orgasmo e non riescono ad ampliare la propria esperienza!

Se lasciamo che tutto funzioni secondo natura, accade che l’accesso a ciò che chiamiamo orgasmo avvenga molto velocemente, ma in una misura sufficiente per iniziare a farci capire che cosa potremmo trovare, vivere; ma questa toccata e fuga dai principi attivi autopoietici, che immediatamente ci ricollega e ci identifica nel corpo e che conosciamo come brama, deliquio, per molti è vissuta già come un obbiettivo notevole. Però, di fatto, nel momento dell’eros (come in altri), l’Io-psyché può vivere la presenza simultanea dell’acquisito e dell’autopoiesi, iniziando anche a riconoscerli come campo unico, vivendo che l’identificazione dell’Io-psyché nel solo corpo, nel solo sensibile, è una forma di riduzione, d’incompletezza.

È utile osservare che, malgrado le folgori autopoietiche di beatitudine, d’instasi, siano velocissime e poi immediatamente collassate al solo sentire corporeo (locale), è sufficiente per innescare ostacolatori dell’Io-psyché che proiettano immaginariamente su altri la voglia di sensualità-sessualità, ma che, se vissuta senza un’adeguata forgiatura complessiva dell’Io-psyché, verrà ridotta alla sola pulsione sessuale, nervosa, potendo intuire, soltanto per pochi attimi, possibilità estatiche che si sente non attuarsi mai. Tale voglia di vissuto olistico-autopoietico, non meglio riconosciuto, dà luogo a forme proiettive parossistiche della brama, che, pur tentando di aprire l’Io-psyché a vissuti olistici, può accadere, invece, che lo incastrino, lo identifichino su loro stesse, in un circolo vizioso senza fine. La fissazione su quel piano spiega la spinta fortissima di alcune pre-adolescenti (che ho seguito, per un breve periodo di tempo) verso la sessualità. Cercavano una condizione di contenimento fusionale profondo, ma l’unico modo che conoscevano era la genitalità e soltanto l’unione dei corpi dava loro la sensazione di colmare quel bisogno profondo!

Questo è uno dei motivi, per cui la sensualità-sessualità si prepara anche in luoghi, in vissuti che non sono l’attuazione pratica. L’Io-psyché si forgia e si potenzia su tutti i piani e con questo potenziamento si presenta all’atto sensuale-sessuale, potendo così penetrare e risvegliare maggiori insights autopoietici, che potranno essere normalmente fruiti, innescando un virtuosismo, una sinergia che progressivamente farà penetrare sempre più la manifestazione sensibile dell’eros, fino ad in contrarne i principi attivi autopoietici non locali.

Comunque, il meccanismo ridotto, collassato, incompleto, in cui molti Io muovono rispetto alla sessualità, è pur sempre funzionale (e funziona) alla riproduzione, ma, suscitando nel deliquio e nella brama, forme d’incompletezza intuita, sentita, spinge spesso l’Io-psyché verso un pellegrinaggio sessuale-erotico che non potrà mai dare risposte tendenti al completo, se non viene vissuto secondo la progressione indicata. Rendendo, quindi, il processo incompleto, non è possibile vivere il principio autopoietico non locale, ossia il punto d’incontro di consapevolezza vissuta, in cui due Io-psyché possano trovare forme di beatitudine, d’instasi, di estasi. Soltanto questo punto d’incontro, di movimento autopoietico, determina una forma maggiormente evoluta di sessualità, di eros, di cui la brama, il deliquio, il piacere sono forme riflesse e ridotte. Effettivamente, c’è un ponte tra piacere-brama-deliquio e autopoiesi, ma se l’io-psyché non trova la capacità di continuità consapevole di vissuto tra essi, di fatto, li sente scissi, disuniti, e non può far altro che cercare e ricercare pratiche sensuale, sessuali, senza mai viverle realmente.

La ipervalorizzazione genitale è l’esatto opposto del tabù sessuale, del divieto corporeo, da cui siamo partiti: l’enantiodromia, gli ostacolatori sono sempre in atto. Ma, pur determinando scariche continue di piacere, la maggior parte degli Io non ce la fa colmare il vuoto, l’insoddisfazione di cui molti riferiscono, appunto perché la sessualità-sensualità è parte integrante di un campo vastissimo, dell’archetipo c.a. e del campo morfo-atomico-coscienziale e di aggredior che entra in circolo: che porta attenzione a questo, sentirà, percepirà come, dallo stato di normalità funzionale, la corrente dell’eccitazione, riconoscendola con precise Autopoiesi, inizi ad entrare in circolo! Si è visto che, tra i tanti modi di Concentrazione-transmutazione autopoietica possibili, il mantenere costante, in azione, questa eccitazione, questo piacere diffuso (senza raggiugere ciò che chiamiamo orgasmo) è la condizione di base per proiettare l’Io-psyché verso i luoghi da cui quel piacere stesso, quell’eccitazione stanno nascendo: il campo morfo-atomico-coscienziale, innato. Se utilizzata sapientemente, la S.d.C. può diventare la porta, da cui entrare nella fusionalità, nell’autopoiesi continua, secondo percezione diretta, coinvolgendo la totalità del corpo in relazione. Si tratta di una vera e propria danza, di una preghiera!

La presenza della sessualità non annulla la possibilità di soddisfare l’affettività separatamente, anche se una è parte dell’altra, come di molti altri stati coscienziale! Autopoieticamente, come processo funzionale e campo di forza che le forma, non è possibile separarle: si compenetrano esattamente come l’onda fa con l’oceano! Ciò non significa che l’Io-psyché non possa scegliere di viversi specificamente la genitalità, separata dall’affettività e l’affettività, separata dalla genitalità, di identificarsi nella propria scelta, sul piano della relazione sensibile, convenzionale. Ma il ricercatore in formazione deve arrivare a sapere, attraverso il vissuto, che quei campi di forza dell’aggredior sono autopoieticamente in azione (e l’Io-psyché può raggiungerli), come spesso accade durante le Autopoiesi Io-somatiche, quando vivendo un momento affettivo, improvvisamente, l’Io-psyché innesca la pulsione sessuale. Sono tutte differenziazioni, distinzioni, realizzate dal pensiero.

C’è da osservare che è necessario riuscire a vivere l’archetipo c.a. completamente, se si vogliono comprendere le inevitabili identificazioni, i tabù o le iper-valorizzazioni che osserviamo nei ricercatori in formazione. Se l’Io-psyché vive per intero l’aggredior e le sue pulsioni complessive, non arriverà mai a forme d’identificazione specifiche, anche se potesse attuarle. I principi attivi autopoietici della sessualità-sensualità in circolo non sono affatto un problema e possono esprimersi, a sostegno dell’azione, senza necessariamente materializzarsi nella genitalità o in altre forme. È l’Io-psyché che può decidere, se specializzare o meno quello specifico campo di forza. Ad esempio, vivere con questo campo di forze continuamente in circolo può aumentare la funzionalità dell’Io-psyché, ossia possono irrorarsi con maggiore intensità i processi della percezione e dei sensi, degli stati coscienziali (è un atto personale indipendente dal significato-significante che assume).

Il contatto a mediazione corporea, di per sé, non è mai equivoco, se non per l’Io-psyché che lo interpreta, che lo analizza.

Ostacolatore innamoramento

È il matrimonio olistico-autopoietico
Con se stessi, l’universi, l’elemento,
da non tradire, indissolubile.

Lo stato coscienziale denominato innamoramento è una facoltà producibile da ogni Io-psyché, che si avvale dell’uso di specifiche aree del cervello e del sistema nervoso. Tale stato di coscienza può durare più o meno tempo e dipende dal tipo di formazione a se stessi seguito. L’azione di creazione dello stato coscienziale d’innamoramento va a stimolare specifici centri e le cosiddette droghe interiori, sviluppando nell’Io-psyché-cervello le stesse sensazioni di quelle indotte da sostanze psicotrope. Alcune sensazioni sono molto forti e intense e possono continuamente ripetersi, determinando uno stato paragonabile a quello ossessivo, che coincide, più precisamente, con quell’impulso, con quella spinta irrefrenabile a compiere atti, la cui mancata realizzazione, di solito, è registrata come dolorosa, angosciante. Quell’Io-psyché, se non formato adeguatamente a se stesso, si trova costretto a quell’azione, in modo talvolta incontrollabile. A volte, tali azioni compulsive portano a pensare soltanto all’ente, su cui si investe tale stato coscienziale, credendo addirittura, e incredibilmente, che sia stato proprio l’ente su cui si investe tale stato a crearle, perdendo di vista che, al massimo, egli è un semplice innesco. Se lo stato Io-somato-autopoietico, denominato innamoramento, fosse riconosciuto in tuta la sua estensione e funzionalità, sia in uscita (l’ente su cui è investito e relativa funzionalità) che a monte (il vissuto dei principi attivi autopoietici che lo formano e le relative funzionalità), l’Io-psyché sarebbe ad un grado di autoconsapevolezza più ampia, rispetto a quella che normalmente viene indicata. Se tale autoformazione fosse realizzata, i terapeuti avrebbero molto meno lavoro, così i tribunali e molti altri settori.

Lo stato coscienziale innamoramento non è tra i più forti e intensi, ma occupa una posizione significativa, in un’ipotetica gerarchia, tra gli stati coscienziali. Il fatto che, in quella situazione, il polso acceleri, le mani sudino, il respiro si accorci, ci sia tremore degli arti, lo stomaco si contragga fino a produrre talvolta crampi o ancora che l’Io-soma produca euforia, contentezza, agitazione, forme di gioia, o che quell’Io-psyché si assuma di più il coraggio, tanto da osare azioni normalmente impensabili, il fatto che tutte le attenzioni siano concentrate e identificate sull’ente dell’investimento affettivo, dipende da un utilizzo incompleto di tale stato . l’innamoramento è producibile da ogni Io-psyché, indipendentemente dall’età. La mutazione del cosiddetto normale comportamento significa che l’Io semplicemente sta utilizzando uno stato che, per intero, gli appartiene ed è possibile tecnicamente vivere, perché ciò accade. È sicuramente certo che si attivino diverse aree cerebrali che consentono di specializzare e ampliare le proprie facoltà.

Tale stato coscienziale può scattare in tempi brevissimi, come una folgore, da cui il detto colpo di fulmine. Uno sguardo, un sorriso, un’azione possono essere l’innesco di tale produzione. Ovviamente, ciò che stimola è soltanto una parte e nemmeno tanto significativa di tale facoltà. Specificamente, l’Io stimola i recettori della dopamina, che funziona da neurotrasmettitore (attiva altre aree cerebrali) e che è un neuro-ormone, rilasciato dall’ipotalamo. Agisce sul sistema nervoso, provocando l’accelerazione del battito cardiaco (da cui, il batticuore, che taluni riferiscono) e aumenta la tensione e la pressione del sangue, evidenziando tale stato all’Io-psyché che lo ha prodotto. È percepito ed è un amplificatore di aggredior, suscita sensazioni tendenti verso l’appagamento, dando il via, talvolta, al cosiddetto buonumore. Al momento della produzione dello stato coscienziale innamoramento, i livelli di dopamina sono più elevati, ed è proprio da tale attivazione che nasce il nome, appunto, di doping, utilizzato dagli sportivi, quando vogliono alterare e potenziare le loro prestazioni. Infatti, un Io-psyché, che produca lo stato coscienziale di innamoramento, aumenta le proprie potenzialità sportive. Inoltre, tale stato determina un abbassamento dei valori della serotonina. È noto che bassi livelli di serotonina sono correlati allo stato di depressione e di sconforto. Questo è interessante, poiché la dopamina stimola ciò che la serotonina invece inibisce ed entrambi i valori, nello stato di innamoramento, sono riscontrabili simultaneamente. Per questo motivo, possono innescarsi stati opposti-complementari improvvisi, ossessivi e compulsivi come alcune forme di gelosia che, per paura di perdere l’oggetto che sembra innescare l’innamoramento, determinano tali azioni ossessive e compulsive pur di mantenerlo. Ansia, angoscia, depressione: sono l’Io-psyché identificato e gli abbassamenti della serotonina, in azione. Per questi motivi, l’innamoramento può assumere valenze interpretabili da alcuni come discrasiche, ostacolanti, nel senso e con i significati-significanti di atto ossessivo-compulsivo, ossia quando si hanno gli effetti provocati dall’abbassamento dei valori della serotonina e l’innalzamento della dopamina.

Inoltre, durante la produzione di tale stato, aumentano i valori della proteina, denominata NGF, che, tra l’altro, contribuisce a formare sensazioni piacevoli. Quando questo va in remissione, gli istinti-emozioni si riducono, così come la dopamina. Il fatto che l’io-psyché e il cervello abbiano saputo produrre tale stato significa che, potenzialmente, possono sempre generarlo. Attivando simultaneamente le diverse aree del cervello e dell’Io-psyché, tale produzione bios-logica, bios-chimica, autocoscienziale dovrebbe entrare negli stati normali, ordinari di coscienza. Riuscendo a dare continuità al flusso di dopamina, senza diminuzione dei livelli di serotonina, si garantirebbe la possibilità di poter produrre, da quella base, istinti-emozioni più intensi e penetranti. Non dimentichiamo che lo stato coscienziale d’innamoramento è uno stato localistico, ridotto, collassato, rispetto ad altri stati di consapevolezza più ampi, quali il principio attivo di E.C.A. di intuitive and syncronicity Insight e dello stato coscienziale Sigmasofia. Essendo uno stato coscienziale localistico, semplice, è possibile produrlo a piacimento, a patto che si riconoscano gli atti da compiere, nella consapevolezza che si tratta di uno stato Io-somatico superiore alla norma, ma, nello stesso tempo, incompleto e che, quindi, necessita di ampliamentI: concentrazione-transmutazione autopoietica, per poter essere attraversato e raggiungere, quindi, stati coscienziali più significativi. Tale stato include ciò che conosciamo sotto il nome di attrazione e infatuazione. A queste, l’io-psyché applica i propri significati-significanti, tra cui desiderare un futuro con il partner (o con chi è oggetto dell’investimento). Tuttavia, tutto ciò, ai fini dell’autoformazione, della conoscenza vissuta dell’autopoiesi, è poco rilevante.

Dopo un determinato periodo, la formazione in Sigmasofia può consentire di tenere acceso il pathos, il campo istintivo-emozionale, poiché può facilitare la Concentrazione-transmutazione autopoietica. Ciò consente, infatti, di autorizzarsi a vivere relazioni Io-somatiche maggiormente intense ed è funzionale, ad esempio, alla decisione di riprodursi, a trovare carica, intensità d’azione. All’edificazione dello stato d’innamoramento, o successivamente, è possibile dare continuità, stimolando l’ossitocina e la vasopressina, che servono a produrre sensazioni funzionali alla comunicazione Io-somatica, sia come benessere che come conoscenza relazionale. Se l’Io-psyché riduce l’orientamento alla ricerca, al vissuto continuo di insights intuitivi e sincronici, di condizione E.C.A. e di stato Sigmasofia, la secrezione dell’ossitocina, e di tutti gli altri ormoni e proteine, tende a diminuire e il rischio di identificazione nella routine ossessiva e compulsiva aumenta. Son proprio le facoltà dell’Io-psyché di produrre pathos, stato coscienziale di innamoramento e, soprattutto la Concentrazione-transmutazione autopoietica, praticata in favore di stati coscienziali autopoietici non localistici, che pongono in remissione il processo, per cui la durata di una relazione (come il matrimonio= risulta legata al corrispettivo identificativo dell’Io-psyché.

La bios-logia, la bios-chimica, la genetica sono parte integrante dell’Io-psyché, inscindibili, ma, se non si vivono le funzionalità d’insieme di tali processi e se non si raggiunge la loro scaturigine non locale, non si potrà orientare, condurre il pathos verso l’olospatia e, successivamente, verso l’olospresenza. Significa orientarsi verso forme di riconoscimento vissuto, per cui ci si sente parte integrante con ogni singola componente dell’Universi, per orientare tali potenzialità o facoltà autopoietiche verso ogni loro manifestazione sensibile, ossia verso quella parte di noi stessi che denominiamo l’altro: un cuore e una capanna!

La coppia, convenzionalmente, è riconosciuta come forma di relazione e interazione tra due Io-psyché, identificati ognuno nella propria storia esistenziale, di cui sono consapevoli, e può assumere punti d’incontro simmetrici, fusionali, esattamente quando l’uno è complemento dell’altro, ossia quando un metabisogno può trovare perfetto aiuto, continuità e soddisfazione nell’altro e viceversa o quando l’identificazione in specifici processi dell’archetipo barriera sensibile e sovrasensibile coincide. Oppure, può essere anche semplicemente l’incontro tra due Io-psyché, per cui le identificazioni nei propri contenuti mantengono le loro forme e non interagiscono. Può evidenziarsi l’eguaglianza identificativa negli stessi contenuti acquisiti, comune identificazione che la tiene insieme. Può anche evidenziarsi, attraverso l’identificazione in stati coscienziali opposti e complementari, per cui al senso di mancanza di uno corrisponde la capacità, da pare dell’altro, di bastare a se stesso. altresì, l’identificazione dell’uno non coincide con l’identificazione dell’altro, e la coesione può consistere nel fatto che un Io-psyché possa decidere di assumere posizioni diverse dalle proprie.

Essendo l’Universi-parte, atomicamente e coscienzialmente collegato, la copia non ha alcuna realtà autopoietica: l’Io e il Tu non esistono.

Ci troviamo di fronte ad un processo propedeutico all’incontro con noi stessi, con l’universi-parte.

L’esperienza vissuta ci prova che, pur evidenziando una caratteristica peculiare, nello sviluppo dei vissuti, quella coppia esprime tutta la miriade di possibilità d’incontro! Pur rimanendo prevalente l’elemento di attrazione che, inizialmente, ne ha dato il via, quello che si osserva è che questo modo di integrazione, nello svilupparsi della vita, cambia continuamente forma: dipende dalla presa di consapevolezza di ognuno. Gli incontri di coppia, identificati nel solo acquisito, non possono tecnicamente avere una stabilità continuativa, a meno che non ci siano identificazioni ristagnanti, per anni (ma anche in questo caso si assiste a cadute nel sintomo, nella distonia).

L’interazione tra Io-psyché, non consapevoli dei principi attivi autopoietici da cui nascono, ha sempre una valenza di instabilità discrasica.

Negli stages, è classico osservare coppie simmetriche, con gli stessi interessi, evidenziare forme di competizione che, non trovando soluzioni (che soltanto la consapevolezza dell’autopoiesi può dare), sfociano in forme di aumento dell’aggredior, dell’aggressività. O altre in cui, essendo l’uno complemento dell’altro, si trovano in una condizione di fusionalità identificativa, di dipendenza fusionale, in cui l’elemento autonomia e l’essere complemento di se stessi non trova integrazione nello stato di fusionalità, potenziata dal fatto che l’altro soddisfa la mancanza. In questo caso, si verificano forme di attaccamento inaudito. Tale processo può risolversi, soltanto divenendo complemento di se stessi, possibilità dell’io-psyché anch’essa scaturente dalla consapevolezza vissuta dell’olistico-autopoietico.

Nella coppia, la continuità d’interazione, di relazione, può provocare una forma d’idealizzazione dell’altro. La capacità di poter soddisfare pulsioni di sopravvivenza primarie viene letta come processo che garantisce la vita, la riduzione dell’aggredior, e quindi sviluppa piacere, perciò si tende ad esaltare tutto ciò, che, come sappiamo, deriva sostanzialmente sempre dall’archetipo campo istintivo-emozionale.

Un ruolo importante è spesso agito dalle sfumature dell’aggredior, in particolar modo della pulsione congiungersi, della sfera affettivo-sessuale.

È ovvio che un Io-psyché, che soddisfi o che segua le nostre stesse identificazioni, è maggiormente riconosciuto rispetto a un altro che non lo fa. Il fatto che soddisfi pulsioni primarie richiama molto l’attenzione, assorbe, determinando talvolta il fatto, per cui, pur di seguire quel soddisfacimento, non ci si accorge di altre caratteristiche ed identificazioni.

Spesso, s’incontrano Io-psyché che sembrano rispondere alla propria spinta al risalire ai significati del vivere e del morire, allo stato di autopoiesi continua: se non riconosciuto alle proprie radici, questa possibilità può essere traslata, proiettata su un altro.

Una caratteristica che subito si evince nello stato di innamoramento è che questo coincide sempre con uno spostamento dell’Io-psyché sull’altro e sulle sue funzioni e capacità, che rispondono alle proprie pulsioni di sopravvivenza che non si riesce a soddisfare direttamente. Spesso, infatti, osservo che quando l’oggetto dell’innamoramento, il partner, va via per qualche motivo, l’Io-psyché lasciato riferisce di entrare in uno stato di crisi: la propria stabilità è in funzione dell’altro. Quello che era l’innamoramento, l’amore, non trovando più soddisfazione, diviene aggressività, violenza che, spesso, osserviamo investita con forza anche sul partner.

Lo stato di innamoramento verso l’altro coincide con l’esatta misura del proprio stato d’inconsapevolezza di sé, della propria incapacità di essere complemento di se stessi.

Se la sopravvivenza, il piacere, il significato-significante sono legati all’umore verso un altro Io-psyché, ci si pone, di fatto, in una condizione esistenziale di dipendenza dall’azione dell’altro. Se questi c’è e ci soddisfa, tale equilibrio è, forse, garantito; se non c’è, per qualche motivo, questo equilibrio salta, alcuni dicono: non posso vivere senza di te. Ecco l’esempio di una forma di innamoramento e dedizione così elevata che coincide con una fuga drammatica da se stessi: ti amo, da morire.

L’altro ci divora. Ma, l’altro sta anche soddisfacendo un metabisogno autopoietico. Inoltre, anch’egli, a sua volta, ha necessità di soddisfare le proprie pulsioni di sopravvivenza. Come può farlo un Io-psyché che gli si affida completamente, e è totalmente dipendente dal fatto che è soltanto l’altro a farlo?

L’Io-psyché che s’innamora, progressivamente annulla se stesso. infatti, aspettandosi che sia l’altro a soddisfare il proprio aggredior, spesso non si occupa della ricerca diretta di questa possibilità e, non esplorando se steso, non porterà mai elementi di novità nella relazione, nell’interazione, processo che dall’altro può essere vissuto come un peso. Ovviamente, ci sono molte situazioni. Abbiamo finora visto come, in realtà, il corpo sia unico. Ma, se il corpo è unico, allora l’altro è parte di me e io sono parte di lui. Abbiamo anche visto che questo stato di consapevolezza può essere raggiunto, soltanto attraverso la Concentrazione-transmutazione autopoietica, applicata ai propri stati coscienziali, all’archetipo campo istintivo-emozionale e aggredior, fino ad incontrare il campo morfo-atomico-coscienziale, il tutto è atomicamente e coscienzialmente collegato, di cui anche l’altro fa parte. In tale condizione, si raggiunge la consapevolezza di quali siano le forze che ci consentono di poter trovare la possibilità risolutiva del nostro aggredior (anche utilizzando parti del nostro corpo che denominiamo l’altro, la natura). Se troviamo questa forma di soddisfazione, assolviamo direttamente ciò che prima era soddisfatto dall’altro. Quindi, se posso farlo direttamente, l’altro, come elemento che soddisfa, può entrare in remissione: in questo senso, non serve, della pulsione dell’aggredior fondamentale, resta scoperta soltanto quella del congiungersi. Infatti il mangiare, il bere, il dormire, il respirare, l’evacuare e la pulsione autopoietica a conoscere possono essere soddisfatte direttamente, ma per quanto riguarda il congiungersi, verrebbe a mancare l’elemento della penetrazione sessuale e del provare piacere.

Considero discrasico lo stato di innamoramento, normalmente inteso, perché avviene attraverso uno spostamento, un investimento dell’Io-psyché verso l’esterno, in forme compensatorie e, quindi, ostacolanti.

Spiego.

Orientando il proprio Io-psyché verso se stesso, verso la direzione complemento di se stesso, lo si dirige verso il vissuto che gli può far trovare la forza e la potenza necessarie a soddisfare i propri bisogni. Più si entra in sé, più si arriva all’elemento olistico-autopoietico, dove l’altro può essere percepito e sentito come parte del proprio corpo. È proprio quello stato di matrimonio autopoietico con se stessi che ci permette d’incontrare l’altro come parte di noi e di unirci anche sessualmente. Questo tipo di reintegrazione con l’autopoiesi, indelebile, potente, creatrice, può far vivere all’io-psyché lo stesso processo nel momento in cui incontra l’altro. A questo punto, accade il miracolo: essendo il corpo unico, la coppia, in questo stato di consapevolezza, si dissolve e non significa che non si possano avere varie forme di comunioni con singoli Io-psyché, corpi, espressioni del campo morfo-atomico-coscienziale! In ogni incontro con qualunque parte, possiamo vivere le potenze olistico-autopoietiche e, incontrando altri Io-psyché, che hanno realizzato questo processo di autoconsapevolezza, si potrebbe dar vita a specifiche forme di creazione continua, che hanno un potere enormemente più significativo degli incontri che vanno soltanto a soddisfare bisogni del proprio aggredior. È questa l’indissolubilità del matrimonio, in quanto coincide con l’incontro con se stessi, di cui anche l’altro è parte, è espressione! Stanno sviluppandosi nuove forme di comunicazione vissuta.

Al momento in cui l’altro, parte del proprio corpo, si muove autonomamente, l’Io-psyché, immerso nella consapevolezza autopoietica, non cade in forme di sofferenza, di dispiacere, che coincidono, sempre. Con specifici stati d’inconsapevolezza di parti olistico-autopoietiche di sé. È una comunicazione estatica che potremo portare a sostegno dell’azione quotidiana, della funzione Ypsi, nella costruzione del proprio archetipo: della funzione Ypsi dell’universi-parte, l’unica istanza che può mettere in remissione definitiva lo stato di inconsapevolezza di sé che denominiamo innamoramento.

Molte interpretazioni del termine amore si sono succedute nel tempo. È possibile osservare due manifestazioni, due forme di questo processo unico: quella innata e quella acquisita.

Quando i ricercatori in formazione arrivano realmente al vissuto dell’Universi-parte, emerge in loro una forma che li spinge a comportarsi, ad agire, in specifici modi. Osserviamoli, insieme, così come si sono manifestati. Non c’è frattura tra amore personale e amore per l’altro. I due coincidono, aspetto che, invece, non è facile riscontrare nella manifestazione acquisita, in cui l’io si riconosce come un Io e un Tu (condizione di funzionamento condivisa dai più). Altra manifestazione (collegata alla precedente) è quella, per cui l’Io-soma, avendo vissuto direttamente la fase dell’autocreazione, avvenuta dal concepimento al punto nascita e dopo averla rievocata e vissuta attraverso le Autopoiesi olosgrafiche non locali, prende consapevolezza chela ricerca dell’altro come complemento di sé è, in realtà, la ricerca dei principi attivi autopoietici moventi alla radice di sé, l’Universi-parte. In ultima partecipazione-osservazione, la gratificazione che, spesso, ci aspettiamo dall’altro è quella di arrivare a vivere la condizione di non località a essa collegata, passando da diversi derivati (soddisfazione dei metabisogni autopoietici, istintivo-emozionali, acquisiti).

Come meravigliarsi, se questa forza che è l’eros, con le sensazioni e i risvegli che suscita, che evoca, che veicola, provoca dinamiche relazionali acquisite come il possesso, il dominio, il potere, l’esclusività, e così via? (Questa dimensione è così forte che non voglio rinunciarci, deve essere soltanto mia; non voglio proprio condividerla con nessuno! -da verbalizzazione-). Ma, stiamo parlando di componenti acquisite che derivano da processi autopoietici, che ancora non sono risalite a loro stesse.

Da tali dinamiche, nascono i correlati dei principi attivi autopoietici dell’amore, che stiamo intuendo. Una è la passione, derivato del movimento dei principi attivi autopoietici archetipici, del DNA, del principio attivo di autodeterminazione che, nella relazione, ritroviamo in maniera riflessa sotto il nome di decisione (per esempio, di entrare in relazione con l’oggetto d’amore).

Tutto quanto, finora indicato, è collegato inseparabilmente: i punti separati sono utilizzati, soltanto per comodità d’esposizione. Molte altre manifestazioni riflesse hanno avuto l’appellativo di amore.

Un esempio.

Un ricercatore in formazione, a mio avviso in evidente difficoltà, non riusciva a vivere e a raggiungere particolari profondità di se stesso, era fissato su specifici temi. Ecco che arrivò una splendida ragazza (bella fisicamente ed ipersensibile e, per non guastare, molto colta!). per il ricercatore, fu un lampo: quella ragazza incarnava i raggiungimenti che non era in grado di realizzare e come poteva non esserne fortemente attratto= lui riferì con più che assoluta certezza (molto di più) che quello che provava era amore puro, non poteva esserci alcun dubbio, assolutamente, aveva capito. Ed era in buona fede: su tutti i piani, si sentiva fortemente attratto.

Potrei citare centinaia di esempi, ma in tutti c’è un comune denominatore: qualunque forma assumano quelle proiezioni non potrebbero esistere, se i principi attivi autopoietici formanti l’amore, a questo punto riconoscibili come sommatoria e proprietà emergente degli archetipi autopoietici, non avessero creato quel corpo, quell’aggredior, quei metabisogni, quelle dipendenze.

Non dobbiamo perdere di vista l’onda ∑igma, per spiegare ciò.

Altre considerazioni.

L’incontro con l’altro, visto con gli occhi della condizione microstrutturale, è un processo illusorio, poiché quell’unione, quella fusione, autopoieticamente, è già in atto. Chi ha saputo raggiungerla, semplicemente sa di che cosa sto parlando.

Per questi motivi, se le relazioni d’amore, che normalmente viviamo, non sono funzionali a questa Risalita alla consapevolezza, possono essere lette come incomplete, ridotte e, per questo, creatrici di riflessità e di distonie ostacolanti.

Ho partecipato-osservato Io-psyché che, non riuscendo a soddisfare determinati desideri e attuare i propri investimenti, hanno proiettato su altri che avevano realizzato quegli stessi desideri e investimenti. Ciò porta ad ipervalutazioni dell’altro, spesso scambiate per amore.

Alcuni, invece, cercano e hanno avuto la soddisfazione continua, automatica e incondizionata da parte di un altro: questo risponde all’automatismo fusionale dei primi nove mesi, che viene ricercato nella relazione è un classico della relazione mamma-figlio: se questo automatismo non si realizza, non viene elargito, ci si sente feriti, si vuole essere amati, in ogni condizione, acriticamente, senza nulla fare per aprirsi a quella possibilità (così come automaticamente accadeva). Il fatto che questi Io-psyché, reiteratamente, continuino a chiedere amore, che sembra assuma la forma di insaziabilità, dipende dal fatto che non hanno raggiunto il livello di consapevolezza dell’autopoietico, in cui questo bisogno va in remissione.

La forma acquisita dei principi attivi autopoietici, formanti l’amore, può assumere anche altre manifestazioni che, nel gioco complessivo, sono funzionali a diverse porte d’accesso all’inconscio autopoietico da cui, come forma ridotta, nascono.

Se l’amore non risiede nei principi attivi autopoietici sovrasensibili, che hanno il potere di creare un corpo, un Io-psyché, che poi esprimerà l’amore, non saprei proprio dove altro andare a cercarlo.

Quando due Io ritrovano consapevolmente in loro stessi questi processi autopoietici (nel Tutto è legato), li mettono a sostegno, a disposizione del loro acquisito e s’incontrano, in quel momento, può nascere l’opera transfinita, che ci fa affermare l’indissolubilità di quell’incontro. È ancora una volta il matrimonio autopoietico con se stessi, con l’universi, l’elemento da non tradire, indissolubile. La consapevolezza, messa a contatto con la stessa realizzazione dell’altro, è una caratteristica dell’amore, che possiamo partecipare-osservare anche nell’acquisito.

La discrasia sessuale

Non è infrequente che stati di stress,
di stanchezza, di ansia, di aspettative
possano ostacolare il naturale flusso della S.d.C.

La S.d.C. in generale segue delle fasi:

  • metabisogno-bisogno-desiderio congiungersi
  • produzione degli stati psicosomatici funzionali all’espletamento della sessualità (eccitamento, risalita…)
  • creazione dello stato di sessualità della conoscenza (orgasmo, estasi, stato ECA, non località)
  • progressione d’uscita.

La discrasia si manifesta, quando una di queste fasi, per specifici motivi psicosomatici, è ostacolata e si ripete. In particolare, mi riferisco a motivazioni sessuali, a educazioni sessuali rigide e colpevolizzanti o che sono in grado di compromettere lo svolgimento completo della risposta sessuale.

Quando si manifesta la discrasia, è fondamentale avvalersi dell’intervento del medico specialista, a cui si potrà affiancare l’intervento maieutico sigmasofico, finalizzato a capire e a superare la causa psicosomatica, da cui si evidenzia.

Non è infrequente che stati di stress, di stanchezza, di ansia, di aspettative possano ostacolare il naturale flusso della S.d.C.

La sessualità è una facoltà, un metabisogno che ogni essere umano può liberamente esprimere, è una con-partecipazione fusionale, attraverso cui si svolge un’aperta e olistica comunicazione, senza ostacolatori-discrasie. Tale condizione prepara alla S.d.C.

Le discrasie sono così classificate

  1. Discrasia parafilia
  2. Discrasia incesto
  3. Discrasia pedofilia
  4. Discrasia masochismo
  5. Discrasia sado-masochismo
    D.S.M.
  6. Discrasia brama
  7. Discrasia castrazioni ed erotizzazione
  8. Discrasia feticismo
  9. Discrasia voyeurismo ed exposing
  10. Discrasia stupro
  11. Discrasia frotteurismo
  12. Discrasia caprofilia
  13. Discrasia Necrofilia
  14. Discrasia orge e baccanali
  15. Discrasia autopoietica zoofilia

1. DISCRASIA PARAFILIA

Il termine parafilia deriva dal greco para e significa presso, accanto, oltre e filia significa amore, affinità.

Indica manifestazioni del metabisogno congiungersi, caratterizzate da una produzione intensa di aggredior, in conseguenza di stati di coscienza non direttamente connessi alle finalità di una sessualità, cosiddetta naturale, normale.

Il termine parafilia sostituisce il termine perversione.

Tutte le parafilie hanno una meta, ossia quello che denominano l’orgasmo, la produzione di piacere intenso. In generale, la maggioranza delle persone lo intende come una produzione Io-somato-autopoietica che si manifesta durante l’atto sessuale, come conseguenza di una intensa produzione di aggredior, di eccitazione, localizzata nelle zone cosiddette erogene-sessuali. Spesso, gli uomini fanno coincidere tale stato con un picco di produzione di aggredior a cui segue la produzione di liquido seminale, l’eiaculazione; le donne lo segnalano come un periodo prolungato di piacere (quindi di aggredior), con alcuni picchi più intensi. Tali sensazioni coinvolgono la muscolatura volontaria e quella cosiddetta involontaria. L’intensità può essere così forte da essere abbinata a vocalizzazioni e forme di spasmo muscolare, facendo sentire euforia, uno stato di esaltazione Io-somato-autopoietica, conseguente ad un allineamento funzionale dell’Io-soma-autopoiesi che, in quell’istante, viene fatto funzionare come dovrebbe: all’unisono, con coerenza (che sesso non produciamo, appunto perché l’Io si identifica in parti di sé), condizione denominata benessere, felicità e correlati. Il termine euforia viene dal greco eu, che significa bene e da phero, che significa o porto, portare il bene, l’abbondanza (che gli stati di scissione identificativa riducono).

La sensazione Io-somatica che si sente successivamente all’atto non è il bisogno di riposo, ma lo stato di rilassamento, conseguente alla scarica di aggredior-out dell’orgasmo, ossia al rilascio di endorfine, una sostanza biochimica prodotta dal cervello, che ha proprietà analgesiche molto più ampie e intense di quelle della morfina e dell’oppio. L’eccitazione, l’orgasmo e i segnali nervosi continuerebbero ad aumentare, se non intervenissero le endorfine, che prevengono un’ulteriore prodizione di questi segnali, poiché svolgono un’azione di coordinazione e di controllo di tali attività nervose. Un mancato rilascio delle endorfine determinerebbe l’insorgenza di discrasie quali aumenti di intensità di piacere e di orgasmo non controllabili, non sostenibili, non ricevibili dall’Io-soma o stati di abbattimento di sonnolenza molto intensi, in caso di eccessivo rilascio. Infatti, al termine di un rapporto sessuale, determinato dal rilascio di tali sostanze, molti segnalano euforia o sonnolenza, che sono espressioni fisiologiche di tale rilascio. Nelle applicazioni di S.d.C., quando si controlla la produzione del cosiddetto orgasmo, accade che queste endorfine non vengano prodotte, e quindi questo sistema autoregolatore non interviene. Si entra progressivamente in un aumento di euforia che, se prolungata, diviene beatitudine, stadio più avanzato del piacere: si tratta, infatti, di uno stato di intensissimo e profondo benessere Io-somato-autopoietico dovuto all’aumento di coerenza e reintegrazione funzionale dell’Io-soma-autopoiesi, di cui la beatitudine è diretta conseguenza, in quanto superamento degli ostacolatori al naturale fluire autopoietico. È la remissione di stati identificativi dell’Io nella parte, nella discrasia. È un elemento, presente alla radice di ogni Io-psyché. Preparato progressivamente, l’Io-soma può maggiormente contenere tale condizione. Se tale azione viene proseguita, si arriva a produrre un’intensità tale che deve trovare un’estensione oltre l’Io-soma. Si determina, quindi, una radiazione, un’espansione dell’Io, che si percepisce più esteso, oltre il corpo. È l’estasi. La parola deriva dal greco ex-stasis che significa essere fuori, è uno stato Io-somato-autopoietico di consapevolezza dell’estensione del campo coscienziale e, quindi, di presa di consapevolezza che siamo Universi-parte e non più esseri che si autoriconoscono solo nella parte, localmente. Non è uscire fuori di sé, ma riconoscersi come un essere unico, esteso, transfinito, non locale. È esattamente in questo stato che riconosciamo e individuiamo l’orgasmo, di cui l’eiaculazione è soltanto un riflesso, uno spasmo muscolare. Tale estasi-orgasmo autopoietico può trovare un’ulteriore estensione nello stato coscienziale di olospresenza, di entanglement coscienziale autopoietico, fino allo stato coscienziale Io-somato-autopoietico Sigmasofia.

Secondo l’impostazione di McLean, in questi stati, l’emisfero sinistro del cervello e la neocorteccia, deputati alla produzione e al controllo della razionalità, si allineano fusionalmente e consapevolmente alle funzionalità dell’emisfero destro, deputato alla produzione e al controllo delle emozioni, alle funzionalità del limbico e del rettilico, partecipando altresì le diramazione lungo la colonna vertebrale, ove si attivano il cervello viscerale e le connessioni con il campo coscienziale non locale. Se la componente acquisita è ben attiva e non interferente, si verifica uno stato di olospresenza iper-autoconsapevole; si raggiunge uno stato di risveglio Io-somato-autopoietico, la vera funzione di ciò che denominiamo riduzionisticamente orgasmo.

Le parafilie sono espressioni che vanno nella direzione opposta a quella indicata. Sono manifestazioni Io-somatiche che non hanno saputo riconoscere quale direzione prendere, spinte dalla pulsione autopoietica a vivere, a conoscere  e dal metabisogno congiungersi. La parafilia indica sempre un essere umano, cercatore di significati, di intensità istintivo-emozionali, di soddisfazione del metabisogno che non ha saputo trovare la Via autopoietica a se stesso. questo è il fondamento: non lasciatevi fuorviare dal fatto che la parafilia possa manifestarsi come forma di sostituzione del coito, attraverso pratiche di altro tipo o con vissuti, per cui si sostituisce il partner o la partner con altre forme del vivente o con oggetti. La meta, che scambiano con il raggiungimento del piacere sessuale, l’orgasmo (in questo senso, parte integrante della parafilia), è sempre quella descritta, dall’estasi allo stato Sigmasofia.

2. DISCRASIA INCESTO

Per incesto, convenzionalmente, s’intende il
rapporto sessuale tra consanguinei,
che hanno legami stretti di parentela.

Dal latino, incestus, formato da in, che significa non e castus, che significa casto.

L’Io-psyché dell’essere umano, nella prevalenza delle culture e delle società, ha sentito di dover ostacolare, vietare l’incesto.

Si sente dire che i figli che nascono da relazioni sessuali tra parenti stretti, consanguinei, siano predisposti a malformazioni e a malattie o il fatto che in famiglia ci sia molta confidenza, intimità, dovrebbe produrre avversità, ripugnanza verso la sessualità gli stessi membri di quel nucleo.

Alcune mitologie totemiche dicono che gli appartenenti allo stesso Totem hanno, in loro, una sostanza simile che li spingerebbe a non avere rapporti tra loro. All’inverso, ne esistono altri che prevedono rapporti solo all’interno dello stesso Totem (rarissimi).

Spesso, questo divieto sembra sia stato creato per evitare che tutto si svolgesse all’interno del proprio Totem e favorire, così, l’andare a trovare alleanze, parenti all’esterno! In questo modo, si pensava di evitare guerre, conflitti, anche scambiandosi le donne, con l’esigenza di fare aprire le diverse persone ad altre, come forma di comunicazione

A ben osservare, perché padre e figlia, madre e figlio, dovrebbero essere incompatibili, essendo l’uno parte-emissione dell’altro?

L’essere umano rivolge le prime produzioni dell’aggredior proprio verso le figure parentali, in particolare verso la madre, successivamente, verso i fratelli e le sorelle: l’investimento dell’aggredior finisce su chi c’è, su chi è presente.

Il metabisogno olistico-autopoietico a congiungersi, a procreare è una caratteristica dell’aggredior: poi, si può scegliere, ma nulla, a livello innato, vieta, in ultima osservazione, l’uso dell’incesto (ciò non significa che sono d’accordo con quella pratica). Spesso, sono divieti legati a usi e costumi della cultura vigente: l’aggredior, orientata a 360°, continua a funzionare e a interagire.

Nel caso l’aggredior si fissi, s’identifichi in un luogo, possono nascere distonie, somatizzazioni, perversioni.

Si tratta di riconoscere il naturale fluire di queste pulsioni innate e, più il nucleo familiare è chiuso, più la spinta dell’aggredior non può fare altro che evidenziarsi in quel luogo.

Alla visione olistico-autopoietica, vige il principio di autodeterminazione che, all’esperienza dell’incesto, non individua  ostacoli, nascenti dalla naturalità innata, ma soltanto da quella acquisita. La natura saprebbe perfettamente integrare, assumere tali modalità di espressione.

Nel riconoscersi come Universi-parte, tutta la problematica dell’incesto, dell’omosessualità e così via, scomparirebbe, e tutte queste attività sarebbero riconosciute per quelle che sono: possibilità espressivo-funzionali, esistenti, di cui, come per qualunque altro aspetto, è necessario riconoscere il principio attivo autopoietico.

Incesto significa non casto, impuro e, generalmente, s’intende la pratica della sessualità tra due corpi, legati da vincoli di sangue e, quindi, di parentela, spingendo in nome di ciò il legislatore a vietare il matrimonio tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra nonni e nipoti, tra zii e nipoti. Il metabisogno congiungersi si manifesta continuamente e, essendo sempre attivo, lo si può trovare anche nelle situazioni familiari, appunto perché, per l’organizzazione vigente, in genere, il nucleo familiare è quello prevalentemente frequentato. Per la conseguente naturalità funzionale, si potrebbe benissimo praticare la sessualità, anche se, in conseguenza di tale eventuale pratica, detta incestuosa, aumenterebbe, lievemente, la probabilità di malattie ereditarie recessive e, moltissimo, discrasie psicosomatiche iatrogene, ancora più frequenti in società che hanno poche relazioni con l’esterno da loro.

Tale processo, di per sé, è una mera pulsione, nascente dal metabisogno congiungersi, eventuale pratica, colpevolizzata e, tra l’altro, punita dalla legge. La prevalenza della tradizione e, quindi, dell’inconscio non hanno mai accettato e riconosciuto tale pratica. Ad esempio, pur avendo tra i suoi protagonisti sicuri incestuosi, la Bibbia vieta espressamente l’incesto (Abramo e Sara erano fratellastri, Lot si univa con le figlie, Giacobbe e Rachele erano cugini) Voglio comunicare che l’incesto è stato tanto osteggiato che ha maturato  la condizione di tabù. Voglio altrettanto precisare che l’eugenetica autopoietica ossia quella che troviamo nell’Universi-parte transfiniti senza alcun intervento da parte dell’Io-psyché, ma quella naturale innata, non può in alcun caso essere dannosa per la prole: lo è solo in caso di tare ereditarie acquisite.

La Sigmasofia recupera il puro stato di natura autopoietica innata, individuandolo come consapevolezza necessaria per innovare la società umana acquisita. Per quanto concerne le funzionalità naturali, esogamia ed endogamia sono perfettamente praticabili dall’Io-psyché e, di fatto, nel corso della storia, lo ha sicuramente fatto. Ovviamente, facciamo rientrare la questione nel principio attivo autopoietico di autodeterminazione che, ovviamente, dovrà tenere conto del contesto socio-culturale acquisito in cui opera ma, all’essenza, è una pratica praticabile. Voglio comunicare che il divieto all’incesto è stato stabilito dal piano culturale acquisito e non ha nulla a che veder con le funzionalità naturali, autopoietiche: i parenti stretti sono, di fatto, esseri umani che producono quel metabisogno. Nei casi conosciuti di incesto tra padre-figlia, ad esempio, la natura procede regolarmente, generando un figlio. Non è questione di essere a favore o contro l’incesto. Voglio comunicare che, visto con gli occhi della natura autopoietica innata, non ci sono molte cose da dire: la natura può funzionare, anche in quel modo: la questione si apre alla discussione per le valutazioni e le interpretazioni dell’acquisito.

Tra l’altro, alcuni studi ci permettono di affermare che un codice omozigote sano diminuirà la frequenza di malformazioni. L’effetto ultimo dell’accoppiamento tra consanguinei sarebbe la diminuzione della frequenza del gene difettoso nella popolazione. Ciò è frutto di una comprensione avanzata e precisa della genetica e soltanto una società evoluta in questo senso potrebbe riconoscere il naturale modo di funzionare di ciò che denominano, l’incesto.

Possiamo individuare tre ragioni fondamentali della nascita del tabù   dell’incesto che, in fase di Maieutica sessuologica, sarà necessario elaborare e sono:

  1. Il fatto di unirsi con esseri umani non appartenenti alla propria famiglia permettere di allargare legami acquisiti sociali; diversamente, isolati in nuclei chiusi, nascerebbero più difficoltà esistenziali. Si tratta di unioni conoscitive e funzionali alla sopravvivenza: in molti luoghi del mondo, tale pratica ha dato il via all’usanza dei matrimoni combinati;
  2. la pratica dell’incesto potrebbe creare disordine nel nucleo familiare: se si dovessero organizzare relazioni tra i membri, si verrebbero a creare rapporti di parentela in contrasto con l’ordinamento ordinario. Ad esempio,
    se un padre si unisse con la figlia e generasse un figlio,
    questo risulterebbe
  • fratello della madre,
  • figlio di una persona che, secondo i legami di parentela attuali sarebbe la sorella;

diverrebbe

  • fratello del proprio zio

e

  • nipote del proprio padre;

tutto ciò sarebbe di difficile gestione, per l’organizzazione convenzionale parentale che ci siamo dati.

La possibilità della nascita di rivalità, in seno alla famiglia, e problemi di gestione: nell’esempio di prima, quel padre si troverebbe ad essere:

  • padre di quella figlia e nello stesso tempo amante.

Considerando come funzioniamo, la madre-moglie di quest’uomo potrebbe provocare stati di gelosia in entrambi.

Questo tabù resiste, perché ogni volta che è stato praticato ha sempre creato situazioni familiari particolarmente difficili da gestire: la natura innata, autopoietica non c’entra. Se ci fossero tali tensione nella famiglia, queste si estenderebbero alla società ragione per cui politiche, religioni si sono espresse contro.

Non ci sono geni preposti all’evitamento di tale pratica ma stati dell’acquisito così forti e intensi che hanno determinato caratteristiche che sembrano coinvolgere quel piano.

Il tabù dell’incesto, di fatto, vieta la pratica dell’endogamia ossia l’istituzione che impone il matrimonio fra appartenenti allo stesso gruppo etnico o sociale, avvallando l’esogamia, l’istituzione che impone il matrimonio, fuori dal proprio gruppo etnico e sociale. Si vuole agevolare la integrazione e la cooperazione sociale.

In definitiva, la Maieutica sessuologica, applicata all’incesto, consiste essenzialmente nel vedere tali processi, dentro se stessi, in modo che si possa partecipare tale dinamica, dentro sé e senza colpevolizzazioni. Dopo aver compreso questo, si passerà alla Maieutica dei disordini delle discrasie Io-somatiche, sempre presenti in tutte le persone coinvolte in conseguenza della pratica dell’incesto. Mai come in questo caso, è gioco forza essere visceralmente consapevoli di tutte le caratteristiche di tali relazioni, per poter autodeterminarsi in scienza e coscienza e in coscienza di tale scienza. Tenete presente che si sta affrontando un tabù millenario e che richiederà tempi relativamente lunghi, per poter ottenere una buona maieutica: in questi casi, il protocollo autopoietico non dovrà mai essere impostato per un tempo inferiore ai due anni di studi e di ricerche pratico-teorici.

3. DISCRASIA PEDOFILIA

Il termine deriva dal greco fanciullo  e amore, ossia amore per un fanciullo: in tal senso e con questi significati originari, tutti possiamo definirci pedofili, in quanto tutti, potenzialmente, possiamo esprimere amore, amicizia e affetto, per un fanciullo. Ma, nel tempo, questo significato originario si è transmutato ed ha assunto un significato-significante molto negativo: infatti, oggi la pedofilia è definita come

devianza sessuale che consiste nel produrre attrazione sessuale da parte di un adulto sessualmente maturo nei confronti di coloro che non lo sono ancora, bambini o preadolescenti.

È considerata una parafilia, ossia una discrasia del desiderio sessuale. Una preferenza sessuale è determinata da un atto e da esperienze acquisite, non da processi innati, naturali. Infatti, per autopoiesi, la sessualità non discrimina e non sceglie, crea: sono poi i significati-significanti acquisiti che la orienteranno su un obiettivo e su un altro.

Il fatto che ci sia desiderio, produzione del metabisogno congiungersi e che questo possa, nella sua irradiazione, finire su ogni obiettivo è del tutto naturale (e questo non significa che io sono d’accordo con la pratica della pedofilia). È come la radiazione solare che si chiede su chi andrà a finire, essa irradia, è così per natura, poi chi vi si esporrà per dieci ore ne uscirà ustionato, chi lo farà per meno tempo ne uscirà abbronzato. Voglio comunicare che è soltanto l’uso che se ne fa a essere discrasico. Ma, quando accade che un adulto, per brevi o lunghi periodi, orienta il proprio aggredior (sessuale-penetrativo) verso un bambino, ciò indica la presenza della discrasia. Se lo stato identificativo supera i 6 mesi si può affermare che è in atto l’ostacolatore congiungersi, ridotto in discrasia (grave). Ciò può manifestarsi, con la produzione di intensa passione sessuale, genitale, verso i bambini ed anche realizzando violenze Io-somatiche a loro danno fino, in alcuni casi, ad ucciderli per ottenere, a loro dire, il massimo del piacere.

Il pedofilo ha in sé memorie e vissuti, esperienze che lo spingono a produrre la propria azione pedofila: li ha dentro, perché spesso ha subito le stesse azioni che somministra. Può accadere che traumi, conseguenti a violenze, subite nell’infanzia, possano essere per così dire inguaribili, ossia il soggetto manifesta tali vissuti anche in età adulta, attraverso discrasie della sfera istintivo-emozionale, relazionale e sociale, appunto perché li ha dentro, vividi e continuamente presenti nei pensieri e nell’azione. È come se, in un essere umano, più è piccolo, più la violenza s’imprime con forza e intensità, il che dipende dal fatto che l’Io-psyché non si è ancora forgiato all’esistenza e, quindi, sa difendersi meno: la spontaneità e l’apertura sono, paradossalmente, un facilitatore per attrarre la violenza. Per questi motivi, ogni volta che un adulto esercita questo tipo di violenze su un bambino, l’atto deve essere considerato più grave, perché grave e, nella grandissima pare dei casi, indelebile è la ferita che somministra, che impone.

Nella pedofilia esercitata con violenza, ci si trova di fronte a due esseri che vivono una condizione Io-somatica grave: quella del pedofilo, in quanto esprime la sua condizione discrasica e quella del bambino, perché la riceve e la somatizza. Tutto ciò può generare la produzione di aggredior-out improvvisi, per cui quell’Io non regge il peso di ciò che ha dentro e manifesta rabbia all’esterno. In realtà, mentre scarica tali ricordi, il cervello produce un corto circuito, si evidenzia l’angoscia dello stato d’animo e, contemporaneamente, la colpevolizzazione e il tentativo di bloccarla. Il problema è forte, intenso e ha contribuito a creare un Io-psyché, non altrettanto forte, appunto perché ostacolato da tale imprinting. Nei momenti di accumulo, può accadere che tale stato discrasico abbia più forza e il tentativo di opporsi a se stessi sia più debole: la quantità che non riesce a essere controllata è l’atto violento, impositore che, talvolta, si osserva in queste persone. È un atto che ripete la violenza subita. È, quindi, necessario creare una Maieutica sessuologica, in grado di formare intensità autopoietiche esistenziali più potenti ed efficaci di quelle violente subite. Ma, siccome il ricercatore è in quello stato, si incontrano difficoltà a somministrargli tale maieutica e intensità: per questo motivo, per i pedofili, è necessario elaborare protocolli autopoietici molto lunghi, non inferiori ai tre anni.

È accaduto che un ricercatore testimoniasse una presunta violenza sessuale subita che, in realtà, non si era mai verificata. Il meccanismo è il seguente: essendo il genitore oggetto degli investimenti del bambino ed essendo il campo istintivo-emozionale e aggredior olosdirezionale, può accadere che il bambino proietti irradi un bisogno-desiderio sessuale-affettivo sul genitore. Tuttavia, essendo questa sfera colpevolizzata, può accadere che il bambino debba reprimere dentro di sé tale stato e produrre immaginazioni sovra-compensatorie di quello che non può vivere. A volte, tale immaginazione viene talmente caricata che si ha la sensazione di viverla nella coscienza, come se fosse un ricordo autentico, vero. In alcuni casi, ormai adulti, si accusano i genitori di violenze sessuali che non hanno mai attuato, ma il ricordo proiettato è talmente vivido che ci si può sentire in buona fede.

La soddisfazione di quel bisogno-desiderio, realizzata interiormente, produce una fantasia identica a quanto si sarebbe voluto accadesse: in realtà è ciò che viene traslato a divenire accusa. Per questi motivi, occorrono sempre verifiche di tali affermazioni che coinvolgano i diversi piani: ne va della salute Io-somatica, sia del denunciante sia del denunciato.

A volte, tale intensità viene traslata su un bambino (ossia su sé) che quell’atto voleva ed ecco che il passaggio all’azione pedofila può avvenire anche realmente.

4. DISCRASIA MASOCHISMO

In generale, si tratta di una parafilia di tipo sessuale, per cui

la persona ricava godimento fisico dalla sofferenza
che le viene inflitta da altri.

Durante gli stages, i ricercatori, dietro il masochismo, spesso individuano il bisogno di punizione, per memorie, processi, costellazioni di tipo specifico, che non hanno ancora elaborato.

In molti casi, tale bisogno di punizione si esprime come pulsione ad aggredire, a far morire, a eliminare quella parte di sé: per questo motivo, il maltrattamento, l’umiliazione arrecano piacere, perché è quello che si libera, via via che la parte maltrattata, umiliata, in qualche modo, si scioglie, perde la sua pressione distonica. Da lì, uno dei motivi per la sensazione di piacere, anche erotico.

Ho osservato un’altra forma di espressione del masochismo: a volte, accade che specifiche memorie e relative emozioni, riguardanti lo stato coscienziale punto morte e le paure proiettive ad esso collegate, vengano raggiunte dalla consapevolezza, dall’Io-psyché e irrorate di aggredior, di forti intensità istintivo-emozionali. Ebbene, moltissimi, per specifici motivi, vogliono eliminare la paura di morire, di soffrire, ma l’incontro con l’attenzione, con l’Io-psyché, con l’aggredior, l’amplifica e questo è registrato come doloroso. Ovviamente, ciò può accadere per qualsiasi altro contenuto che riconosciamo e registriamo come causa di sofferenza. Il fatto che queste costellazioni registrate siano parte integrante del corpo, del soma, fa sì che, irrorandole di attenzione e di veglia (quando c’è), di trasformazione, si possa avere risonanze di piacere nel corpo, inserito esattamene all’interno del dolore. Si tratta di una sensazione veramente particolare.

Tutte le idee, le emozioni registrate, intorno allo stato coscienziale punto morte, non vissute, non risalite, né transmutate, continuano a muovere nel corpo, nei muscoli, nel sistema nervoso, dando così vita a intensità maggiormente registrabili che, in alcuni momenti, quando l’io-psyché perde l’attenzione, la presa sui loro significati-significanti, di solito vissuti negativamente, emergono sotto forma di flussi di aggredior, registrati come piacevoli. Dalle testimonianze, si evince che sono soltanto pochi momenti.

Esistono e sono state verbalizzate forme di masochismo, collegate a memorie e relative emozioni, vissute durante la prima infanzia, quando si era indifesi, assoggettati all’adulto, all’atmosfera dell’ambiente in cui si era inseriti, specificamente quando la/le persona/e di riferimento che di solito aiutava nella sopravvivenza Io-somato-autopoietica, per vari motivi, era avversa picchiava, e quant’altro.

Il connubio persona che dà vita e dà morte, non risalito e transmutato, anche in età adulta, può innescare forme di ambivalenza amore-odio, piacere-dolore che trovano espressione nell’Io-psyché del ricercatore che ancora non ha lavorato e trasformato, attraverso il vissuto diretto, la dinamica appena descritta.

Le forme di masochismo, correlate ai sensi di colpa e alle colpevolizzazioni, non ancora vissute, elaborate, sono di un numero impressionante e possono coinvolgere la sfera sessuale con maggiore o minore intensità. A volte, l’attenzione sul piano sessuale è meno che irrilevante, ma una presenza ovviamente sussiste sempre.

In generale, in questi casi, è possibile incontrare degli Io-psyché che, inconsciamente, chiedono di essere messi a posto e che, a farlo, sia un opposto-complementare, il cosiddetto sadico, che vivono come una sorta di autorità, di potere a cui vogliono sottomettersi perché possibile veicolo di soluzione e, quindi, di piacere. Tale passività, in alcuni casi, può richiamare forme sessuali anche diverse.

A livelli profondi, si può osservare che i meccanismi sadici e masochistici sono processi di presa di consapevolezza, anch’essi finalizzati, ovviamente, alla Concentrazione-transmutazione autopoietiche.

5. DISCRASIA SADISMO

In generale, il sadismo consiste nel produrre lo stato Io-somatico di piacere ad altri esseri viventi, facendolo scaturire dall’atto di infliggere dolore fisico, umiliazioni o sottomissioni. Di fatto, il sadico agisce la destrutturazione del potere dell’altro, affermando quello che sente essere il proprio, per cui viene a crearsi l’impossibilità di accordo relazionale. Se ci fosse accordo, verrebbe a mancare la condizione fondamentale che caratterizza il sadico, ossia l’esercizio del potere di ogni tipo sull’altro. Quell’Io vuole essere unico, delira onnipotentemente il proprio pseudo potere e, quindi, non vuole sicurezza, consenso tanto che punta a non richiederlo esplicitamente alla vittima, perché verifica direttamente il proprio dominio sull’altro: se riesce a imporre tale condizione, può superare ogni limite, fino a ledere l’integrità Io-somatica o, addirittura, a determinare nell’altro il punto morte, come apoteosi del proprio potere, del proprio aggredior e, quindi, del proprio piacere.

Come dice il marchese De Sade (da cui deriva il termine sadismo), il sadico è un essere umano capace di compiere con scientifica razionalità ogni sorta di azione finalizzata al predominio per provocare piacere contro tutti e contro tutto, stato che gli confermerà lo stato identificativo delirante onnipotente con se stesso.

Il masochista può sembrare un correlato naturale al sadico, in quanto desidera produrre piacere, orgasmo subendo dolore fisico, umiliazioni, sopraffazione come stimolo che alla soddisfazione istintivo-emozionale. Ma, vuole farlo, in forma, per così dire, istituzionalizzata, all’interno di un accordo preventivo con il sadico, la cui condizione, però, è proprio quella di eliminare l’accordo, che gli farebbe sembrare meno vera e, quindi, meno intensa la potenza del proprio Io, quella in grado di produrre reale predominio sull’altro che, con il consenso della vittima, non potrebbe misurare realmente. Il masochista teme inconsciamente e consciamente questo, perché un sadico fuori controllo potrebbe arrivare a somministrare atti non ricevibili, tropo forti o addirittura mortali, processo a cui altri stati si oppongono istintivamente. Il termine deriva da Leopold von Sacher-Masoch, autore di Venere in pelliccia, un romanzo che racconta una storia masochistica.

Mentre si sente dolore, si ha più aggredior in circolo, che è la quantità di fisiologia necessaria a creare lo stato di dolore. Se queste intensità possono essere integrate alle sensazioni, prodotte dalla sessualità, questa si potenzierebbe. È proprio questo ∑igma (sommatoria e proprietà emergente) di sensazioni che il masochista sembra cercare: vuole aumentare l’intensità del piacere, vuole attuarlo, durante la relazione e non necessariamente per arrivare all’orgasmo, perché sa che quel picco di piacere produrrebbe la conseguente produzione di endorfine che farebbero defluire quell’intensità. È interessante osservare come i recettori del piacere e del dolore siano gli stessi. Un esempio: se do una carezza sulla guancia, a una persona, attivo un certo tipo di recettori e la persona prova una sensazione di piacere. Se, invece, le do uno schiaffo molto forte, attivo gli stessi recettori, ma la persona prova dolore; i recettori sono sollecitati con più intensità e, quindi, c’è un aumento di aggredior. Esattamente, accade che, come spiegato prima, dietro quelle sollecitazioni, il cervello produca più endorfine che riducono, ri-equilibrano l’organismo, come succede, dopo l’orgasmo, il che suscita una sensazione di euforia, di piacere. Sono proprio queste sensazioni che, unite allo stato Io-somatico che si sta vivendo, rendono quelle sensazioni intense. Il masochista vuole concordare l’atto con il sadico, che, però, per essere veramente tale, per i motivi descritti prima, non può volere tutto ciò. Da questo processo, spesso inconscio, emergono peculiari stati Io-somatici, spesso interpretati come deviati, il sadico e il masochista si cercano, tanto che si può parlare di sado-masochismo, ma non potranno mai trovare integrazione reale, soprattutto perché la olosdirezionalità, lo stato sigmasofia non risiedono in quei luoghi praticati, con quelle modalità che possono, al massimo, risvegliare intense sensazioni Io-somatiche.

La pratica della Maieutica sessuologica dovrà orientare verso la direzione dell’orgasmo autopoietico, verso lo stato Sigmasofia, ovviamente in riferimento al metabisogno congiungersi, evidenziando e facendo lavorare sulle attrazioni tra la condizione sadica e quella masochistica, considerandone anche l’incompatibilità e proponendo vissuti, da riconoscere in se stessi.

La causa del sado-masochismo ridiede in una fissazione-disidentificazione dell’Io-psyché se esperienze avute dal concepimento in poi, caratterizzate da azioni pedagogiche o di vita anaffettive, intransigenti, dure, dispotiche, ma attuate per la sua crescita, per il suo bene: tutti elementi che hanno rinforzato l’associazione, per cui l’atto duro forte corrisponde al bene esistenziale. Quando scatta, questa fissazione, identificazione, può riemergere nei cosiddetti stati di innamoramento, quando non è infrequente che il masochista viva ed interpreti le punizioni e le vessazioni dell’altro come segni tangibili dell’interesse e dell’amore verso lui, esattamente come faceva quel padre quella madre che dietro quella dura pedagogia esprimevano l’amore per il figlio. Si tratta di una forma molto seria dell’ostacolatore-identificazione, in quanto può determinare che più la coercizione è forte più suscita uno stato di attrazione, invece che della denuncia alle autorità di polizia. È il caso di una ricercatrice che si è lasciata picchiare, anche duramente dal partner, per sette lungi anni: malgrado vessata, riconosceva in lui amorevolezza verso lei. Per questi motivi, il protocollo autopoietico della Maieutica sessuologica dovrà precedere un’ampia fase di vissuti, inerenti questa componente.

È come se l’Io-psyché interiorizzasse e fissasse in sé la convinzione, per cui i provvedimenti punitivi del padre-madre, del tutore, dell’altro per controllare totalmente e integralmente il proprio figlio non potessero essere trasgrediti, altrimenti il senso di colpa sarebbe troppo forte. Sono i casi in cui i genitori-educatori considerano il piccolo come proprietà personale (ho seguito molti ricercatori che riferivano questo), non come veicolatore di identità e di autonomia: se lo fa per il mio bene, ripeteva un ricercatore, non posso tradirli verbalizzava un altro, hanno dedicato la loro vita a me. Si mette in remissione la componente autonomia: per questo, nel protocollo autopoietico, la decolpevolizzazione e la destrutturazione di tali costellazioni è fondamentale. Essendo abituati a sopportare pedagogie dure, ne risulta che, nella vita, i maschisti sono persone forti, in grado di sopportare situazioni dure, il che può anche essere produttivo, ma nel momento intimo non riescono proprio a vivere quell’intimità, senza atto duro, forte. Non mi risveglia nulla, mi blocca il desiderio verbalizzava un altro, non riesco proprio a concepire un rapporto senza questa intensità anche dolorosa. La dimostrazione, per cui si possono raggiungere intensità anche superiori, senza esser picchiati, dovrà essere proposta, attraverso vissuti ampli, legati alla pratica delle autopoiesi olosgrafiche, locali e non locali, unico atto che può porre in remissione la fissazione, secondo cui quell’intensità di piacere può esser raggiunta soltanto attraverso la sofferenza, anzi dimostrando che quella è una briciola irrilevante, rispetto alle intensità della beatitudine, dell’estasi, prodotte dallo stato E.C.A. e Sigmasofia.

In generale, si tratta di una perversione sessuale, attraverso cui l’Io-psyché del ricercatore vive forme di piacere Io-somatico da sofferenza che somministra, in qualche modo, ad altri Io-psyché.

Ho osservato forme di sadismo in ricercatore che, avendo accumulato molte esperienze di inibizione e di repressione al libero fluire della loro aggredior, specialmente in riferimento alla sessualità, si caricavano di intensità aggressive.

Spesso, per superare il divieto, la colpevolizzazione che vivono, si sentono costretti a forme di aggredior-out da cui tutta la rabbia accumulata si scarica, utilizzando il veicolo sessuale contro altri, determinando la condizione di provare piacere, nel provocare la sofferenza altrui. Alcuni aggredior-out sessuali, a cui ho assistito e che ho gestito, sono stati veramente di forte intensità. Talvolta, avvengono, per accumuli repressivi di istinti-emozioni, differenti.

È facile osservare come ricercatori, molto condizionati dalle repressioni, dai divieti ricevuti, al libero fluire dell’aggredior, possano non trovare la forza in forme di aggredior-out rivolte all’esterno, all’altro, all’oggetto, e si trovino costretti, quindi, a scaricare tali intensità su loro stessi, entrando in forme di masochismo che, a ben vedere, appare essere della stessa sostanza, formante il sadismo.

Spesso, il sadismo è espressione di aggredior-out, di uscita fuori, in varie intensità, di accumuli di esperienza frustranti, umilianti, impedenti. Il senso di piacere è la proprietà, emergente da questa forma di catarsi: più ci si scarica dalla tensione accumulata, più si prova una sensazione di piacere che non dipende dal dolore altrui, in quanto quest’ultimo, essendo proprietà dell’oggetto, è invisibile al soggetto (infatti, spesso, prima della reintegrazione, soggetto e oggetto vengono vissuti come realtà distinte e separate). Il senso di potenza che, di solito i sadici riferiscono di provare, non dipende dal fatto di essere in grado di infliggere o di scaricare dolore, ma dalla liberazione da memorie, da cristallizzazioni che prima imprigionavano l’Io-psyché, il quale sente di recuperare funzionalità che lo trattenevano: da qui, il senso di potenza.

Il sadismo può assumere diverse forme. Dipende da quale memoria e relativa emozione va a scaricarsi e non dipende dalle fasi della vita.

Inevitabilmente, la componente acquisita dell’universi-parte non può fare a meno di scaricare i propri accumuli di memorie represse nell’inconscio, fino a che forme di Risalita, di transmutazione e di liberazione del fluire dell’aggredior non si integreranno nel tessuto sociale complessivo.

6. DISCRASIA SADO-MASOCHISMO

In generale, è il riconoscimento vissuto che il sadismo e il masochismo sono gli opposti complementari di uno stesso stato coscienziale!

Nell’Io-psyché di ogni ricercatore, ho sempre incontrato le due forme insieme, inseparabili.

Espressioni sadiche hanno sempre in loro forme masochistiche, e viceversa. In realtà, sono sempre state dell’Io-psyché che vive le due forme. In un caso, rivolgono l’aggredior all’esterno, sul presunto tema, nell’altro, trasformano se stessi in oggetto.

Dal punto di vista dell’Universi-parte, esiste soltanto l’Io-psyché che investe parti di se stesso, nella sua componente acquisita. L’Universi-parte, spesso, soffre di ciò che hanno denominato nevrosi ossessiva. Essendo unico il corpo, non può accadere che sia un Tu ad infliggere sofferenza al proprio Io, bensì si tratta della componente del proprio Io che denominiamo convenzionalmente Tu. C’è da notare che, se quell’Io-psyché vive, consapevolmente, di essere Universi-parte, si trova in una condizione innata pre-manifestazione dello stato di sado-masochismo, che è una componente acquisita. Si trova in uno stato olistico-autopoietico, ma è perfettamente in grado di riconoscere l’esistenza di questi stati coscienziali e li vede in funzione, come processi che preparano, se risaliti, al raggiungimento vissuto dello stato innato pre-stato discrasico, in cui si trova.

Abbiamo visto che sia il sadimo che il masochismo possono essere collegati alle memorie e alle relative emozioni che ci siamo formati intorno allo stato coscienziale punto morte. Non esiste una pulsione di morte, ma semplicemente l’esperienza che di essa crediamo, sentiamo di fare e che memorizziamo.

Nella relazione sensibile, tutti questi accumuli acquisiti, se accesi, possono scaricarsi con forza e assumere forme distruttive, io direi, di destrutturazione, che spesso, inevitabilmente, finiscono nella sfera sessuale-aggettiva. A monte, non è  soltanto così.

Per questo, in realtà, ogni emissione di sado-mascohismo, alla lettura profonda, risulta essere un avvicinamento a se stessi, all’autopoiesi, a condizione, però, che venga vissuto, elaborato, transmutato, non dialetticamente, ma nei modi indicati.

È rarissimo che i ricercatori riescano veramente, fino in fondo, a transmutare le enormi masse di memorie acquisite, anche accumulate: per questo, troviamo sempre, in ogni Io-psyché, forme di questo stato coscienziale.

Il sado-masochismo, complessivamente, fa parte dei moti di liberazione che l’Universi-parte sta agendo per riconoscersi. La pratica delle Autopoiesi di Risalita inizia a dimostrarcelo.

B.D.S.M.

È un acronimo: che significa Bondage, Disciplina-Dominazione, Sottomissione-Sadismo, Masochismo.

Una sorta di compromesso tra il sadico e il masochista che, altrimenti, sarebbero attratti, ma nello stesso tempo incompatibili. Se entrano nel B.D.S.M. sviluppano forme di soddisfazione reciproca, vissuta  come costruzione di un peculiare rapporto tra due identità (o più).

Se c’è accordo tra gli Io-psyché che lo attuano, non è da considerarsi discrasico, in quanto se i partecipanti sono consenzienti non ci sarà motivo per richiedere l’intervento di Maieutica sessuologica. Per questo motivo, il B.D.S.M. potrà essere riconosciuto, soltanto dopo che il ricercatore, richiedente la maieutica per altre discrasie o necessità, eventualmente mostrerà tale stato e azione Io-somatica.

In questo tipo di relazione, il masochista accetta e vuole essere tale, così come lo accetta il sadico: sono consapevolmente consenzienti e la relazione può essere considerata, per così dire, paritaria. In generale, in tali rapporti, il sottomesso ha la facoltà di ritirare il proprio consenso (ma, in taluni casi, potrebbe essere non accettato). Alcuni concordano addirittura nell’utilizzare una safe-word o parola-azione di sicurezza che, detta o agita, per convenzione dovrebbe indurre il dominante a smettere immediatamente ciò che sta facendo (ad esempio, se impossibilitato a parlare, il soggetto dominato potrebbe fare tre volte l’occhiolino o altro, in precedenza convenuto).

La B.D.SM. può essere utilizzata nella modalità denominata

T.P.E., Total Power Exchange,
Scambio Totale di Potere,

alternato e reciproco. Si creano situazioni, definite erotiche, tra un dominante e un sottomesso che, poi, invertono i ruoli, per cui, pur nella parafilia, si osserva un principio di reciprocità. Quando è unilaterale, uno mantiene definitivamente il ruolo, come si dice, 24/7 (che sta per ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette). In questi casi, volenti o nolenti, se crea un solco profondissimo, difficile da destrutturare, per cui la Maieutica sessuologica è molto complessa. Infatti, un controllo pressoché totale sulla vita del sottomesso crea una serie di ostacolatori compensatori e sovracompensatori, di discrasie, anche gravi, che sembrano concorrere tutte insieme a far rimanere la situazione fissata, cristallizzata. Saranno necessari molto tempo e vissuti, per porla in remissione, poiché, spesso, i soggetti neanche vogliono metterla in remissione. Tutto questo, anche se c’è accordo reciproco, determina violazioni penali, di cui il Maieuta dovrà tenere conto. Per la legge, il dominante non può impartire quelle forme di tortura e non si potrà eccepire la consensualità. Vigendo il principio di autodeterminazione, il maieuta procederà nel far prendere consapevolezza dell’intero processo in atto, in modo che il soggetto possa decidere liberamente la propria azione. Ove la situazione dovesse proseguire, pur avendo vissuto i fondamenti che c’erano da vivere e la scelta risulta essere, comunque, nel fermo proseguimento del B.D.S.M. o del T.P.E., il maieuta provvede a impostare un incontro di uscita e di termine del proprio intervento, altrimenti si troverebbe ad essere connivente con illeciti penali.

Il B.D.S.M. è, spesso, vissuto con flessibilità, ossia con possibilità di intercambiabilità dei ruoli, per produrre soddisfazione reciproca attraverso il piacere. Anche in questo caso, se durante la formazione a se stesso, quell’Io decide di permanere in quelle produzioni e non a farle evolvere in altre forme di consapevolezza, il maieuta procederà a non seguire più quel ricercatore, in quanto quell’Io stesso decide di permanere in uno stato di identificazione localistica, scelta legittima, ma personale e non ha nulla a che vedere con il processo sigmasofico di ricerca continua. Non si legittima e non si è conniventi con forme di riduzionismo esistenziale, fortemente e fermamente volute, com’è accaduto in un caso da me seguito. Non c’è orientamento maieutico in chi non vuole attuarlo, quindi viene a mancare il presupposto: l’intenzionalità autopoietica d’ingresso.

I ricercatori, in cui si individua il B.D.S.M,. possono, tra l’altro, decidere di concordare una sorta di sessualità estrema, per cui sono consenzienti a rischiare, anche fisicamente. Se questo è affermato e fortemente voluto, in quell’intenzionalità, anche se perfettamente contenuta e contenibile, non c’è spazio per la Maieutica sessuologica.

7. DISCRASIA BRAMA

Lo stato identificativo dell’Io-psyché, nel corpo e nel sistema nervoso che lo veicola, è la funzione che può suscitare senso prevalente d’incompletezza. In esso, muove la pulsione autopoietica a vivere, a conoscere, che orienta verso la disidentificazione. Tuttavia, tale orientamento si attua, spesso, attraverso una forma d’intenzionalità, di volere modulato e reso incompleto dallo stato identificativo stesso, quindi, ridotto da un meccanismo che nasce dalla non località, ma che trova espressione in una forma ridotta, incompleta: è la brama, il deliquio. In qualche modo e in diverse forme, è possibile riconoscere tale condizione in ogni manifestazione dell’aggredior, degli stati coscienziali. Essendo a sua volta prodotto dalla fisiologia olistico-autopoietica, ognuno di questi, producibili dall’Io-psyché, ci può consentire, se vissuto, se penetrato, momenti di non località, in cui si prova senso di ebbrezza, di libertà di (…) e libertà da (…), di libertà olistico-autopoietica, al di fuori dello stato d’inconsapevolezza della fisiologia autopoietica, tutto si riduce, si collassa a forme riflesse di questo stato, che puntano prevalentemente alla soddisfazione dei propri metabisogni-bisogni-desideri e al piacere che ne consegue, quindi alla brama e al deliquio, che ne sono i correlati. Anche nell’incontro sessuale più passionale, di solito, non si percepiscono i principi attivi dell’eros che lo formano, perché ci si costringe a scambiare per olistico-autopoietiche forme ridotte, incomplete, determinando, spesso la situazione dell’Io-psyché che si automistifica, credendo di vivere situazioni di piacere orasmico intenso e di conoscere la completezza dell’eros, che, in realtà, incontra soltanto in maniera incompleta.

Durante l’amplesso e l’orgasmo normalmente intesi, infatti, l’Io-somato-autopoietico, spesso, crede di vivere e di conoscere il processo che attua. In realtà, è proprio l’intensità che vive a identificarlo, sempre più nella sessualità, posta in tensione dall’aumento dell’aggredior, determinata da un maggior afflusso di campo morfo-atomico-coscienziale, di principi attivi dell’eros. Ma, più la sensazione corporea è forte, più significa che l’Io-psyché si sta identificando, si sta imprigionando e, quindi, sentendo di più, crede di conoscere e di vivere di più, ma, in realtà, sta perdendo sempre più la disidentificazione da quello stesso processo: la non località. Ma, è proprio se si è identificati e consapevoli dei principi attivi innati dell’eros e degli stati coscienziali che l’intensità è maggiore.

L’Io-psyché afferma, in realtà, modi sensoriali immediati, processi neuro-sensoriali che si manifestano solo nell’esclusione, come consapevolezza, del processo innato che sta cercando: a questo punto, l’automistificazione diventa forte e scambiata per spinta, per vissuto intenso: è imprigionato in se stesso, sentendosi, credendosi libero!

In tal senso e con questi significati, il piacere, l’orgasmo incompleto che l’Io-psyché prova è la conseguenza di un uso distonico dell’autopoiesi che si vuole riconoscere emozionalmente, riducendola a qualche cosa, in cui non può più essere riconosciuta. In questo senso, nessun istinto-emozione, nessuno stato coscienziale, in realtà, possono rispondere in modo tendente al completo.

È necessaria una formazione che alleni le connessioni dell’Io-psyché a distogliersi da questo stato identificativo.

Il godimento orgasmico può, quindi, legittimamente essere considerato un meccanismo di fuga dal vissuto dei principi attivi dell’eros e, quindi, rende incomplete le forme a noi disponibili e che si perpetuano: si cerca in esse, nel loro vissuto locale, qualche cosa che può essere trovato soltanto non localmente.

Se la beatitudine, l’instasi, l’estasi non vengono raggiunte attraverso la forgiatura, l’allenamento formativo dell’Io-psyché, si procederà in un modo vincolato al sistema nervoso, che costringerà a cercare e cercare, creando forme di avidità, ossia la condizione dell’Io-psyché che cerca se stesso nel sensibile e non nella realtà olistico-autopoietica, che lo forma.

8. DISCRASIA CASTRAZIONE ED EROTIZZAZIONE

Durante le sedute, è possibile osservare che ciò che taluni studiosi denominano complesso di castrazione, per la Sigmasofia, assume aspetti specifici. Si tratta della registrazione-memorizzazione del momento, in cui il metabisogno, il bisogno-desiderio, l’attività dell’archetipo Io-psyché vengono castrati da un altro, in particolare dalla madre o dal padre.

Non ha che fare con il pene o con l’investimento proiettivo che gli si attribuisce, la potenza, l’autorità, il potere, bensì si tratta dell’aggredior in azione, a cui semplicemente viene impedito di manifestarsi o di agire, nelle forme, in cui naturalmente si esprime.

È una lotta tra un Io-psyché e un altro. Spesso è il figlio che, nell’affermazione della propria azione, vuole castrare la legge del padre-madre. Allo stesso modo, il padre-madre vuole farlo, quando sente che la propria legge vuole essere trasgredita, per cui castra l’azione, la legge del figlio.

Sono scene che ho visto migliaia di volte e che hanno, come artefice, l’identificazione dell’Io nei propri contenuti acquisiti. Durante le Autopoiesi Io-somatiche, può accadere che un Io-psyché tenti di appropriarsi dell’oggetto di un altro (un bastone, delle palle, degli indumenti). Ciò che l’Io-psyché riconosce di sé e dove esercita la propria identificazione è il potere riconosciuto, in quel momento, e che vuole difendere, perché quello ha e in quello, riconosce qualche significato-significante. Spesso, quando s’intuiscono altre forme di poter, si tentano vari approcci seduttivi, provocatori, fusionali ecc., che rientrano, comunque, nella capacità di riconoscimento che si ha. Quando  l’io-psyché vuole appropriarsi del pene-vagina, del potere altrui, risponde al metabisogno pulsione autopoietica a conoscere, al vissuto del tre in uno, dello spermatozoo più ovulo uniti, al momento in cui viveva la fusione autopoietica, la condizione di androginia autopoietica.

In questo quadro, emergono inoltre memorie, esperienze di quando l’Io-psyché e il corpo del ricercatore, appena dopo la nascita, venivano erotizzati da un altro Io-corpo, durante la pulizia personale: le madri, i padri, toccano, accarezzano il pene, la vagina o altre parti del corpo del figlio o della figlia che, ovviamente, risponde erotizzandosi, provando piacere fisico, ludico.

Alcune donne dicono di aver vissuto situazioni Io-somatiche di piacere anche intenso, al momento dell’allattamento; alcuni hanno goduto del piacere fisico, dormendo nudi, facendo il bagno, massaggiandosi e tutti inscrivono queste sensazioni nel corpo, nell’Io-psyché.

Sono percezioni che riemergono, quando, vivendo, ci si trova in situazioni simili, che possono essere risonanti.

9. DISCRASIA FETICISMO

Ho seguito alcuni casi di ricercatori che riferivano di poter produrre eccitazione, utilizzando un oggetto, una parte-Universi. Si tratta di una discrasia dell’Io-psyché e può manifestarsi nell’essere umano, sia in uomini sia in donne. In un caso, da me seguito, la scelta verso un pupazzo gonfiabile, dalle fattezze di donna, era preferita alla donna, in carne ed ossa!

La produzione di eccitazione deve trovare un mediatore, come un oggetto indossato dal partner. Il fatto che possa essere prodotta significa che quel meccanismo fisiologico, che la attiva, funziona, altrimenti non ci riuscirebbe. Tuttavia, riuscendo ad attivarla, soltanto attraverso un mediatore, significa che l’io-psyché abbina a quell’oggetto uno specifico significato-significante, per cui ci troviamo di fronte ad una discrasia dell’Io-psyché acquisito.

Nel primo caso, si è evidenziato che il soggetto preferiva il pupazzo, in un altro, indossava mutandine da donna. Il pupazzo si adattava perfettamente ai movimenti di quell’uomo, poteva controllarli e, quindi, poteva evitare, in presenza della partner, il problema dell’eiaculazione precoce o addirittura dell’impotenza. Con il pupazzo, risolveva in un colpo i due problemi: evitava il giudizio della partner, per lui pesante, per non riuscire a soddisfarla, esattamente come tante volte lo aveva giudicato sua madre, rispetto ad altri adempimenti (estrapolato da verbalizzazione). Nel secondo caso, invece c’era un collegamento con il ricercatore piccolo  che guardava dal buco della serratura del bagno la sua mamma, molto bella, mentre usciva dalla vasca da bagno. Gli era rimasto impresso il momento in cui, infilandosi le mutandine, lei alzava il piede e la gamba, mostrando ancor più la vagina, movimento da lui memorizzato e interiorizzato, tanto che gli bastava evocarlo, per provare immediatamente eccitazione. Tale situazione lo spinse a provare a fare anche lui le stesse movenze e a indossare quel tipo di mutandine: non appena alzava il piede e la gamba, gli si rinnovava l’eccitazione, irresistibilmente forte, come quando era bambino: una forma di feticismo da travestimento.

                Approfondiamo.

È come se quella mutandina avesse un poter magico (da verbalizzazione). Il feticcio è un oggetto investito di significati-significanti e delle relative intensità istintivo-emozionali; quando è investito di significati religiosi può assumere valenze dello stesso tipo (vedi culti dei nativi, praticamente di tutto il mondo). Evidentemente, si tratta di una proiezione e di uno spostamento della propria intenzionalità da un oggetto, per qualche motivo  non raggiungibile, verso un altro sostitutivo e caricato della stessa valenza e intensità. In alcuni casi, taluni scelgono come sostituto una parte dell’oggetto reale, come nel caso delle mutandine al posto del corpo della madre, mascherando così in questo caso anche l’ostacolatore incesto.

Nel caso di un cattolico-cristiano, da me seguito, che attribuiva caratteristiche soprannaturali ad una statua, rappresentante la Madonna e a un oggetto, appartenuto a padre Pio, oggetti evidentemente inanimati (non nell’accezione di quel credente). In questo suo culto, formato da preghiere che rivolgeva a tali oggetti, si riscontra uno stato di feticismo, di natura antropologica. In quel caso, il ricercatore prese coscienza che quello che riteneva essere una forma di divinizzazione dell’oggetto era, in realtà, la proiezione di un pensiero e relativa emozione, da lui stesso, edificato ed espresso in quella guisa. Fu, per lui, una liberazione!

Per la Maieutica sigmasofica, il feticismo serve ad affrontare il proprio senso di inadeguatezza e di non conoscenza esistenziale che include l’importante sfera della sessualità. Indica, così bisogni-desideri e fantasie esistenziali, spesso di valenza erotica sull’oggetto sostitutivo.

Ho constatato che il feticismo è sempre legato a stati psico-somatici di colpevolizzazione, per un pensiero, per un atto compiuto, per cui quel soggetto ha temuto intensamente castrazioni, punizioni severe. Tali stati sono registrati come qualche cosa che, da piccoli, fa temere continuamente la punizione da parte del padre-madre, proiezioni incestuose del bambino, trasgressioni alle indicazioni ricevute, e così via. Spesso, pur di mantenere la propria trasgressione colpevolizzata, nel caso di impossibilità di raggiungere l’oggetto reale, viene sostituito dal feticcio che lo rappresenta, investendovi, in parte, il bisogno-desiderio insoddisfatto. Anche se, da tale azione, si ottiene l’eiaculazione, l’orgasmo è pur sempre vissuto, in modo colpevolizzato, in quanto qualche cosa di loro sente che quel piacere sta nascendo da un bisogno-desiderio, da loro stessi, vissuto come illegittimo, colpevolizzato. Il soggetto non è dipendente dall’oggetto feticistico, ma dallo stato proiettivo che vi trasla. A volte, si osserva che il soggetto lo contempla al lungo: alcuni chiedono ad altri di usarlo in qualche modo su loro stessi, anche percuotendoli!

Tale stato è evidentemente un ostacolatore al naturale flusso della S.d.C.

10. DISCRASIA VOYEURISMO ED EXPOSING

Il ricercatore, indicato nel caso di feticismo, era nello stesso tempo produttore di voyerismo. Infatti, quando guardava la madre dal buco della serratura, raggiungeva forme di soddisfazione sessuale, osservando quel corpo nudo o spiando i genitori, durante le loro relazioni sessuali. Otteneva piacere attraverso intense masturbazioni che praticava in diretta o attraverso l’evocazione del ricordo di quanto aveva visto. In seguito, trasferì tale azione, fuori famiglia, impegnandosi a guardare di nascosto coppie appartate o altre situazioni di quel tipo. La motivazione non era quella di voler egli stesso accoppiarsi, anzi era un’idea da lui decisamente respinta: voleva soltanto eccitarsi e masturbarsi, guardando. Non sarebbe riuscito ad avere un rapporto diretto, per cui adduceva la motivazione che nessun altro o altra avrebbe avuto la delicatezza e sensibilità che lui aveva raggiunto verso se stesso. Da dentro poteva misurare al meglio la propria masturbazione e riteneva che altri non avrebbero potuto applicare lo stesso modo di sentire, determinando discrepanze tra il loro eventuale atto di masturbazione applicato su di lui e quelle che erano le sue specifiche esigenze di sensibilità. In definitiva, riferiva che poteva masturbarsi soltanto da solo. Capisco che possa forse far sorridere, ma è stato un caso molto complesso da seguire, perché ormai la parafilia si era cronicizzata e il ricercatore non viveva tutto ciò come discrasico.

L’azione opposta è denominata exposing, che significa scoprire e mostrare, improvvisamente ad altri (che proprio non se lo aspettano) il proprio corpo nudo in particolare i genitali, allo scopo di ricavarne eccitazione, piacere. Mentre il soggetto si espone, di solito vi abbina l’attività di fantasticare su rapporti meravigliosi (da verbalizzazione) e si masturba, ottenendo così un doppio autostimolo, quello della fantasia e quello della masturbazione agita. Altre forme segnalate sono quelle, per cui il soggetto vuole esibire, ad ogni costo, le proprie facoltà, capacità, il proprio aspetto per essere apprezzato, adorato, amato.

L’exposer è, quindi, sostanzialmente, quell’essere umano che, per discrasia non controllata, sente l’esigenza di mostrare ad altri i propri genitali, per ottenere il risveglio e la soddisfazione sessuale. Troviamo la pulsione a mostrare il corpo nudo ovunque: basti pensare ai naturisti. Talvolta, capita anche in quei gruppi di eccitarsi e provare piacere, tanto che, in alcune situazioni in cui mi sono trovato per ricerca, alcuni davano delle indicazioni pratiche su come gestire tale eventualità. In quel caso, l’attitudine non è considerata discrasica, ma se la stessa pulsione viene realizzata in un altro ambiente, non condiviso, allora le si fa assumere caratteristiche patologiche. Voglio comunicare che la convenzione socio-culturale determina un ruolo, in tale questione, come conferma, ad esempio, quel gruppo d’indigeni che vivono nudi nella foresta amazzonica (non cito il nome) e spesso naturalmente capita loro di eccitarsi e per ben più di sei mesi, (tempo che il DSM-4 indica necessario, per dichiarare una determinata espressione dell’Io, patologica) e senza per questo temere una diagnosi di exposing. Nasciamo nudi ed è perfettamente naturale trovare in noi stessi quella memoria di nudità su cui mettiamo sovrastrutture, vestiti, per diverse esigenze. Non sto legittimando nulla, ma non deve sorprendere, se taluni evocano tale pulsione, vi s’identificano e si fissano così tanto (per diverse e conosciute motivazioni), da cadere in forme, considerate patologiche, discrasiche. La questione è che abbiamo coperto tantissimo la nudità, anche con più stati. Pensiamo agli organi genitali: di solito, sono coperti da mutande, da calzamaglie e da pantaloni o gonne e, per finire, da una giacca. Ed anche quando ci si reca al mare, al sole, si mantiene una copertura, non consentendo più a quelle parti di essere irrorate e lavate dal sole, dagli agenti atmosferici. Fate un esperimento: prendete un telo di plastica e mettetelo su un prato, lasciatelo sul posto, in modo che il prato non sia colpito direttamente dal sole. Dopo un mese, togliete il telo e vi renderete conto di come quel pezzo di prato coperto sia diventato bianco, malaticcio. Si nota che la mancata irrorazione ha provocato quelle conseguenze. Bene, ora togliete quel molteplice strato di vestiti e guardate la zona genitale: vedrete la stessa pelle bianca, flaccida, non irrorata, auto-indicandoci, se abbiamo occhi per veder e un io-soma, per sentire quell’azione di autorigenerazione. Assumendo quell’azione di autorigenerazione e di esposizione al sole, alla natura, al piacere che questo determina, ci indica una funzione dell’esposizione naturale. Voglio comunicare che non sto difendendo le azioni di sorpresa dell’expose, quando mostra i propri genitali ad altri, ma soltanto la necessità di recuperare la consapevolezza naturale dalla quale gestire e ri-orientare la pulsione dell’expose, e di altri. Alcune patologie sono la conseguenza di comportamenti complessivi, che dipendono da molteplici fattori psicosomatici, da risalire e ri-organizzare, per creare una condizione che non abbia bisogno di produrre atti come l’esibizionismo o altre parafilie: infatti, a comprova, quando un ricercatore si impegna seriamente nella pratica della S.d.C., a tutto pensa tranne produrre deviazioni, legate all’ostacolatore parafilia.

La formazione vissuta a se stessi, agita in modo complessivo, quella che ripristina il naturale e innato free-flow d’istinti, di emozioni, di stati di coscienza e di pulsione olistico-autopoietica a vivere, a cui si abbina in modo simmetrico, in fase coerente l’acquisito culturale, non produce ostacolatori o discrasie.

Partecipare-osservare è un atto di primaria importanza, per esistere, vivere, e se ciò produce piacere, è un diritto, anzi ci si forma in modo che tale piacere diventi beatitudine, estasi e oltre. Partecipo-osservo, consapevolizzo e provo estasi, da quella scoperta e vissuto integrale: mi sembra perfettamente in linea. Ma, tutto ciò può diventare perversione, discrasia? Faccio un esempio: se sono un infermiere e riesco a produrre estasi, anche mentre lavoro e sto pulendo un paziente che ha defecato, non posso essere tacciato di coprofilia (provare piacere attraverso l’osservazione dell’altrui defecazione).

Uno stato di estasi vissuto determina stati di eccitazione maggiore, su ogni singola pare del corpo ed è molto interessante vivere con il corpo acceso, vitale, entusiasta. Tale stato è vero e non è riferibile, soltanto ai genitali (da cui l’ipotesi di patologia) ma li coinvolge intensamente e non per questo si può definire quella funzionalità, discrasica. Possiamo riconoscere un confine, quando il soggetto impone e invade la sfera di auto-determinazione altrui, impedendo ad altri di autodeterminarsi e vivere come sentono. Ma, qui, l’intervento autorigeneratore è di altro tipo e riguarda l’organizzazione psicosomatica complessiva, e non solo la manifestazione localistica della parafilia. Voglio comunicare che ho verificato sul campo che i ricercatori che formandosi complessivamente a loro stessi raggiungono risultati di consapevolezza delle loro funzionalità naturali innate di fatto, anche senza occuparsene specificamente, determinando il porre in remissione degli ostacolatori e relative discrasie tra cui le parafilie che stiamo trattando. La proprietà emergente è autorigenerazione e autoguarigione, in favore di funzionalità innate pre-acquisito, socio-culturale, convenzionale dell’epoca che spesso gioca un ruolo significativo e che facilita l’insorgere di tali discrasie.

11. DISCRASIA STUPRO

Ciò che possiamo partecipare-osservare è che chi esercita la violenza, di fatto, sta imponendo in modo violento un proprio stato Io-somato-autopoietico discrasico, a spese di un altro essere umano non consenziente, il che evidenzia la gravità autoformativa del soggetto che lo esprime, in quanto elegge ciò che sente e prova, in quel momento, a qualche cosa che è assolutamente da affermare, indipendentemente dall’altro.

Per questo motivo, chi stupra sta esprimendo diversi ostacolatori, tra cui l’ostacolatore potenza-impotenza-onnipotenza, l’ostacolatore discraiosi che, in caso di Maieutica sessuologica, dovranno essere individuati, caso per caso, come base fondamentale per poter creare un protocollo autopoietico adatto. Lo stupro, la violenza possono manifestarsi, attraverso diverse modalità che non sono necessariamente individuabili soltanto in quella sessuale, anche se questa, dato che permette di provare piacere, assume una rilevanza importante. Voglio comunicare che si esercita violenza, si stupra in diversi modi.

Al momento, se teniamo conto degli stati statistici, risulta che l’essere umano androgino-uomo è quello che esercita un numero maggiore di violenza, rispetto all’esser umano androgino-donna. Ogni 100 stupri a sfondo sessuale, novanta sono attuati da androgini-uomo, 10 da androgini-donna.

Se lo stupro avviene contro un infante, si tratta di pedofilia, se invece viene perpetrato nei confronti di persone anziane, si chiama gerontofilia. Se avviene in famiglia, si può parlare di stupro incestuoso.

Dai casi, finora trattati, le conseguenze sono di diverso tipo: spesso, costituiscono la motivazione che spingerà il ricercatore a richiedere un intervento di Maieutica sessuologica.

Ad oggi, ho trattato alcuni casi di esseri umani vittime di stupri. Ognuno di essi ha reagito in modo differente alla violenza-trauma. In generale, gli stati reattivi che ho partecipato-osservato e che sono stati testimoniati sono:

  • stato confusionale
  • ansia continua mischiata a rabbia
  • stato di shock, manifestantesi, attraverso poca lucidità, presenza e stato d’insensibilità, pressoché verso tutto, anche se stessi
  • negazione, oblio dell’avvenimento o riduzione dei significati della violenza subita
  • non riuscivano a dormire e a concentrarsi
  • in due casi, non sono riuscite a comunicare a nessuno ciò che era accaduto
  • depressione e tentato suicidio
  • vergogna, soprattutto se lo stupratore è stato un familiare o un amico caro
  • difficoltà anche significative, sul posto di lavoro
  • blocco della pratica della sessualità; un senso di schifo, rifugio in alcool e droga.

Ebbene, ogni giorno, in base ai dati ufficiali, in Italia, in media sette donne su dieci subiscono violenze dirette e indirette che hanno come sfondo la sessualità.

Negli anni, ho potuto seguire un certo numero di casi (più di dieci) che hanno agito violenze di ogni tipo, prevalentemente quella sessuale. Ho potuto individuare un comune denominatore: erano in atto stati discrasici esistenziali, personali, che venivano scaricati, attraverso tali aggredior-out su altri. Tutti evidenziavano una volontà di potere esistenziale, da esercitare nella relazione che non riuscivano ad ottenere, rilevando, così, un proprio stato di impotenza effettiva. Tuttavia, non accettandolo, per diversi motivi, procedevano, in un accumulo di tensione, di stress, di insofferenza che, raggiunta una determinata soglia, non poteva fare altro che scaricarsi in aggredior-out violenti.

Ovviamente, ci sono altre cause. Ma, nei casi trattati, da questo sfondo comune, si manifestavano diversi applicativi. Alcuni sentivano e riconoscevano, da tempo, rabbia, conseguente a stati di frustrazione nella soddisfazione dei loro meta-bisogni fondamentali, come rapporti non soddisfacenti con le donne, derivanti da una relazione distonica, di valenza incestuosa, con la madre: problema represso, che si proiettava sull’immagine delle donne che incontravano. Le donne sentivano che c’era qualcosa che non andava e non si aprivano alla relazione (sentivano il soggetto titubante, appunto perché proiettava una dinamica incestuosa colpevolizzata). Si veniva a creare, così, una miscela esplosiva: il forte desiderio, l’accentuata colpevolizzazione, la mancata fluidità con la donna e la rabbia, per questa situazione, che non portava mai alla concretizzazione. È accaduto che, per superare tali tremendi ostacolatori, ha dovuto esercitare una forza enorme che soltanto quell’aggredior-out poteva dare, generando, in quell’atto, una violenza sproporzionata, provocando così lesioni gravi alla donna, su cui scaricava. Mi disse: In quel momento, la pulsione era più forte di me. Sentivo di non poter assolutamente controllare quello che stavo agendo e  la cosa è durata diversi minuti. Subito dopo, ho preso consapevolezza, coscienza di ciò che avevo fatto (da verbalizzazione).in un altro caso, il ricercatore G., riferiva di aver sempre vissuto uno stato d’impotenza, di essere stato sempre vulnerabile. Fin da piccolissimo, tutti riuscivano a sottometterlo. I suoi cinque fratelli, più grandi, a tavola, divoravano tutto quello che c’era da divorare, lasciandolo molte volte senza nulla. Pur provando a dirlo, a ribellarsi, i fratelli lasciavano G. ancor più nello stato di impotenza effettiva e rivolgersi ai genitori non serviva: la situazione non cambiava. Nessuno mi aiutava e questo timore lo trasferivo sui miei amici. Non riuscendo mai a ottenere nulla, la rabbia in me cresceva. Inoltre, mi sentivo veramente impotente e, fin da piccolo, ho iniziato a premeditare come cambiare la situazione. L’unica cosa che mi veniva da pensare è che solo, sottomettendo l’altro, rendendolo inoffensivo, finalmente avrei potuto ottenere, realizzare qualcosa, ma per poter riuscirci, dovevo studiare ogni possibilità. Fu così che su una persona, F., che mi sembrava diversa, investii possibilità realizzative. Mi sembrava dolce e disponibile e, quando sembrava che finalmente qualcosa potesse accadere, lei mi disse no! La rabbia fu totale. Mi misi in testa di fargliela pagare. Pensavo si trattasse soltanto di uno sfogo, non pensavo mai di poter attuarlo veramente, mi ero costruito una storia fantasiosa in cui realizzavo, finalmente, tutto quello che c’era da realizzare, sesso compreso. Fu così che rincontrai di nuovo F. che si relazionò con me con una freddezza veramente ostentata. Fu, così, che sentii come se quella fantasia volesse uscire fuori da me e, improvvisamente, in un modo completamente al di fuori del mio controllo, successe: tutta quella pre-meditazione fantasiosa divenne crisi violenta in azione (aggredior-out, n.d.r.). era talmente forte che, sì, proprio io, G., sottomisi totalmente F., violentemente, come nella fantasia. Le strappai i vestiti e la stuprai: sentivo la mia rabbia e il mio bisogno di affermarmi, di liberarmi. Il piacere sessuale mi esaltava e mi aumentava, era violento, ma stavo bene, e in fin dei conti meritava quell’atto: è lei che me ne ha dato l’opportunità, comportandosi in quel modo, negandomi. Alla fine, non provai nessun rimorso, anzi, in un determinato momento, sentii che avrei benissimo potuto accanirmi ulteriormente su F., fino ad ucciderla. Ma, non attuai questo pensiero. Avevo finalmente realizzato qualcosa. Fu soltanto dopo qualche giorno di benessere che affiorarono prese di consapevolezza di quello che realmente avevo fatto. Questa incredibile verbalizzazione mi fu rilasciata da un ricercatore e mi mise non poco in imbarazzo: non sapevo se denunciarlo alle autorità si trattava di una situazione molto seria. Per scrupolo, mi venne in mente di contattare F. Fissammo un appuntamento e gli comunicai che avrei voluto parlare di F. Mi disse di sì. In sintesi, ne venne fuori che quello stupro non era avvenuto, realmente, ma soltanto come sfogo, a parole, con linguaggio verbale intenso, che dava corpo emozionale a quella discussione. Decisi di trattare e di elaborare quei peculiari vissuti. Da cui venne fuori che G. partecipò visceralmente la possibilità di stuprare, di poter uccidere. Aveva riconosciuto, intuito, nel vissuto che cosa può accadere a un Io, tanto da essere spinto a realizzare realmente quei gesti che, per fortuna, nel nostro caso, comunque istruttivo, erano stati totalmente inventati.

Una ricercatrice oggetto di violenza sessuale, dopo anni di vissuti e di elaborazione, mi verbalizzò un qualcosa che mi sorprese. Mi disse: Adesso che abbiamo elaborato tutto e che sto meglio, devo rivelarti qualcosa di quell’episodio che non ti ho mai detto. La cosa mi sembrò molto strana. Avevamo veramente elaborato e ri-elaborato ogni cosa di quella violenza, fin nei minimi particolari e dettagli.

Che cosa poteva essere mai?

Mi disse:

Durante la violenza, sentivo quel ragazzo, che mi stava penetrando e, pur manifestando tutta la mia indignazione e sgomento, il mio dolore lacerante per quello che stava accadendo, mi sentivo sconvolta per ciò che stavo provando. Pur sentendo quello che stavo sentendo e non augurandolo nemmeno al mio peggior nemico, quello stimolo e quel muoversi del pene nella mia vagina, sotto lo sdegno e l’umiliazione, mi faceva sentire piacere. Era incredibile! Provavo disgusto infinito, ma, in alcuni momenti, il corpo sembrava rilassarsi, provando esattamente quella stessa sensazione che si ha, dopo un rapporto sessuale desiderato. Ma, mi stava accadendo, mentre era in corso l’atto dello stupro. Questa sensazione mi ha sconvolto, l’ho colpevolizzata e repressa. Ma, ora che siamo alla fine di questa elaborazione, non potevo non dirlo. La tranquillizzai immediatamente, spiegandole che il corpo reagiva chimicamente, producendo endorfine, necessarie a regolare quell’eccesso di impulsi che stava vivendo e che quella reazione faceva parte della sua difesa a quell’aggressione. So che questa spiegazione, anche se vera, non riuscì veramente a transmutare quel senso di colpevolizzazione e d’incomprensione di se stessa, in riferimento a quel peculiare vissuto. Nella Maieutica Sigmasofica, occorre tenere in considerazione, con estrema cautela anche quest’aspetto che, ovviamente, è legato più a funzionalità bio-chimiche, come è il piacere, che non alle sane valutazioni di diniego assoluto verso quel gesto. Nei suoi rapporti veri, sani, adorava provare piacere. Lo sentiva come un naturale nutrimento, praticato con consapevolezza moltissime volte, cosa che si era attivata anche nel momento violento come risposta automatica del corpo. Di quella violenza, che resta tale e basta, senza se e senza ma, (in quanto lo stupratore, oltre a tutto il resto, ha violato il principio attivo di autodeterminazione che consiste nel conoscere e gestire ciò che genera quelle pulsioni e non nell’esprimerle con violenza sugli altri), non si dovrà mai leggere in nessun caso forme di connivenza e di compartecipazione da parte della ricercatrice, come alcuni hanno interpretato, per un semplice motivo: perché tale azione non ha nulla a che vedere con le funzionalità autopoietiche dell’Universi-parte che, per produrre stati di piacere, di beatitudine, di estasi, di tutto ha bisogno tranne di un’azione violenta, a cui la persona possa rispondere con forme di piacere.

Ma, è appunto lo stato di autodeterminazione, di formazione a se stessi che potrà produrre quegli stati. La manifestazione di un chimismo, anche se fosse corroborato da un allineamento dell’Io, rientrerebbe comunque in questa tipologia, appunto perché, quali Universi-parte, funzioniamo per autodeterminazione, per autopoiesi e non per reazione violenta ad atti di esseri umani, gravemente discrasici e non formati a loro stessi. Nella Maieutica Sigmasofica, si dovrà tenere conto di tutti questi parametri, in fase di impostazione del protocollo autopoietico e, quindi, durante l’attuazione.

12. DISCRASIA FROTTEURISMO

È il desiderio, a cui segue l’azione, di toccare, palpeggiare, sfregare il corpo di un altro essere umano, non consenziente.

Un ricrcatore riferì che la pulsione gli scattava, durante le ore di punta, sulla metropolitana di Roma. Approfittando della calca, si strofinava, con forza, su donne, che sceglieva accuratamente, da cui, talvolta, riceveva risposte consenzienti. Riferiva di aver sentito esclusività, molta intensità ed erotismo, durante quegli sfregamenti. Si tratta della discrasia frotteurismo. Riferì ancora che applicava tutta una serie di tattiche e di strategie, per evitare di essere scoperto, per uno stato di colpevolizzazione dell’atto che sentiva, ma anche per paura delle reazioni delle persone, oggetto dei suoi sfregamenti.

È una discrasia dell’Io-psyché che può manifestarsi ad ogni età, anche se sembra espressione caratteristica della fascia d’età che va dai dieci ai trent’anni.

Ogniqualvolta i ricercatori la manifestano, si procede all’elaborazione dell’azione correttrice. In ogni caso, si tratta della manifestazione del metabisogno fusionalità, vissuto in forma ostacolante e discrasica. In molti casi, il soggetto ha timore del rifiuto.

In altri, proietta il bisogno di trasgressione, ossia ottenere fusionalità con estranei e, ove questi non fossero d’accordo, avere a disposizione una scusa, per attribuire la responsabilità del contatto alla situazione e non alla propria intenzionalità.

Il frotteurismo è speso collegato alla discrasia border-line, unione di discrasie che determina sempre ostacolatori, disagi, nel contesto, in cui si vive. Talvolta, i ricercatori, che l’hanno segnalata, hanno riferito che è come se non potessero pensare ad altro. Il frotteurista vuole soltanto la comunicazione corporea, fusionale, da cui estrapola piacere: in tal senso, non è una discrasia che dobbiamo considerare pericolosa. Non riuscendo o pensando di non riuscire ad averla, attraverso la naturale comunicazione, ha necessità di trovare una condizione situazionale che può consentirgli di ottenerla, senza richiederlo esplicitamente.

13. DISCRASIA COPROFILIA

Il ricercatore manifesta un particolare interesse, per gli escrementi dal cui contato e con diverse forme di comunicazione, estrapola piacere ed eccitazione. Vedi alcune applicazioni, per cui, nel B.D.S.M., si procede, defecando sul corpo dell’altro o mangiandone le feci (coprofagia). Si fa, per cercare di abbinare, di integrare stati di umiliazione nel partner sottomesso, situazione da cui, riferiscono, di estrapolare maggiore piacere (pratica, denominata Scat).

Possono sorgere seri problemi a causa di batteri e virus, quindi coinvolge l’igiene della persona.

La proiezione, l’investimento, su un processo come le feci ossia con residui, che hanno finito il loro iter funzionale, svuotati dei principi attivi che veicolavano indica che, in quell’Io-psyché, l’ostacolatore della perdita-remissione dei significati-significanti dell’esistere ha preso il totale sopravvento. Quegli Io-psyché vivono la separazione totale tra il proprio acquisito, ormai riflesso e cristallizzato, e i processi di vita-autopoiesi innati, in cui si riconoscono detti significati. La separazione-frattura è stata portata a livelli estremi ed anche il piacere , che affermano di vivere, e la vita, per loro, sono soltanto infezione: possono trasmettersi soltanto patologie.

14. DISCRASIA NECROFILIA

Nekròs, cadavere o morto e philìa, amore: amore per il morto, per il cadavere, etero se di sesso diverso, omo, se di sessualità uguale, bi, se investito su entrambi.

Almeno non rischio di essere respinto (da verbalizzazione).

Il soggetto che la vive, vuole il controllo totale sull’altro, condizione che un corpo morto garantisce, non esprimendo alcuna volontà. Ciò che conta è soltanto la propria volontà, il proprio piacere: c’è un’identificazione esasperata su se stessi, collegata all’ostacolatore onnipotenza-impotenza. In tal senso, la necrofilia è stata paragonata all’atto sessuale, consumato con una bambola di gomma, appunto perché si adegua alla volontà dell’investente. In ogni caso, la relazione con un morto non è vissuta in modo fluido, a causa della temperatura: è un rapporto freddo, senza calore. Non riferiscono di viverlo, come uno stupro, appunto perché il corpo del morto si presta ad altre proiezioni. Ciò non toglie che molti vivono la questione come eticamente inaccettabile, equiparandolo ad uno stupro. L’indagine maieutica avviene sul perché il soggetto ha bisogno che l’interlocutore sia completamente dipendente come soltanto un cadavere sa esserlo.

15. DISCRASIA ORGE E BACCANALI

È un ostacolatore, quando, esattamente come nel rapporto a due, quella pratica di sessualità di gruppo non è finalizzata alla conoscenza vissuta. In tal caso, ci troviamo di fronte al bisogno-desiderio di provare piacere: nient’altro. Se organizzata secondo criteri conoscitivi, l’orgia, la pratica di gruppo può divenire significativa, se finalizzata alla conoscenza vissuta. Infatti, la presenza di più coppie, che agiscono per quelle finalità, crea un’atmosfera, un campo più intenso, fruibile da tutti i partecipanti. Il valore catartico, liberatorio e de-colpevolizzante può essere d’aiuto all’azione di conoscenza. Chi l’ha sperimentato, per fini di conoscenza vissuta, sa che, in quei momenti di fluidità, tutti condividono un senso di con-partecipazione che alimenta l’intensità istintivo-emozionale, contribuendo così a creare sensazioni e vissuti più intensi, da penetrare. Sono milioni e milioni di esseri umani quelli che praticano, anche attualmente, sessualità di gruppo, per finalità conoscitive. Tale azione diviene ostacolante, quando è finalizzata al piacere riflesso e non alla conoscenza che include piacere, beatitudine, instasi-estasi. Si tratta di azioni, volte alla liberazione dell’azione olistico-autopoietica; quando, invece, il processo si collassa, ha ridotte produzioni di piacere, in stato di ebbrezza ci troviamo di fronte all’ostacolatore alla S.d.C.

16. DISCRASIA ZOOFILIA

Zôon significa animale e philia significa amicizia, propensione, amore, quindi: amore per gli animali la zooerastia (altra denominazione è l’accoppiamento sessuale dell’essere umano con un animale. È una pulsione forte, intensa che, non riuscendo a trovare investimenti adeguati, va ad applicarsi su chi c’è: così verbalizzò un pastore, dopo il rapporto con una pecora. Indica, da pare di chi la attua, la rottura di ogni ostacolatore inibitorio: ciò che conta è sentire piacere e non importa molto altro. La questione è letta anche come l’animale che si accoppia con l’essere umano: vedi, ad esempio. La leggenda di Pasifae che, unendosi con un toro, generò il Minotauro. L’abbinamento consiste nel desiderare la stessa potenza che si assume abbia un toro e di farla propria, in quanto sento di non averne (da verbalizzazione). È il bisogno-desiderio di funzionare sessualmente senza ostacolatori, difese blocchi.

L’unione con gli animali non è di specifico interesse per la conoscenza, poiché questa risiede alla radice dell’Io-psyché stesso, e non in quei particolari applicativi. Soprattutto, chi non vive questa conoscenza, a monte, tenta esperienze sempre più osanti, in quanto non sa trovare consapevolezza in altro modo. Si proietta che quelle unioni con cani, cavalli, serpenti, gatti, topi, maiali, possa stimolare chissà quale conoscenza (si tratta di rapporti che abbiamo visto nella pornografia).

Si tratta di un ostacolatore, perché il soggetto, non riuscendo a vivere stati estesi di coscienza, li cerca in modo riflesso e in situazioni esasperate, particolari, diverse, sperando che possano fornirgli risposte. Non è così, perché, infatti, sono motivo di ulteriore distrazione, in quanto rapporti non usuali e, come noto, l’attenzione partecipata è un fatto di base per la pratica della S.d.C.

error: Content is protected !!