Cos’è il metabisogno dormire
Il metabisogno olistico-autopoietico dormire è molto complesso e deve trovare modalità di approfondimento e di descrizione più ampie.
Entriamo.
Tutti possiamo partecipare-osservare come l’essere umano, l’Io-psyché, alterni continuamente due stati fondamentali: la veglia e il sonno-sogno. Questi due stati, in apparenza separati, ma facenti parte di un unico processo, devono essere penetrati profondamente, attraverso il vissuto, per comprenderli in tutte le loro potenzialità e finalità. Specialmente per quanto concerne il sonno-sogno, non abbiamo ancora indagato, attraverso la percezione diretta, interiore, le sue strutture formatrici e le loro interconnessioni.
Iniziamo con semplici osservazioni: mentre è in uno stato che denominiamo di veglia, l’Io-psyché non è consapevole dello stato di sonno-sogno. È come se una parte fosse addormentata, rispetto al riconoscimento sensoriale percettivo e consapevole del sonno-sogno, per cui si può dire che, in tal senso, è inconscia: dorme continuamente, rispetto allo stato di consapevolezza. Nello stato di cosiddetta veglia, l’Io-psyché riesce ad agire e ad essere consapevole dei sensi, della percezione, della componente finale, quella che riesce a raggiungere il livello neocorticale, cosciente, degli istinti-emozioni, del pensare, dell’immaginare, del concettualizzare, del volere, del sentire (…): è presente a ciò che sperimenta. Durante lo stato di sonno-sogno, tutta quest’attività autocosciente non funziona come durante lo stato di veglia. Entra in azione, per così dire, il modo di funzionare notturno. Infatti, la percezione, consapevole del mondo, delle cose esterne a noi, scompare, tutte le possibilità indicate per lo stato di veglia vanno in remissione, esattamente l’opposto di ciò che accade nella fase di veglia.
È certo che frammenti della dimensione onirica, del sonno-sogno sono percepibili nello stato di veglia: infatti, spesso, ricordiamo i sogni o frammenti di essi. Non si può affermare la stessa cosa con la stessa precisione, per lo stato di sonno-sogno: è molto raro che, mentre dorme, una persona racconti a se stessa o ad altri personaggi onirici di ricordare parti di ciò che ha vissuto, mentre era sveglia.
Dalla partecipazione-osservazione, sembra emergere che lo stato di Io-psyché di veglia sia più sveglio rispetto allo stato di Io-psyché che si svolge durante il sonno-sogno.
Durante la veglia, la parte autocosciente è, quindi, più sveglia, ma è dormiente rispetto alla consapevolezza completa e diretta dello stato di sonno-sogno. Durante il sonno-sogno, la parte autocosciente è, invece, meno sveglia rispetto allo stato di veglia, ma sembra lasciare fluire con maggiore libertà di movimento e con meno inibizioni i propri contenuti. Infatti, nel sogno possiamo vivere in modo naturale fatti, irrealizzabili durante lo stato di veglia, come le sovrapposizioni temporali, il volare e altre azioni sensorialmente impossibili.
L’Io-psyché stimola, utilizza pienamente la corteccia cerebrale, ma anche aree del tronco cerebrale, e sono proprio queste attività coscienziali dell’Io-psyché che, coinvolgendo quelle aree somatiche, determinano stimoli che fanno funzionare i diversi circuiti cerebrali che si traducono poi in azione, in percezione e in abbinamento di significati-significanti.
L’Io-psyché può creare gli stati coscienziali indicati, grazie all’attività di principi attivi autopoietici, non locali, che individuo nel campo coscienziale olistico-autopoietico. Quindi, tutta l’attività descritta è una mera conseguenza di una funzionalità innata senza la quale l’immagine, il sonno-sogno non potrebbero formarsi ed è grazie all’utilizzo di queste funzionalità autopoietiche che l’Io-psyché, da quel livello, può riuscire a gestirlo e a controllarlo, determinandone anche ogni possibile esito. In ogni sonno-sogno, muove un profondo significato-significante Io-ontos-sophos-logico, sia acquisito che innato e che può utilizzare il tronco cerebrale a piacimento (se lucido e consapevole).
Sperimentando le Autopoiesi olosgrafiche operative Io-somato-autopoietiche, è possibile riconoscere, vivere, risalire e transmutare i sogni consapevolmente, oltre a vivere i principi attivi autopoietici locali e non locali che li formano. Da lì, è altrettanto possibile relativizzare alcuni momenti analitici e comprendere il significato-significante acquisito dei sogni, allo scopo di attraversarli.
Ogni Io-psyché può ritrovare in sé peculiari capacità che, nel passato, erano riferite a figure, oggi anacronistiche come l’indovino, il santo, lo sciamano, il mistico (…).
Nella storia, il sonno-sogno è stato trattato, interpretato in diversi modi: è stato trasformato in poesia, in romanzo, in libri di sogni per la divinazione, in libri di simbolismo, oltre ad essere stato oggetto di studi scientifici. Voglio comunicare che è stato prodotto molto materiale, in particolare in quest’epoca: mi riferisco agli studi e alle ricerche di psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, neurologi, tanto da poter parlare di una scienza, di una filosofia dei sogni. In tutte le epoche, riscontriamo la capacità, la facoltà dell’Io-psyché di autopercepirsi, di autoriconoscersi in tutte le dimensionalità locali e non locali. Abbiamo assistito all’orientamento di molti ricercatori verso l’interpretazione dei sogni, mentre, dopo l’attraversamento e il momento analitico, pochi si sono occupati della loro penetrazione vissuta, per percepire in diretta, lucidamente e interiormente, che cosa sia in grado di creare le immagini più che tridimensionali che li formano.
Generalmente, quando ci svegliamo, ricordiamo peculiari eventi che abbiamo incontrato durante la fase R.E.M. del sonno. Inizialmente, alcuni ricercatori affrontano i propri sogni, secondo personali superstizioni o, irrazionalmente, attribuendo loro qualunque causa, spesso non molto rilevante (ho mangiato troppo ieri sera! Ieri mi sentivo molto stanco… eh, già, dopo quel litigio, non poteva essere altrimenti, da verbalizzazioni). Altri, invece, riferiscono che, attraverso il sogno, hanno trovato una profonda comprensione anche in riferimento ai significati-significanti e al senso della vita, dell’esistere (come ho potuto non pensarci prima, eh già, quella risposta era in me e io ne ho preso consapevolezza, durante il sogno, da verbalizzazione). A volte, alcune informazioni, intuiti ed eventi sono stati così significativi per alcuni che gli stessi evidenziano il fatto, per cui ogni sogno, non prodotto consapevolmente e lucidamente, significava non prendere consapevolezza di contenuti che si srotolavano ed operavano all’interno dell’Io-psyché. Per taluni, risultava imbarazzante constatare che in loro risiedevano storie ed episodi che avevano a che fare con le proprie esperienze acquisite, verificatisi dal momento del concepimento in poi, o che avevano a che fare con fatti e luoghi che avevano vissuto. Incontrare quella sequenza di immagini, di storie oniriche, di qualunque tipo e natura, fece nascere la riflessione in altri che il sogno può essere veicolo di messaggi: è come se l’Io-psyché parlasse, incontrasse se stesso in una dimensione, di cui spesso non è consapevole.
Durante lo stato di veglia, siamo spesso identificati, assorbiti nel contenuto del pensiero con relativa emozione. Quando si verifica, questo stato è una forma lontana dalla consapevolezza, direttamente percepita, del processo funzionale che, in quel momento, produce l’identificazione che stiamo vivendo. Spiego: prima percepiamo un tema e, simultaneamente o subito dopo, scatta la denominazione o l’interpretazione di ciò che stiamo percependo. È questa l’operazione che sembra darci il senso, il significato-significante di conoscere quel fatto, ma, in realtà, tale modo di agire non risulta essere completo, rispetto alla conoscenza completa dell’evento. Infatti, in quel modo, noi indichiamo soltanto il sostituto convenzionale, ossia il linguaggio che individua, indica quel tema. Questo naturale fluire di pensieri non coincide con la percezione, tendente alla completezza. Un elemento concreto sembra, quindi, essere la capacità di percezione prima ancora della denominazione di ciò che percepiamo e analizziamo: si tratta della capacità di percepire interiormente la fisiologia che permette ai vari processi Io-somatici di funzionare, come processo autopoietico in sé. Nonostante si manifestino in modi diversi, le funzioni appena indicate fanno parte di processi che si svolgono anche durante lo stato di sonno-sogno, quando seguiamo un sogno o quando, da svegli, lo ricordiamo e ci troviamo di fronte allo stesso fluire del pensiero, delle emozioni e delle immagini. Quindi, anche al contenuto del sonno-sogno e delle sue dimensioni può essere applicata la considerazione che il meccanismo della percezione e di ciò che la fa nascere, è uno dei mattoni di base fondamentali, senza cui la denominazione, l’interpretazione, il contenuto specifico stesso del sonno-sogno non potrebbero esistere.
Quello che sembra essere significativo è la facoltà olistico-autopoietica che l’Io-psyché utilizza per poter percepire al di là dell’oggetto percepito, anche se quest’ultimo ha una specifica importanza. Ciò che voglio evidenziare è il livello d’incompletezza, come consapevolezza, dei processi che indaghiamo, che percepiamo. Di fatto, è assente, sia nella dimensione di sonno-sogno che nella dimensione di veglia:
è percepire la percezione,
secondo riferimenti e parametri interiori.
Dalla pratica, quindi, risulta d’importanza fondamentale comprendere, attraverso il vissuto, la fisiologia e gli archetipi autopoietici formatori dell’Io-psyché, ossia dello strumento che percepisce. Si tratta di un archetipo, di uno specifico processo, inerente i principi attivi autopoietici presenti in ogni Io-psyché e mi riferisco, oltre che all’essere umano, anche ad altre manifestazioni, esistenti in natura.
Il potenziamento assoluto di questa funzione ci sembra, quindi, il mattone fondamentale per intraprendere qualunque lavoro di ricerca che abbia una possibilità di essere maggiormente completo e che, allo stato attuale, l’Io-psyché della maggior parte delle persone, di solito, non evidenzia di aver saputo raggiungere.
Identificandosi, lasciandosi assorbire dal contenuto del pensiero, dell’emozione del sonno-sogno, l’Io-psyché sente solamente la punta finale di questo mondo che è la percezione, ossia la denominazione, l’interpretazione, l’analisi. Questo ci dà l’illusione di comprendere quello che stiamo percependo, ma a quella identificazione, mancherà gran parte della consapevolezza delle forze formanti la percezione, aventi in loro significati-significanti che possono rispondere con maggiore completezza alle questioni inerenti il sonno-sogno e la veglia. Crediamo di sentire, ma quel sentire è soltanto la parte finale di un processo che proviene dall’inconscio autopoietico dell’Universi-parte: noi stessi.
Durante il sonno-sogno, manca tale autoconsapevolezza e, ancora di più, durante la veglia, quando sembriamo essere maggiorente svegli, autocoscienti.
Nello stato di sonno-sogno, ci sono in circolo meno inibizioni (ciò è determinato anche dal livello di condizionamento che la propria organizzazione Io-somato-autopoietica mostra nello stato di veglia): gli incubi, i grandi sogni sembrano mostrarcelo, infatti, spesso, sono molto intensi e coinvolgenti, ma, essendo meno svegli, sentiamo meno questa realtà. Nello stato di veglia, l’Io-psyché, attraverso la scienza, la tecno-ontos-sophos-logia e altro, sta costruendo e percependo una quantità innumerevole di fatti: allo stesso modo, l’Io-psyché, potenziato, maggiormente consapevole degli ingredienti autopoietici che lo formano, potrebbe avere più informazioni sulla dimensione di sonno-sogno.
Come detto, nel mondo del sonno-sogno, così come nel mondo di veglia, proviamo sentimenti, emozioni, percezioni, passioni che l’Io-psyché ha vissuto, sperimentato e registrato, in ogni tempo. Non dimentichiamo che la prima molecola di DNA è ancora in circolo e si è trasmessa di padre-madre in figlio, la Y: ognuno di noi può urlare sono mio padre e mia madre, visto che tutti siamo formati dal loro spermatozoo e dall’ovulo, così fino all’innesco originario. Tutto ciò che è appartenuto, come caratteristiche Io-somato-autopoietiche, per via ereditaria, noi diremo per via della Ypsilon, ci riguarda: noi siamo l’espressione ultima di questi accoppiamenti. È come se queste memorie-emozioni fossero sempre intorno a noi, ma, spesso, lo stato del nostro Io-psyché non lo riconosce, nonostante talvolta le sogni. Le emozioni, i sentimenti, le passioni vissute dall’Io-psyché, presente nelle persone che ci hanno preceduto, sono lì impresse, registrate in luoghi della coscienza che, nella dimensione di sonno-sogno, possiamo incontrare, come ormai milioni di testimonianze ci provano. Ma, l’incontro con queste emozioni, con queste passioni, percezioni registrate, che appartengono anche a persone che consideriamo nello stato coscienziale punto morte, non ci dà informazioni sui principi attivi autopoietici che formano l’Io-psyché, che percepisce queste in-formazioni registrate, questa dimensione di sonno-sogno. Ricordiamo che ciò che chiamiamo inconscio, il luogo in cui la dimensione sonno-sogno risiede, è anch’esso una produzione dell’Io-psyché, di questo movimento unico, comune all’umanità, a cui appartiene.
L’umanità si è identificata nella rete formata da queste esperienze, anche emozionalmente significative, e scambia tali concatenazioni di cause-effetti per conoscenza, ma ancora non vive l’essenza, la conoscenza di ciò che percepisce. Con una decisione dell’Io-psyché, questo processo potrebbe essere realizzato. Mi spiego: attraverso lo stato coscienziale volontà, l’Io-psyché potrebbe riconoscerlo e ravvedere la necessità di risalire se stessa. Se partecipiamo-osserviamo bene, i principi attivi autopoietici, formanti la volontà, sembrano non risiedere nella dimensione di veglia, quanto in quella del sonno-sogno; inoltre, ad un occhio attento, risulterà essere una delle funzionalità olistico-autopoietiche disponibili all’Io-psyché. Come principio attivo autopoietico, la volontà non è ancora stata penetrata da molti, consapevolmente: infatti, chi saprebbe dire da dove nasce l’impulso volitivo che poi, trasformandosi in movimento, ci fa realizzare l’azione, attraverso la fisiologia del corpo? Anche della volontà, quello che percepiamo è il pensiero, il contenuto che mettiamo sopra: vogliamo bere e beviamo, ma nulla sappiamo dei luoghi di origine che hanno permesso a questo atto volitivo di nascere. Ciò che riconosciamo è soltanto il pensiero, il contenuto che sovrapponiamo a questo processo inerente i principi attivi legati al volere!
Per i più, sia durante lo stato di sonno-sogno, sia durante lo stato di veglia, il principio attivo autopoietico, formante la volontà che compone l’Io-psyché è ignoto: dorme! È come se fossimo svegli, soltanto per il contenuto del pensiero, per le identificazioni. Quel che sperimentiamo, in realtà, sia durante lo stato di veglia che durante lo stato di sonno-sogno, è fortemente incompleto e gran parte di ciò che lo muove è a noi sconosciuto. Degli archetipi autopoietici, formatori dell’Io-psyché, possiamo dedurre l’esistenza, attraverso il contenuto del pensiero, ma non attraverso il vissuto diretto: ed è questo lavoro, che punta alla completezza, scopo delle Autopoiesi Io-somatiche proposte. Alla radice di ogni nostro pensiero o azione o stato di coscienza, si dischiude un mondo che, da sempre, l’essere umano, le religioni, stanno cercando. L’essenza è alla radice del pensiero, alla radice dell’Io-psyché: per questo, il sovrasensibile è aperto a tutti coloro che liberamente decidono la Risalita fino a quel mondo che, va detto, paradossalmente continua ad agire dentro ad ognuno, anche se lo si nega.
Anche se i contenuti sono differenti (ce ne sono miliardi, sia del sonno-sogno, sia dello stato di veglia), l’Io-psyché, in grado di percepirli, è lo stesso. Le modalità di percezione di ogni essere umano sono quelle, sono comuni: dietro le registrazioni, i contenuti del pensiero di ogni epoca, c’è lo stesso Io-psyché, composto da specifici principi attivi che possono riconoscerli. In realtà, è da sempre la stessa istanza: il campo coscienziale olistico-autopoietico-Io-psyché che sta determinando gli eventi che stiamo partecipando-osservando.
Dietro memorie registrate, anche le più brutte e drammatiche, che appaiono sia nel sonno-sogno che nella veglia, risiedono principi attivi, non locali, transfiniti, da esplorare, che sono al di là delle varie dicotomie, proposte dai contenuti del pensiero. Il vissuto e il superamento di questo stato di percezioni emotive è uno degli appuntamenti che tutti devono affrontare. Il punto è il potenziamento assoluto di quell’Io-psyché, in modo che riconosca se stessa come fatto da applicare sia alla dimensione di sonno-sogno, sia alla dimensione di veglia, un processo verso la completezza che non cadrà più nelle analisi o nelle interpretazioni del sonno e della veglia, perché è proprio questo lo stato da superare, per entrare inequivocabilmente nel sovrasensibile.
L’Io-psyché, che ritiene che quanto vive sia il massimo percepibile, non è adeguatamente formato a se stesso: contenuto, anche questo, da risalire. Le esperienze-memorie registrate, gli istinti-emozioni, i pensieri, dovranno continuamente essere penetrati dall’Io-psyché, fino a quando non si renderà conto dei principi attivi che risiedono nella sua essenza, al di fuori dell’acquisito e che determineranno una nuova espressione di vita. Chi ne prenderà coscienza, contribuirà ad un movimento che è al di là della conoscenza così come la concepiamo.
Entriamo nel merito.
Ripetiamo un fatto fondamentale. All’interno dell’Io-psyché, esistono, operano, muovono immagini, memorie, cogniti, informazioni, storie (…) e tutti i principi attivi sovrasensibili, che li formano e di cui, spesso, l’Io-psyché stesso non è consapevole. Da ciò, si ricava inevitabilmente che l’Io-psyché che indaga se stesso può incontrare e vivere consapevolmente la parte di sé, di cui prima non era conscio. Si organizza e opera, per incontrare quella parte di sé, ed è quindi, di fatto, una delle possibilità per penetrare, vivere se stessi, a livelli di maggiore conoscenza e completezza. Un altro aspetto fondamentale è quello per cui, incontrando la propria funzionalità R.E.M., i sogni, scopre in sé un’attitudine, verso la creatività-creazione o altri aspetti e facoltà, di cui non conosceva l’esistenza. Ricordo un ricercatore, completamente bloccato e iperteso durante l’azione quotidiana (nel lavoro, nelle relazioni famigliari), che di notte (per compensazione, forse) scatenava e viveva un potere immaginifico straordinario, stupefacente, che però, di fatto, non riusciva ad utilizzare da sveglio!
Altro aspetto è che l’Io-psyché, esprimendo la propria pulsione olistico-autopoietica, il proprio aggredior su se stesso, di fatto, incontra delle parti di sé, ma inizialmente deve constatare che anche mentre indaga se stesso, tutti gli ostacolatori dell’archetipo B., presenti in lui e in cui è identificato, influenzano la sua autopenetrazione-esplorazione, a volte anche impedendone, censurandone l’approfondimento: attua ciò che è in quel momento storico, spesso riducendo, collassando ai propri significati, in cui si riconosce, quelle parti di sé che incontra. Per questo motivo, le Autopoiesi, che ci servono ad esplorare la fase R.E.M., sono potenziate a trecentosessanta gradi, ossia, più si propongono, si fanno praticare esperienze in ogni situazione di vita, più l’Io-psyché acquisisce vissuti e più può migliorare la propria penetrazione, la propria esplorazione di sé, anche durante la fase onirica. Più nell’azione quotidiana destruttura, risale e transmuta i propri ostacolatori e più si libera, per auto-indagare se stesso. È un’operazione formativa, di vissuto e di transmutazione degli ostacolatori dell’Io-psyché, in una sinergia che porterà continuamente ad ulteriori approfondimenti. A ciò contribuisce, in maniera determinante, la pratica delle Autopoiesi olosgrafiche. È possibile riconoscere, durante le Autopoiesi Io-somatiche, come l’Io-psyché del ricercatore possa deformarsi, ridursi, collassarsi, durante l’interagire del sogno: per questo, più prende consapevolezza dello stato di veglia e più, durante la pratica delle Autopoiesi del sogno lucido, può vivere i significati essenziali, veri, senza proiezioni, dei propri contenuti registrati e avvicinarsi, così, ai principi attivi autopoietici che formano tutto ciò.
Partecipando-osservando il mio comportamento e quello dei ricercatori in formazione, non ho potuto fare altro che constatare che l’Io-psyché semplicemente si presenta alla notte, alla dimensione onirica, con ciò di cui è consapevole in quel momento storico: non può fare altrimenti. Tutti gli stati coscienziali che vive durante il sogno sono quelli di cui normalmente dispone, quindi, non c’è una regola fissa, ma soltanto lo stato di autoconsapevolezza raggiunto. Faccio un esempio, preso dal vissuto. Ad un ricercatore, durante il giorno, capitava di essere bloccato nell’espressione della sessualità e dell’aggressività. Tale disfunzionalità si esprimeva, in diversi modi e forme, anche durante il sonno-sogno, ma, avendo a che fare con i contenuti della propria coscienza (e non con quelli appartenenti all’Io-psyché degli interlocutori, che spesso gli frustravano il desiderio) il ricercatore in questione poteva soddisfare sia il desiderio sessuale che quello aggressivo. Altre volte, riproiettando lo stesso vissuto di negazione, interrompeva il sonno-sogno e si svegliava o cambiava sogno. Qui, si nota una prima apparente differenza. Durante lo stato di veglia, l’Io-psyché incontra i propri interlocutori, i quali vivono il proprio livello di autoidentificazione in loro stessi, che, ovviamente, non coincide con quello dell’altro, il che costringe ad uno specifico lavoro relazionale, che può essere accettato o respinto. Di notte, invece, l’Io-psyché si ritrova in relazione con se stesso, quindi, con la stessa personale caratteristica, e non è in relazione o in contrapposizione con qualcuno (come accade con un reale interlocutore): all’interno della propria coscienza, quell’Io-psyché, mosso da se stesso, può realizzare le proprie pulsioni, i propri stati di coscienza. L’unico ostacolatore diviene il suo stesso stato di autoconsapevolezza.
L’Io-psyché può trovare forme di soddisfazione, di realizzazione, in sé. Come visto, essendo emergente da funzionalità autopoietiche, quella soddisfazione, quella realizzazione onirica può divenire l’espressione, la parte sensibile del principio attivo autopoietico. Le sequenze d’immagini, formanti il sogno, divengono, all’interno della coscienza, l’elemento conscio, sensibile, di principi attivi autopoietici, inconsci.
In quella fase della ricerca, il quadro, che mi si formò, era molto ampio. Si vedevano all’opera, simultaneamente, molti aspetti: gli stati coscienziali, la realizzazione degli stessi, la fisiologia del sistema nervoso e cerebrale (localistica) e i principi attivi autopoietici non locali. L’Io-psyché si trovava nel mezzo di molteplici funzionalità, sensibili e sovrasensibili, locali e non locali. A quel punto, non potevo non interagire consapevolmente quelle molteplici funzionalità. L’imperativo era soltanto uno: l’Io-psyché doveva rimanere sveglio e autoconsapevole al momento in cui innescava la propria funzionalità onirica. Qui, ci fu la prima sorpresa. Il vissuto mi provava che, durante lo stato di veglia, erano attivate specifiche aree del cervello e quelle del sonno-sogno relegate a zone, di cui lo stato di veglia non si rendeva conto. Di notte, si ribaltava tutto: le aree del sonno-sogno divenivano prevalenti, mentre quelle di veglia si riducevano e l’Io-psyché notturno non ne era consapevole. Dovevo far funzionare a pieno regime entrambe le aree, ed ecco che iniziò una fase interessantissima e piena di sorprese. Iniziai a sperimentare alcune Autopoiesi olosgrafiche marziali, di potenza, e forme di autosuggerimento. Ne indico una a scopo di esempio: si tratta di un’autosuggerimento semplice ed efficace che utilizzavo durante i primi anni di ricerca.
Prima di andare a dormire, praticavo un’Autopoiesi olosgrafica. Quindi, abbinavo una respirazione molto profonda: inspiravo, seguendo l’aria da dentro fino a che raggiungeva il perineo e, mentalmente, con potenza, mi autosuggerivo: Voglio rimanere sveglio e consapevole, quando arriva il sonno. Mi fermavo in apnea per tre, quattro secondi, sentendo l’autosuggerimento, poi, espirando dal perineo, fino a sentire di espandermi oltre il corpo fisico, lasciavo defluire tutti i pensieri, gli stati coscienziali che mi distraevano. Praticavo tale procedimento per ventisette volte, con il massimo dell’attenzione e della potenza a me possibili, con intensità progressivamente superiore, fino a che l’autosuggerimento s’imprimeva in me. Dopo questo, praticavo un’altra Autopoiesi olosgrafica, per far defluire eventuali ostacolatori, ed ecco che, dopo circa tre mesi di pratica, il miracolo dell’autosuggerimento ripetuto, funzionò: il sonno-sogno mi trovò presente, vigile, sveglio. In questa fase, ottenni la prima consapevolezza che, a quel tempo, mi stupì: di fatto, non esisteva un mondo onirico, separato da quello di veglia, ma era sempre e soltanto l’Io-psyché in azione, che percepiva, si apriva, si rendeva conto di una parte di sé, di cui prima non era conscio. Con quell’esperimento, per la prima volta, riuscii a non mettere in remissione il principio, da cui nasce l’autoconsapevolezza presente nell’Io-psyché. L’avvenimento fu, per me, straordinario, perché, essendo sveglio e nella posizione di visualizzazione autopoietica, potei assistere in diretta al fatto che, esattamente nel momento in cui l’area, che sottende al controllo del sonno-sogno si attivava, nell’ambiente più che tridimensionale interiore della coscienza, all’altezza del centro testa, assistevo ad uno spettacolo che fu, per me, grandioso. Si vedevano esplosioni di luce, di bios-luminescenze quasi accecanti, che assumevano diverse morfologie, e una scarica ipnagogica luminosissima, dello stesso tipo di quando vediamo le scintille che si manifestano dopo un corto circuito o i fuochi d’artificio al momento di massima intensità durante una festa, o un fascio di luce di un faro da 500 watt, guardato direttamente: sono soltanto immagini, per trasmettere un vissuto possibile.
Scopriremo come l’Io-psyché che indaga se stesso può visualizzare, immergersi ed esplorare quest’attività fisiologica autopoietica e, se l’Io-psyché s’identifica in quella luce (il ∑igma dell’attività bios-elettro-magnetica, bios-chimica, bios-nucleare, elettrodebole, morfo-genetica autopoietica), disidentificandosi dal significato-significante acquisito, inizia a sentire intuitivamente e sincronicamente di essere partecipatore della naturale attività autopoietica. È il campo coscienziale olistico-autopoietico che sta esprimendo se stesso. La luce, la bios-luminescenza visualizzabile è una delle espressioni dell’autopoiesi. Il ricercatore che entra nel sogno lucido autopoietico è un essere che ha saputo conoscersi, viversi, che ha saputo e sa disidentificarsi dal proprio acquisito e ciò coincide con una forma di sensibilizzazione alla componente onirica autopoietica.
Molto probabilmente, stavo visualizzando l’attività bios-elettrica, bios-luminescente prodotta dal mio cervello e dal mio sistema nervoso. Per scherzare, a quel tempo mi dissi: Ecco, ora mi sono autotrasformato in un elettroencefalogramma interiore! (non ero lontano dalla verità).
Perfezionando il meccanismo, scoprii una facoltà che ogni tanto utilizzo. Durante lo stato di veglia, praticando una specifica Autopoiesi olosgrafica, posso, per così dire, attivare a piacimento quell’area e mi accade questo: mentre, relazionandomi, percepisco normalmente, attraverso i sensi, me stesso e il mondo (così come fanno tutti), simultaneamente il mio Io-psyché lascia fluire le immagini oniriche ed ecco che, sul dato sensoriale normale, si sovrappongono tali sogni. Il mondo onirico, lo psichismo immaginifico, si scatena e il dato interessante è che posso vedere interiormente queste immagini, come durante la normale fase R.E.M., o facendo alcune operazioni mentali, posso proiettarle fuori. Spiego: vivo la sensazione netta, inequivocabile, di percepire le immagini oniriche sul dato sensoriale normale che sto partecipando-osservando. Il dato di realtà sensoriale si riempie così di immagini oniriche, fantasiose: è come percepire due mondi, quello sensoriale percettivo, normale e quello onirico, sognatore. Da sveglio, diventavo un visionario-sognatore, stavo vivendo quella che successivamente, perfezionata e integrata, sarebbe diventata la visione olistico-autopoietica. Ed ancora: mi accadeva che, durante il naturale dischiudersi della fase R.E.M., attraverso specifiche operazioni, potevo mantenere attive e consapevoli le attività coscienti dell’Io-psyché, normalmente utilizzate nella relazione e, applicandole al sogno, potevo interagire, decidendo che cosa sognare, esattamente come durante il giorno possiamo decidere qualunque cosa e farla. L’Io-psyché non si limitava ad incontrare il sonno-sogno, ma poteva lucidamente interagire, decidere anche secondo la logica dell’acquisito, del cosiddetto esterno. Ci troviamo di fronte a qualche cosa che merita di essere indagato, con maggiore attenzione.
Il mondo coscienziale, onirico, unito e funzionante insieme a quello di veglia, ci dà la certezza assoluta che il sogno, come attuazione compensatoria di una pulsione, è soltanto una piccolissima parte, quasi irrilevante, di un mondo pluridimensionale che, lì, si dischiude. Per chiarire, il sonno-sogno non si può neanche definire una scoria, un residuo evacuato dal funzionamento bios-chimico, bios-elettrico, automatico del corpo. Tutte le sequenze di immagini tridimensionali, e oltre, rappresentano in prima istanza ciò che sono, perché semplicemente così l’Io-psyché le forma. Da ogni singola sequenza, è possibile estrapolare il principio attivo, il significato-significante che la forma, fornendo informazioni che entrano nella disponibilità dell’Io-psyché che indaga se stesso.
Nello stato di veglia, l’Io-psyché, identificato nei propri stati di autoconsapevolezza, di cui è conscio e nella realtà socio-culturale che riconosce, in qualche modo e in qualche misura, di fatto, agisce un proprio specifico ordine: infatti, molte azioni sono riconoscibili come logiche. L’Io-psyché è identificato e muove in quei processi. Auto-esplorandosi e indagandosi nella propria componente inconscia, si disidentifica ed entrando in aree cerebrali (come quelle che sottendono alle funzioni del sonno-sogno), in qualche modo perde tale ordine, perché è come un esploratore che si muove in un’area sconosciuta: non sa quale memoria, cognito, situazione, funzionalità, spostandosi dal sensoriale, dal conscio, andrà ad incontrare. Ed ecco che, incontrando una quantità impressionante, transfinita, di memorie, di cogniti registrati, entra in un mondo di pensieri, di emozioni, di tutti i tipi, vissuti e riconosciuti, almeno inizialmente, con diverse valenze. In quell’auto-riconoscimento, prima in qualche modo ordinato, iniziano a muoversi e ad operare transfinite memorie, alcune delle quali non riconosciute come significative (esperienze vissute come di scarso valore, ripetute automaticamente allo stesso modo per anni). Si tratta delle memorie parassite, presenti in misura massiccia. Ed ecco che il ragionevole assume, in questo specifico e solo caso, la funzione e lo scopo di eliminarle, di evacuarle. L’Io-psyché vuole scaricare quell’accumulo riflesso, ed ecco che sì, in alcuni momenti, il sogno è una possibile valvola di scarico, di abreazione, ma questa, insisto, è una piccolissima parte del processo.
Nello stato onirico, non essendo più impegnato nelle operazioni relazionali sensoriali esterne, l’Io-psyché può partecipare-osservare se stesso anche nella componente autopoietica, luogo in cui opera l’insight intuitivo e sincronico, l’autopoiesi stessa. Il fatto che in quei luoghi ci troviamo nel cuore della funzionalità del sistema nervoso, del cervello, delle cellule, degli atomi che ci compongono, ci permette il riconoscimento che tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, interconnesso. Lì, lo si può intuire come potenza e, se si entra effettivamente a quel livello di funzionalità, si scopre che, come accennato precedentemente, è possibile essere molto più liberi di (…) e liberi da (…) che non quando ci si muove nell’azione esterna. Infatti, nel sensibile, la nostra percezione e il nostro riconoscimento possono arrivare al massimo fino alla linea dell’orizzonte intorno a noi. Pur sapendo che, da quel punto in poi, tutto prosegue, ci rendiamo conto che i nostri sensi ordinari non ce la fanno ad andare oltre; invece, nella consapevolezza onirica, entrando nelle interconnessioni atomiche del tutto è legato, ed essendo il principio autocosciente all’interno del corpo, dell’atomo, è possibile prendere coscienza, nell’immediato, con un atto di coscienza, di qualunque luogo e di qualunque distanza: insight di olospresenza, di stato coscienziale Sigmasofia. Qualunque cosa si pensi, qualunque stato coscienziale si produca, lì diviene coscienzialmente esistente; se decido di volare, coscienzialmente, volo: soltanto se lo decido nell’identificazione sensoriale, fisica, questo non avviene. Accade che si viva il fuoco non in base alla propria esperienza acquisita, positiva o negativa ad esso correlata, ma in base alla funzionalità autopoietica (da cui è possibile zoommare nelle esperienze acquisite ad esso correlate).
Quando ha come supporto se stesso, l’Io-psyché può avvicinarsi a vivere lo stato che ho denominato di libertà olistico-autopoietica. Se si entra effettivamente, iniziamo ad autoriconoscerci in termini autopoietici e non secondo i modelli convenzionali dell’acquisito. Molte testimonianze e la nostra ci riferiscono che il ricercatore, dopo il sonno-sogno, si sente riposato, ristorato, rigenerato (da verbalizzazione), ma ciò è una conseguenza proprio dei principi attivi autopoietici, della dimensione sovrasensibile che si raggiunge nel sonno-sogno.
L’Io-psyché, che entra nella dimensione di se stesso, denominata sogno, scopre l’autopoiesi, il linguaggio autopoietico dell’Universi-parte, rigorosamente non simbolico, comune a tutti, in ogni tempo. Ciò ci fa recuperare la vera origine del termine poesia, da poieo, fare, da poiesis, creare: per questo, l’Io-psyché, che vive consapevolmente nella propria componente onirica, è un artista-poeta autopoietico.
Ovviamente, prima di giungere all’esperienza indicata, è necessario che attraversi, viva, esplori se stesso nella rete dei pensieri, degli istinti, delle emozioni, individuali e collettive che, da sempre, ha praticato, ha vissuto.
Inglobando il sonno-sogno, il vissuto autopoietico dell’Io-psyché non è purtroppo riconosciuto, come dicevo, nell’esperienza consapevole di molti ricercatori e, per tale motivo, è stato necessario inserire la pratica della Sigmasofia onirica.
In definitiva, voglio comunicare che, a livello autopoietico, la dimensione di sonno-sogno che l’Io-psyché vive non è mai simbolica, intendendo con questo termine qualche cosa che sta al posto di qualche cosa d’altro, ossia, l’evento autopoietico naturale e il simbolo-segno. Infatti, l’autopoiesi è il linguaggio naturale e, se si vive e partecipa questo, significa che si è stati in grado di porre in remissione qualunque segno e simbolo, individuale o universale, che tenta di rappresentare tale processo: l’autopoiesi pone in remissione il simbolo-segno.
Altro elemento significativo è quello che dallo stato autopoietico è possibile vedere all’opera tutti i simboli-segni simultaneamente, esattamente come quando, nello stato di veglia, razionale, evochiamo i sogni che si sovrappongono al dato di realtà sensibile. Così, nello stato autopoietico, pre-esperienza e inerente soltanto le funzionalità autopoietiche naturali, è possibile evocare ed avere tutto il corpo delle esperienze collettive e individuali: è come divenire partecipi del corpo delle proprie esperienze acquisite e registrate, memorizzate e tradotte in immagini, parole, pensieri, idee, linguaggio.
Il simbolo-segno è composto anche dalle interpretazioni che l’Io-psyché ha vissuto di un’esperienza. Sono miliardi, le esegesi, le analisi, le partecipazioni-osservazioni possibili che, però, possono trovare una confluenza nell’autopoiesi complessiva, in conseguenza della quale è nata la necessità di produrre esperienze e di simbolizzarle. I simboli-segni, l’interpretazione di essi, in questo senso, possono essere vissuti come meccanismo di fuga dai principi attivi autopoietici, dal campo morfo-atomico-coscienziale, che tali processi ha saputo edificare e che è possibile raggiungere, vivere.
Le associazioni libere in Sigmasofia
È di fondamentale importanza non trasformare l’Io-psyché, che si occupa della propria componente acquisita, ossia dei sogni, soltanto in un processo di partecipazione-osservazione scientifica. Significherebbe ridurre e collassare esclusivamente ad un piano acquisito l’elemento autopoietico dell’esperienza, di cui anche la scienza è emanazione. Per questo motivo, la Sigmasofia è più un poetare scienza che soltanto scienza. Quando analizziamo un processo speculativo, abbiniamo associazioni su associazioni, per cui rischiamo di passare da un’interpretazione all’altra, da un’analisi all’altra, appesantendo quel processo di opinioni (anche pertinenti, corrette ed efficaci), di pensieri, di acquisito, e possiamo non percepire la scaturigine autopoietica, lasciandoci così sfuggire il significato-significante del sogno. Se il momento analitico autopoietico e le associazioni libere non vengono applicati, secondo un sintetico e breve periodo funzionale alla Concentrazione-transmutazione autopoietica, risultano essere ostacolatori che si frappongono alla reale penetrazione del sonno-sogno. È specifico compito del Maieuta e dell’Io-psyché ridurre al minimo essenziale l’accumulo, senza fine, di interpretazioni e di associazioni.
Gli ostacolatori dell’archetipo B. possono assumere una rilevante importanza, durante la fase onirica. L’ostacolatore, presente nell’Io-psyché, da cui conseguono peculiari identificazioni in specifiche posizioni, determina il fatto di bloccare, di ritardare la penetrazione vissuta di sé, anche rispetto ai significati-significanti acquisiti coscienziali di un evento, tanto che, pur di spiegare, di razionalizzare un fatto a misura della propria identificazione, si può, seguendo anche la logica, produrre qualunque tipo di pensiero. Però, malgrado ciò ho potuto verificare che l’Io-psyché, che vive una componente onirica legata al sonno, è sempre in comunicazione aperta, diretta con sé e il linguaggio del sogno non è mai, ripeto mai, un codice, da decifrare: esso mostra sempre ciò che è. Se sogniamo proprio quell’elemento e quella dinamica, semplicemente quella è, e non merita aggettivi o spostamenti. Ciò non significa che quell’esperienza, quel sogno non possano essere collegati ad altro ed evidenziare molteplicità di significati-significanti acquisiti, diversi per ognuno. Se il sogno ci dice che ci troviamo in una situazione in cui stiamo rubando, ci indica quella realtà del dato, e se, all’opposto, sappiamo che nello stato di veglia siamo onesti, significa che esiste anche quell’altro stato coscienziale. Se interpretiamo sogno e veglia, possiamo dire che potremmo percepire entrambi gli stati coscienziali. Se uno dei due stati ostacola l’altro, significa che in noi esiste anche lo stato coscienziale ostacolante, ma quando se ne manifesta uno, esso ci indica semplicemente che esiste in quel modo e in quella forma. Il sogno è quello che è: non deve essere decodificato, ma vissuto, penetrato, risalito e transmutato. Quando utilizzo il termine decodifica, mi riferisco al momento analitico autopoietico, durante il quale si orienta il ricercatore a partecipare-osservare i correlati ai significati-significanti da lui elaborati, ma sempre in funzione della Concentrazione-transmutazione autopoietica.
Pur essendo di dominio e di condizione comune, convenzionalmente accettata, molti stati coscienziali possono essere dei forti ostacolatori.
Il vissuto ci ha provato che i ricercatori che effettivamente vivono i principi attivi autopoietici sono pochi e, di fatto, si distaccano dallo schema referenziale della convenzione socio-culturale riconosciuta. Si tratta di stati di consapevolezza che, pur essendo presenti alla radice essenziale di ogni Io-psyché, di fatto sono inconsapevoli a moltissimi. È proprio in questa condizione che si scopre il nucleo costitutivo della discraiosi di gruppo, che si manifesta quando l’Io-psyché scinde completamente lo stato di autoconsapevolezza dalla propria scaturigine autopoietica innata.
I simboli-segni del sonno-sogno
La dimensione onirica è un processo dell’Io-psyché, presente e attivo per tutto il periodo di tempo che va dal concepimento al punto morte e, come vedremo, oltre.
Tutte le immagini, i sogni sono sempre parte integrante delle azioni di vita quotidiana dell’Io-psyché del sognatore, e soltanto da lui possono, in ultima partecipazione-osservazione, essere vissute e comprese.
Nel sogno, tutto è praticamente possibile, realizzabile: l’Io-psyché può partecipare sia le manifestazioni considerate insignificanti, sia quelle considerate complesse, evolute. Un primo dato è che l’Io-psyché può attingere e incontrare immagini, appartenenti sia alla sua sfera acquisita che a quella innata. Attraverso tali incontri, si prende coscienza della dimensione onirica, acquisendo un prezioso carburante, di cui si può disporre. Ogni Io-psyché ha edificato scienze, religioni, filosofie, poesie, linguaggi: non può che attingere da se stesso, dalla propria coscienza.
Il sonno-sogno è parte integrante e inscindibile della vita che partecipiamo, che viviamo.
Ci renderemo conto dell’esistenza di assi di riferimento fondamentali che il sonno-sogno necessariamente segue. Innanzitutto, dobbiamo chiederci: che cos’è un sogno?
Osserviamo e approfondiamo le risposte che hanno dato alcuni ricercatori in formazione:
- stati di coscienza, risonanti con una peculiare condizione Io-somatica, veicolanti messaggi dal passato-presente-futuro
- immagini di vita quotidiana
- fantasie associate
- possibilità di dare risposte anche intuitive a problematiche quotidiane
- strumento di soddisfazione di bisogni
- possibilità di visioni straordinarie (…).
Potrei andare avanti con l’elenco, ma posso già affermare che tutti gli aspetti trattati sono stati verificati.
Durante la formazione, ogni singolo ricercatore ha potuto tentare di decodificare in vari modi quelle immagini, ma anche di parteciparle così come si sono presentate, osservandole e applicandovi i codici della Concentrazione-transmutazione autopoietica, per vivere in diretta la fisiologia, in grado di crearli nella coscienza.
Quelle indicate sono facoltà disponibili all’Io-psyché. In seguito alla mia ricerca, posso affermare che, utilizzando lo strumento-contenuto che è il sogno, può comunicare con se stesso, con la propria coscienza, sia sul piano locale che su quello non locale.
Proviamo a creare insieme una definizione possibile del sonno-sogno.
Molti riferiscono di essere in grado di prendere coscienza delle immagini tipiche da loro prodotte, mentre creano il sogno; altri dicono di essere perfettamente consapevoli di ricordi personali acquisiti. Altri ancora incontrano simboli del passato, anche molto lontano, secondo la convenzione spazio-tempo. La verifica di altri, che spesso vivono e producono nel sonno-sogno immagini opposte e complementari a quelle che vivono nello stato di veglia, ci dà ulteriori indicazioni.
Moltissimi Io-psyché, invece, hanno riferito di sentirsi incuriositi da una domanda: Ma, che cosa significa quel sogno, così diverso dalle mie identificazioni quotidiane, ma alle stesse necessariamente correlato? È pur sempre il mio Io-psyché a sognare (da verbalizzazione).
Siamo quasi certi che il sonno-sogno sia uno degli ingredienti presenti in ogni coscienza e, nel Tutto è atomicamente e coscienzialmente legato che abbiamo vissuto, risulta veramente peculiare e curioso il fatto che ognuno, se lo fa, tende ad occuparsi prevalentemente soltanto del proprio, ma questo, come vedremo, ha degli specifici motivi.
Alcuni ricercatori, che inizialmente avevano una posizione riduzionista sul sonno-sogno, hanno segnalato di essersi sorpresi al momento della produzione di un sogno angosciante, pauroso: quell’intensità emozionale era pur sempre loro, infatti, sono stati costretti a svegliarsi dall’incubo. Altro evento è stato la testimonianza di alcuni ricercatori che tendevano a produrre sogni ricorrenti che poi hanno scoperto essere profondamente significativi e funzionali alla propria storia. Altri ancora semplicemente non ritengono utile e necessario occuparsi di quella parte di loro stessi, perché definita fantasiosa e, per questo, non reale.
Quando produce quel sogno, quelle sequenze d’immagini, il linguaggio dell’Io-psyché, come accennato, non è mai simbolico. È l’Io-psyché stesso che le rende e le vive come simboliche, quando lo fa e quando le incontra. Sia le immagini oniriche, così come sono, sia quelle investite di significati-significanti simbolici rappresentano la base, la porta per entrare nel vissuto di dimensioni coscienziali più profonde, di cui non si è consapevoli.
Vediamo ora alcune immagini, presenti nell’Io-psyché, che abbiamo potuto osservare, durante la pratica delle Autopoiesi olosgrafiche.
Per capire come si forma l’immagine, possiamo dire che l’Io-psyché ha sempre percepito la terra, il suolo su cui poggia i piedi ed ha sempre visto che, in conseguenza dell’attività della pioggia e del sole, il terreno veniva fecondato e produceva frutti, fiori. È normale che qualcuno trovasse un’analogia con il fatto che anche la donna possa essere fecondata dal seme dell’uomo e da questo possa nascere un figlio. Da questi abbinamenti, analogie, è potuto nascere il rito dell’amplesso nuziale consumato nel campo di grano: quel rito voleva essere d’auspicio a che la terra che avrebbero lavorato potesse essere fecondata, esattamente come l’uomo feconda la donna. Da qui, alcuni intesero che lavorare, zappare la terra, potesse riprodurre tale metafora e la zappa, l’aratro essere interpretati come simboli fallici. Tale investimento proiettivo, realizzato da singoli o più Io-psyché, non può assumere che l’aratro possa sempre e per definizione essere letto come simbolo fallico, come interpretazione precostituita. All’opposto, è necessario, caso per caso, conoscere quale investimento proiettivo ogni singolo Io faccia della terra, della pioggia, del sole (…), proprio perché il modo di percepire, la cultura veicolata, gli usi, le tradizioni appartengono alla storia individuale. Inizialmente, l’aratro assume il significato-significante che l’Io-psyché di chi lo vive gli fa assumere, sente quello che vive, ed è da lì che inizia il lavoro di Concentrazione-transmutazione autopoietica. Quindi, l’aratro, il sole, la terra possono assumere tanti significati-significanti acquisiti quanti sono gli Io-psyché che lo leggono in quel modo. Per questo motivo, ognuno tende, di fatto, ad arricchire queste immagini. Un esempio. Molti aspetti tecnologici, che oggi utilizziamo, non erano disponibili ai sognatori dell’antichità: l’home computer non c’era. È chiaro che l’investimento attuato su quella tecnologia ha in sé elementi differenti da quelli che poteva fare il ricercatore antico. Un aeroplano, il challenger, per essere chiari, non divengono un’aggiunta alla simbologia del fallo, ma possono assumere tanti significati-significanti, simmetrici al livello di auto-consapevolezza dell’Io-psyché che sta dando quell’interpretazione.
La storia di ogni popolo è piena di racconti, di sogni e delle loro interpretazioni. L’errore grave, in alcuni casi, è consistito nel ricavare delle leggi complessive dal fatto che avessero valenza, soltanto per la storia acquisita di chi aveva prodotto quel sogno e dato quell’interpretazione.
È noto che l’interpretazione e l’analisi rappresentino soltanto una semplice fase da attraversare, il passaggio verso un’azione che ne ponga in remissione ogni forma di analisi e d’interpretazione. Un’interpretazione pre-costituita è, per definizione, non applicabile in maniera coerente all’Io-psyché dell’indagatore, anche se può innescare, suscitare reazioni, riflessioni (ma saranno queste ad essere partecipate-osservate, non ciò che le innesca!).
È vero, un’immagine o una sequenza di immagini oniriche, per così dire, meritano di essere vissute, conosciute, per il semplice fatto di essere parte integrante dell’Io-psyché che le produce e chi è impegnato in un lavoro di formazione vissuta a se stesso non può esimersene.
Il simbolo, l’immagine o la sequenza di immagini possono essere considerati come enti, parti del vivente a cui, dopo il riconoscimento localistico dell’interpretazione analitica, con valenza soggettiva, deve seguire quella della percezione diretta, partecipata, della fisiologia formante l’immagine o la sequenza stessa di immagini-simboli. Il sonno-sogno è parte integrante della vita di ogni Io-psyché che affronta questo tema: Docente o ricercatore che sia, ogni essere umano veicola le stesse funzionalità autopoietiche, anche se il loro acquisito ha seguito storie differenti.
È da quest’atmosfera che il Maieuta affronta la dimensione onirica, sentendo a quel livello empatonico se stesso e ogni altro: il presupposto, per trattare della Sigmasofia onirica.
Per ognuno, in quest’ottica, necessariamente, ogni sonno-sogno può essere l’incontro con un messaggio, un principio attivo, una presa di consapevolezza dell’inconscio autopoietico o acquisito, collettivo e individuale.
Il sonno-sogno è sempre vero, in quanto l’Io-psyché, che lo ha prodotto, è consapevole di averlo fatto (ma anche se non lo fosse, la fase R.E.M. continuerebbe ad esserci). Se ci si organizzasse a farlo, si potrebbe vivere consapevolmente gli archetipi, le memorie acquisite e autopoietiche e, se si volesse, si potrebbe lasciarle come sono o interpretarle, razionalizzarle o risalirle e transmutarle. L’Io-psyché si apre finalmente alla parte di sé di cui non è consapevole e lì può incontrare elementi funzionali alla propria, per così dire, psicoterapia, ma soprattutto incontra tutte le funzionalità autopoietiche archetipiche, presenti localmente e non localmente, dell’Universi-parte, del tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, che siamo.
Oltre l’inconscio acquisito collettivo (Junghiano), si dischiude tale campo coscienziale olistico-autopoietico, da vivere, per estrapolarne i principi attivi, la conoscenza.
Il sonno-sogno è vita dell’Io-psyché. È costituito potenzialmente da ogni stato coscienziale Io-somato-autopoietico producibile e può assumere tutte le valenze istintivo-emozionali e pre-istintivo-emozionali, nessuna esclusa, ossia tutte le facoltà, le possibilità raggiungibili, producibili da un Io-psyché. Quelle del sonno-sogno sono potenzialmente quelle dell’Universi-parte, raggiungibili, vivibili dall’Io-psyché, quindi potenzialmente inesauribili. Per essere più precisi, appartengono alI’Io-psyché stesso. Durante la mia lunga esperienza, ho verificato sogni telepatici, precognitivi, retrocognitivi, fantastici, autopoietici.
Proviamo ora a pensare ad un’immagine, formatasi in conseguenza di un’azione stereotipata, ripetuta migliaia di volte nella storia, come il taglio del cordone ombelicale. Questa memoria, vissuta da noi, dai nostri avi, ci è stata trasmessa ereditariamente e, ovviamente, a tale momento è correlata una quantità di campo istintivo-emozionale notevole. Tale processo si manifesta come conseguenza dell’attività autopoietica della vita, quindi, al momento in cui l’Io si occupa dell’ombelico, si mette in simmetria, in risonanza con miliardi di memorie che lo riguardano, che lui stesso ha vissuto e che sono abbinate ad una quantità-qualità emozionale di ogni tipo e forma. È chiaro che, se si raggiunge tale memoria, per evocazione, nella fase R.E.M., ci si ricollega, a modo proprio, ad una storia di milioni d’anni, coinvolgente anche miliardi e miliardi di altri esseri. È ovvio che dovrà essere il ricercatore stesso a dire che cosa incontrerà e che cosa sente, vive, al momento in cui ha sognato il cordone ombelicale, e quali informazioni ne ricava, perché quello sente, fa e riferisce. Per questo, è necessario formare l’Io-psyché del ricercatore anche con Autopoiesi d’immagogia Sigmasofica onirica, per permettere la Costruzione della propria Teoria conseguente il vissuto, il proprio corpus simbolico-reale che poi dovrà affrontare e risalire con la Concentrazione-transmutazione autopoietica.
La scelta interpretativa è strettamente legata al vissuto diretto, dell’autoconsapevolezza di chi attua ciò, anche sostenuto dall’esperienza del Maieuta. Voglio comunicare che soltanto ed esclusivamente chi vive quel momento fornisce il materiale interpretativo e analitico. L’arte del Maieuta è di saper infilarsi nelle maglie di tale costellazione, senza proiezioni, traslazioni, ma semplicemente dando gli strumenti per vedere, partecipare, risalire meglio un processo che, per intero, appartiene all’Io-psyché di chi sta incontrando quella parte di sé. Nei momenti analitici sigmasofici, tale fase è fondamentale.
In prima istanza, è interessante vivere direttamente quanto indicato, ma anche ascoltare i sogni di altri. Questo perché, al momento del raggiungimento non proiettivo del vissuto che Tutto è coscienzialmente e atomicamente legato, l’esperienza singola potrà essere riconosciuta come esperienza dell’Io-psyché complessivo dell’Universi-parte: di noi stessi. I libri dei sogni, in tal senso, indicano la produzione di un pensiero, le interpretazioni dell’Io-psyché che le ha confezionate. Sono memorie, cogniti esistenti, ma sono poco funzionali alla formazione del ricercatore: al più, possono essere uno stimolo, ma è già troppo. Mai possono essere considerati come un dizionario, un oracolo da consultare.
Anche in presenza di esattezze Io-somato-autopoietiche, è necessario ridurre il tutto all’Io-psyché che le vive, che le legge, che le interpreta. A scanso di equivoci, prima c’è il vissuto diretto e poi, eventualmente, la ricerca, se lo stesso raggiungimento vissuto è stato realizzato da altri.
A ben osservare, non esistono grandi o piccoli sogni, se non per chi che così vuole interpretarli, ma incontri, produzioni dell’Io-psyché con se stesso, con memorie, costellazioni esistenti nella coscienza, soltanto da vivere.
Ogni singolo sogno o costellazione, nel tutto è legato, può far vivere l’insight di significati-significanti più ampli dell’esistere che stiamo vivendo, e perché no, può far incontrare insights intuitivi anche su ciò che denominiamo il destino personale, di un popolo, di un’epoca e dell’Universi-parte.
È necessario saper vivere la dimensione onirica, sapere spostarsi in essa. È soltanto questo che ci farà capire che non c’è distinzione fra grande e piccolo sogno, ma che tutto è correlato, legato, parte di un unico campo coscienziale. Il problema è che molti Io-psyché non hanno appreso la funzionalità del sonno lucido, non sanno spostarsi all’interno, e di solito, s’identificano in alcuni specifici contenuti, legati alla storia acquisita individuale, incapacità che non permetterà vivere altro (il cosiddetto grande sogno).
Attraverso la capacità di spostamento consapevole nel mondo onirico, ogni sogno è si manifesta autopoietico, rivelatore e, senza alcun dubbio, riguarderà la coscienza di tutti e non le identificazioni soggettive nell’acquisito.
Durante la formazione, i ricercatori talvolta testimoniano alcuni sogni con valenza precognitiva. A facoltà di accesso a stati coscienziali, che sanno trascendere lo spazio-tempo, così come convenzionalmente l’Io-psyché se lo è costruito, da sempre, viene attribuito un significato superiore. È quello, quando è vero, che stupisce, sorprende di più: in quanto acquisito, l’Io-psyché non si spiega un processo che la logica convenzionale, in cui si riconosce, nega. Ogni avvenimento che, viviamo e riconosciamo, lo è per determinazione. Spesso, accade che, incontrando in sé una memoria, di cui prima non si era consapevoli, si possa essere spinti nella direzione che quella stessa immagine ricordata rappresenta, e si devia da altre direzioni. Sono proprio queste prese di consapevolezza che determinano nuove dinamiche, nuovi vissuti. Tale partecipazione a noi stessi può essere materializzata, realizzata nel sensibile. Talvolta ci riusciamo, la viviamo, la riconosciamo e poi la attuiamo, orientandoci nella stessa direzione indicata dall’insight intuitivo e sincronico: è il valore precognitivo, o più precisamente autopoietico, di autopoiesi continua disponibile all’Io-psyché. Che cos’altro fece quel ricercatore che mi riferì di aver sognato la caduta di un aereo, per poi determinarsi in una caduta (da cui si salvò) di un aereo di piccole dimensioni, su cui era salito e che ebbe un guasto ai motori?
Le prese di consapevolezza di memorie, presenti alla radice dell’Io-psyché, hanno influenza sugli uomini e sugli avvenimenti, perché sono gli stati coscienziali raggiunti che poi le determineranno. Teniamo presente che tutto ciò è immerso in un Tutto è atomicamente e coscienzialmente legato.
L’azione non può non essere che auto-somigliante a tutte le forze sensibili e sovrasensibili, acquisite e autopoietiche, locali e non locali, da cui nasce. Ed è poi il tipo di azione che si attuerà che determinerà o meno un evento.
L’Io-psyché che incontra un sogno si rende conto di possibilità, di potenzialità che trova nella relazione o che indicano proprio il processo che stiamo sognando e incontrando e con cui siamo risonanti. È probabile che anche l’azione sensibile entri nella stessa risonanza, andandosi a vivere, a creare situazioni, contesti dello stesso tipo. Fu così che una ricercatrice, che nel sensibile praticava la religione cattolico-cristiana, ma nel sogno incontrava se stessa come prostituta, una volta, nella vita reale, sbagliò strada e si diresse verso una chiesa abbandonata, dove subì un tentativo di stupro.
Quando, essendo immerso in un Tutto è legato, l’Io-psyché incontra parti del proprio inconscio, necessariamente, si disidentifica dallo spazio-tempo convenzionale.
L’Io-psyché può incontrare, produrre quella parte di sé che chiama sogno. I sogni sono uno stato di autoconsapevolezza, sono noi stessi, e noi possiamo realizzarci in tanti modi e in tante situazioni, possiamo materializzarli e realizzarli. Ma, a ben vedere, che un incontro onirico si realizzi nel sensibile ci interessa veramente?
È così significativo?
Quando si realizza un fatto, di cui abbiamo già preso coscienza, non ci troviamo, forse, di fronte ad una ripetizione?
Ogni stato coscienziale si realizza incessantemente, durante la vita. E se ciò trova forme nel sensibile, esclamiamo: lo avevo sentito, visto! E lì, la ripetizione!
Per questo motivo, anche la componente pre-acquisito, che viviamo, prima o poi, troverà manifestazione consapevole, trasferendo forze autopoietiche nel sensibile, esattamente come, facendo esperienze, le trasferiamo sotto forma di memoria, nell’inconscio.
L’Io-psyché che incontra se stesso, le memorie, le immagini e ciò che le precede: ci parla di una linea del destino acquisita e innato, per cui, come vedremo, riconosceremo il potere all’Io-psyché che vive se stesso, nella propria facoltà acquisita e soprattutto autopoietica, non locale.
Tutti i simboli-segni, universali ed individuali, assumono tale condizione, appunto quando l’Io-psyché investe le esperienze che vive di significati-significanti di sé. Ad esempio, vivo una brutta esperienza in un’aula di scuola e il mio Io-psyché potrebbe investire quell’aula del sentimento vissuto, associandola ad uno stato di disagio, per cui l’aula diventerà il segno-simbolo del disagio, ma di per sé non è né bella né brutta. Quindi, le varie manifestazioni dell’Universi-parte che siamo diventano simbolo dell’investimento dello stato di autoconsapevolezza veicolato (non posso investire qualche cosa, di cui non sono consapevole!). Siccome riempiamo l’Io-psyché di stati coscienziali, ogni singola componente e aspetto dell’Universi-parte che siamo, possiamo asserire che tutto diviene simbolo-segno, condizionante alcune componenti dei nostri stati coscienziali.
Abbiamo sempre bisogno di osservare e di concentrarci su quanto l’Io-psyché del ricercatore, investente quella determinata situazione, avrà da dirci, perché in quella spiegazione ci sarà la prima interpretazione dell’elemento che ha fatto diventare simbolo-segno.
Esistono, però, situazioni esperienziali, in cui il simbolo-segno individuale assume valenze più universali-collettive. Faccio un esempio. Ogni Io-psyché funzionante può riferire di aver visto il sole, nell’accezione convenzionale comune, quel sole che diverrà, quindi, il simbolo-segno di un processo comune. C’è un processo comune, ma ancora possiamo individuare differenze su come ognuno lo ha visto (se la percezione si differenzia).
Tutti siamo stati una cellula che, poi, si è sdoppiata, fino a costruire il corpo fisico. Qui, le cose si ampliano ancora; infatti, molto probabilmente, la cellula diviene simbolo-segno dell’autopoiesi continua che muove in essa e, siccome questo processo non è ascrivibile all’esperienza acquisita, ecco che quel simbolo-segno è, per così dire, maggiormente universale, ma può risentire di attività, di azioni, presenti in quel luogo dell’Universi-parte: atmosfere, radiazioni, condizioni (…). Nei simboli-segni universali collettivi, ci troviamo sempre in prossimità del confine delle funzionalità autopoietiche. Più è condiviso da molti Io-psyché, più è collettivo, universale.
Non dobbiamo perdere il riferimento del fatto che siamo Universi-parte, atomicamente e coscienzialmente legato. Quindi, anche se vediamo all’opera molteplicità di Io, si tratta pur sempre di stati coscienziali possibili all’unico corpo che siamo, perciò la somma complessiva degli stati coscienziali acquisiti corrisponde all’Io-psyché dell’Universi-parte, scaturente da quello autopoietico. In questo senso, anche il simbolo-segno individuale ha un sapere universale, collettivo.
Le cose si transmutano profondamente, quando l’Io-psyché si riconosce nei principi attivi autopoietici non locali e allora non possiamo più parlare di simboli-segni, ma soltanto di funzionalità auto poietiche, di autopoiesi continua dell’Universi-parte all’opera.
Tale linguaggio autopoietico non locale è comune all’Universi-parte.
Tutti i simboli-segni possono nascere, sono emanazione di questa facoltà autopoietica complessiva, tanto da poter dire che l’Io-psyché, la funzione Ypsi complessiva è, in realtà, il simbolo-segno creato dalla funzionalità autopoietica. È necessario percorrere molta strada formativa a se stessi, prima di giungere al livello indicato, ma si può intuire (anche soltanto intellettualmente) l’attraversamento necessario, a cui la Sigmasofia onirica orienta.
I sogni sono un messaggio dell’autopoiesi, anche quando sembrano avere momenti, legati a fatti personali soggettivi. Osserviamoli a fondo. Non è l’interpretazione, l’analisi che può ricondurre il sogno al suo significato-significante effettivo, ma è la disidentificazione, l’eliminazione delle sovrastrutture dell’Io-psyché e l’ampliamento della consapevolezza delle funzionalità autopoietiche che può farlo. I sogni, di per sé, non sono mai deformati da censure o da divieti: è l’Io-psyché che, al momento in cui lo incontra, può deformarlo, censurarlo o meno.
Il sogno non soddisfa la pulsione di sopravvivenza, l’aggredior, perché il corpo fisico, in cui ci identifichiamo, realizza la soddisfazione completa, quando la pratica e la soddisfa fisicamente e non nella dimensione onirica. In sintesi, deve mangiare secondo le modalità della realtà dello stato di veglia, deve unirsi realmente, sempre secondo le modalità dello stato di veglia. La sensazione di soddisfazione, che spesso si prova durante i sogni, dipende dal fatto che l’Io-psyché incontra registrazioni, memorizzazioni abbinate ad emozioni che, quando sono state vissute, hanno appagato quella pulsione. Rincontrandole nell’inconscio, può risentirne la gratificazione, esattamente nello stesso modo in cui è stata vissuta e memorizzata. Un esempio: realizzo l’esperienza di andare al mare e di fare una lunga nuotata, e la memorizzo. Durante il sogno può accadere di incontrare questa esperienza memorizzata. Potrò rivivere gli stessi elementi coscienzialmente, ne risentirò la sensazione, le emozioni, ma quell’acqua onirica sarà diversa dall’acqua dell’esperienza vissuta nel sensibile: in questo senso, ciò non è molto significativo.
Ovviamente, è tutto l’insieme degli archetipi alfa che, fondamentalmente, si muove. Quando se ne incontra uno, il cui metabisogno autopoietico è stato fortemente e più volte represso, formando così un complesso, una costellazione densa, si può percepire l’incubo. Ricordo una ricercatrice che mi raccontò un incubo, in cui veniva impalata e messa al rogo, essendo colpevole di aver consumato un rapporto sessuale extra coniugale, non consentito dalla convenzione, vigente a quel tempo. Ricordando alcuni vestiti e particolari del luogo sognato, la ricercatrice pensò che si trattasse probabilmente del periodo medievale o appena precedente. Da ricerche fatte, ho scoperto che quel sogno corrispondeva esattamente a modalità di repressione, realmente praticate in quell’epoca. Dietro quell’atto d’impalamento, c’era la pulsione del congiungersi, fortemente colpevolizzata. Si trovano sempre i movimenti dell’aggredior, dietro al significato-significante del sogno. Il sogno è esperienza realizzata e memorizzata, raggiunta dall’Io-psyché. Normalmente, se ne manifestano alcuni che hanno un’intensità istintivo-emozionale molto alta, rispetto ad altri. Se l’esperienza registrata è stata significativa ha formato una costellazione più intensa che si manifesterà più facilmente nel sogno. Molti hanno riferito che, dopo aver vissuto emozioni, da loro ritenute molto forti, spesso, la notte seguente sognavano qualche cosa di collegato. Per questo, non è tanto importante interpretare, quanto saper muoversi con l’Io-psyché all’interno delle memorie, delle costellazioni, degli ostacolatori registrati, saper disidentificarsene e passare da una memoria all’altra. Ed anche se sono correlate a transfinite altre e a significati-significanti registrati, non sono molto significative, rispetto alla Concentrazione-transmutazione autopoietica al sovrasensibile. Infatti, a noi interessa risalire e transmutare le immagini che formano la rappresentazione onirica dell’esperienza vissuta, perché nei principi attivi autopoietici, indipendentemente dal significato-significante, il concetto si trova, per così dire, vicino ai processi funzionali archetipici autopoietici. L’analisi e l’interpretazione ci porterebbero da un significato-significante ad un altro, mantenendoci al livello del contenuto, dell’immagine, del concetto, dell’istinto-emozione, senza alcun riferimento ai principi attivi che li formano. Il sogno parla un linguaggio autopoietico universale, comune a tutte le epoche e a tutte le culture, perché oltre ad essere registrata, l’esperienza umana è soprattutto la porta d’ingresso ai principi attivi auto poietici, da cui queste immagini, questi stati nascono. Il sogno è la porta maestra che conduce all’inconscio autopoietico, al campo coscienziale olistico-autopoietico.
Se c’è l’investimento intellettuale, potrebbe non esserci il vissuto diretto. Il fatto che alcuni investimenti siano comuni a molti, come detto, non dà legittimità ad interpretazioni precostituite del sogno, del simbolo, mai e in nessuna occasione, perché il filtro appartiene sempre all’Io-psyché individuale. Per quanto concerne i processi autopoietici, il problema non sussiste, perché questi operano nel pre-acquisito e, per poter raggiungerli, è necessario utilizzare soltanto l’esperienza diretta, empatonica. Non si tratta di un investimento dell’Io-psyché, ma di autonomia fusionale, di partecipazione integrata, attiva, dell’autopoiesi continua: è l’azione olistico-autopoietica, non pensata. Per questo, attraversando le varie componenti del sonno-sogno, si può arrivare lucidamente ed autoconsapevolmente a quei processi. Soltanto nel caso del vissuto diretto della caratteristica autopoietica, si potrà comprendere più a fondo il gioco di traslazione e contro-traslazione che, di solito, si forma attraverso l’analisi e l’interpretazione. Si può, altresì, comprendere come questi, se perpetuati, diventino di fatto una difesa dall’assunzione dell’autopoiesi. In tal senso, il momento analitico, con questi significati-significanti, da momento propedeutico, funzionale alla Risalita, diviene un iper meccanismo di difesa, di fuga dal vissuto più profondo. Se risalito, conduce alla dimensione consapevole del sonno senza sogno, luogo coscienziale in cui si aprono le transfinite vastità dell’inconscio autopoietico, da vivere.
Riepilogando, posso dire che, durante il sogno, ci troviamo con gli occhi chiusi, ma partecipatori-osservatori del proprio mondo interiore: ci interessiamo a noi stessi. Durante il sonno, l’attività dell’Io-psyché, in alcune sue specifiche modalità, è diversa da quella di veglia. Ciò che pratichiamo da svegli è ciò che va a riempire lo stato di sonno, che viene denominato sogno. In realtà, il sonno, l’onirico, è l’elemento, da cui emerge la veglia e le sue attività: è parte integrante dei campi di forza, di cui ho ampiamente trattato. Come proprietà emergente dell’Universi-parte, la veglia nasce perché dev’essere applicata allo scopo di riconoscere consapevolmente lo stato di sonno-sogno e, ovviamente e soprattutto, tutto ciò che sta oltre. Infatti, il sonno, la dimensione onirica, non è autoconsapevole. L’Io-psyché è la veglia, la consapevolezza che possiamo applicare all’onirico, ma non sono due poli, due dimensioni: si tratta di componenti del funzionamento dell’Universi-parte che sta operando per riconoscersi. Per tale motivo, il sonno-sogno lucido autopoietico è uno dei processi di forte importanza nella ricerca.
Quando ci svegliamo, restiamo in contatto soltanto con lo stato di veglia e il sonno sembra scomparire. Ricordiamo molto poco di quanto è accaduto, durante il sonno-sogno: fa parte della frattura, della separazione che dobbiamo sanare. Ho ben presente che tale variazione-contrasto da queste dimensioni fa parte del progetto ed è funzionale al disegno di autoriconoscimento, a patto che si ravveda la necessità della riunione, dopo la separazione. La separazione è servita a far nascere l’autoconsapevolezza, ma ora dobbiamo applicare tale principio attivo ai mondi autopoietici di provenienza e acquisiti, inconsci. Così, si porta implicitamente il sonno-sogno nello stato di veglia (non è mai un problema, se l’operazione è effettuata consapevolmente). Si ampliano le possibilità di variazione-contrasto, di profondità, di esperienza, che potenzieranno ancora di più l’Io-psyché che, a sua volta, ri-applicato al profondo, potrà innescare consapevolmente una sinergia senza fine. È una delle danze dell’autopoiesi continua. Durante il sonno-sogno, l’Io-psyché transmuta lo stato di veglia in inconscio e, durante lo stato di veglia, l’Io-psyché transmuta l’inconscio in sonno-sogno. Eppure, svegliandoci, possiamo ricordare eventi della dimensione di sonno-sogno e, dormendo, possiamo interagirvi, portarvi modalità appartenenti all’Io-psyché. Quello che si evince è la presenza consapevole o meno dell’archetipo Io-psyché, in entrambe le dimensioni.
In realtà, tutto dipende da dove questi si posizionerà, si identificherà: lì, ci sarà consapevolezza. E se l’Io-psyché sarà posizionato in più parti, di più parti darà contezza. Per questo, l’espansione, l’autonomia fusionale autopoietica acquisiscono un valore enorme: più l’orientamento verso il campo coscienziale olistico-autopoietico è allenato, più l’autoconsapevolezza si manifesterà! In realtà, ci troviamo di fronte a diverse forme di espressione del campo coscienziale olistico-autopoietico che, appositamente allenata, potrà partecipare-osservare ed essere consapevole delle diverse parti di sé.
Di conseguenza, la realtà, le prese di consapevolezza vissute della dimensione onirica ricadranno sullo stato cosiddetto di veglia, e viceversa, per arrivare a vivere simultaneamente lo stato di veglia nel sonno-sogno e il sonno-sogno nello stato di veglia. In questo processo unico, le caratteristiche che si evidenziano sono quelle dell’autoconsapevolezza, della lucidità in ogni luogo di questa dimensione. Sto trattando dello stato di consapevolezza del campo coscienziale olistico-autopoietico che include il sogno lucido: lì, ci accorgiamo e siamo consapevoli di essere nel sogno, di poter interagirvi. Accade un primo evento fondamentale: appunto perché lucidi e autoconsapevoli, le immagini e le situazioni si percepiscono più intense, più definite, tridimensionali e più che tridimensionali, dove tutto quello che siamo (con particolare riferimento allo stato di veglia) interagisce con il nostro Io-psyché e noi possiamo direzionare, controllare, vivere, risalire, transmutare, esplorare il tema o la situazione che stiamo sognando.
Lo stato coscienziale Sigmasofia è un’espansione consapevole dell’Io-psyché fino a che si penetrano parti di sé, di cui si è di solito inconsapevoli, come la parte denominata sonno-sogno e quella denominata sonno senza sogno. Il punto è che la si può raggiungere, soltanto risalendo fino alla sorgente di sé, dell’Io-psyché.
È possibile apprendere la metodologia, atta a fare funzionare insieme lo stato di veglia e quello onirico, ad unire razionalità all’intuito autopoietico.
La sola identificazione nell’acquisito, nel sensibile, rappresenta lo stato di inconsapevolezza, di sonnambulismo continuo dell’Io-psyché.
Una delle caratteristiche dell’insegnamento è quella di non trasmetterlo, attraverso le parole (anche se, inizialmente se ne fa uso), ma attraverso la techné Sigmasofica, da vivere direttamente.
È necessario trovare un metodo, per ricordare al risveglio il sonno-sogno.
Un altro auto-suggerimento è finalizzato a svegliarci, a recuperare presenza e consapevolezza di quanto è accaduto durante il sonno-sogno.
Nel momento in cui l’autosuggerimento funziona e ci si sveglia, quella dimensione mostra maggiore intensità e definizione. Lo stato di apertura olistica prosegue al momento della veglia e l’immagine, la situazione, l’idea, in cui eravamo immersi e che stavamo vivendo, continua e noi la percepiamo come una sovrapposizione di sequenze d’immagini sulla realtà sensibile che stiamo percependo. La situazione assume un corpo, una forma plastica: si tratta della visione olistico-autopoietica. Ci troviamo consapevolmente nella concretezza del sonno-sogno e in tutte le sue potenzialità. È una condizione che va allenata, se vogliamo dare continuità allo stato di autoconsapevolezza, durante il sonno-sogno, che si realizzerà attraverso la pratica di specifiche Autopoiesi olosgrafiche, utili a non ricadere nell’inconsapevolezza. La visione olistico-autopoietica non è un’allucinazione, ma un processo naturale da comprendere, da vivere e da risalire. Potremo accorgerci che, grazie a questo processo, è possibile percepire intuiti che provengono dall’interno dell’immagine, dalle sue connessioni con i principi attivi che li innescano: fa parte di un potere di discernimento che impareremo a riconoscere.
Quando il sonno-sogno risulta essere tanto reale da produrre una sovrapposizione di dimensione e da credere di essere nella dimensione di veglia, si possono proporre dei test di verifica. In pratica, ci si suggerisce di ripetere più volte, mentalmente, Voglio volare o Voglio fare dei salti lunghissimi: se dopo un po’, ciò accade, significa che si sta nella dimensione onirica. Anche quando ci si sveglia, nell’accezione comune, la dimensione onirica può avere continuità, ed ecco che, come detto, proiettiamo fuori le immagini che si sovrappongono al dato percettivo sensoriale. In questo caso, il test consiste nell’impartire l’ordine di volare e, constatando che la parte fisica resta a terra, salta, mentre quella immaginaria, onirica, vola via, ci si accorge che si è svegli e che ciò che vediamo è visione-cronovisione olistico-autopoietica. Imparare a viverla e a farne esperienza diretta, ci è utile dal punto di vista pratico, per sapere come funzionare o che cosa far funzionare su un determinato piano. Ad esempio, se sto lavorando nel sensibile, riparando un televisore, ho bisogno di agire strumenti razionali, tecnici: sovrapposizioni di dimensioni inconsce disturberebbero quell’operazione. Invece, se sono impegnato in un volo nella dimensione sonno-sogno, l’interferenza razionale, fisica, del è un’illusione, non puoi volare, è soltanto un sogno, bloccherebbe di fatto le esperienze oniriche. Lo stato coscienziale Sigmasofia è anche questo: discernimento e, contemporaneamente, unione.
Non esiste la maya, l’illusione, ma precisi funzionamenti e stati di coscienza da vivere e respirare profondamente, fino a comprendere le leggi che sono autonome, che si compenetrano e si fondono nelle dimensioni, a cui sono collegate.
Il mondo non è un sogno, inteso nell’accezione orientale, ma una realtà olistico-autopoietica molto profonda che va dal sensibile al sovrasensibile e viceversa, seguendo precisi funzionamenti, da riconoscere e da vivere. In realtà, sta accadendo ciò che deve accadere. Le varie aree del cervello iniziano finalmente a funzionare simultaneamente: sia l’area che sottende al governo del sonno-sogno, sia quella che sottende al controllo dello stato di veglia. Inizialmente, è possibile vivere distonie, è una fase di assestamento che, se ben orientata, dura relativamente poco. Successivamente, sarà l’Io-psyché stesso a decidere liberamente se vivere la parte di veglia, quella onirica o entrambe, a seconda delle proprie necessità. Il punto è non identificarsi mai in un luogo, in una di queste dimensioni, bensì di farlo soltanto per il tempo necessario a riconoscerle, a viverle, a risalirle e a transmutarle. Tutto ciò ci porta sulla soglia che, per noi, è la realtà vissuta.
In effetti, l’Universi-parte produce una funzionalità complessiva che assume specifiche manifestazioni locali e, a seconda della regione-dimensione in cui posizioniamo la percezione, l’Io-psyché può evidenziarne più l’una o l’altra. È molto importante iniziare a ri-attuare tale possibilità tecnica.
Ogni Io-psyché ha in sé la dimensione del sonno-sogno: tutti hanno, alla radice di loro stessi, il campo coscienziale olistico-autopoietico, con specifici principi attivi.
È incredibile come, nello stato di veglia, l’essere umano si sia organizzato a non dare rilevanza o a bloccare del tutto l’affiorare di questa dimensione o, spesso, ad analizzare razionalmente i sogni che affiorano, riempiendoli dei contenuti (dialettici, razionali, sensibili), che dobbiamo superare, per arrivare a scoprire la vera struttura del sonno-sogno.
In molti casi, quando un’immagine dell’inconscio, del sonno-sogno, emerge dal luogo di residenza, arriva alla coscienza consapevole e si stabilizza: molti sono pronti a parlare, riduzionisticamente, di processo schizoide, senza tenere in considerazione i luoghi di origine, le funzioni, le possibilità di quell’immagine. Durante questa dura esplorazione, è necessario seguire precisi accorgimenti, suggerimenti, provenienti dall’esperienza, perché attingere ed esplorare continuamente l’inconscio, tentare di viverlo contemporaneamente allo stato di veglia può inizialmente creare disfunzioni, distonie (molti hanno sentito la perdita dei significati-significanti, rispetto alla realtà normalmente intesa). È appunto per questo che, nella pratica che propongo, si utilizzano Autopoiesi olosgrafiche naturali di Sigmasofia ecologica ed altre specifiche, per assorbire e controllare tutto questo. Si tratta di un attraversamento anche degli spazi normalmente interpretati come psicotici, schizofrenici, deliranti, angoscianti (…) o del benessere, dell’amore, della solidarietà, della bellezza (…), per arrivare a maggiori profondità di noi stessi, del cosmo. Tali insights di stato coscienziale Sigmasofia possono così concretizzarsi: durante il sonno-sogno, la fisiologia che sottende alle funzioni dello stato di veglia è totalmente attiva e integrata con quella olistico-autopoietica che sottende allo stato di sonno-sogno: un funzionamento complessivo, alla base delle altre sue connessioni con le potenze intuitive e archetipiche autopoietiche.
Di solito, i ricercatori testimoniano di avere spesso paura di quanto possono trovare nell’inconscio, perché tutti gli elementi distonici, scaturenti da queste scissioni, restano registrati, memorizzati, situazione che fa pensare che la componente inconscia sia piena soltanto di morte, di follie, di pericoli. In realtà, tra gli ostacolatori dell’archetipo b., troviamo sempre l’accumulo di esperienze, memorie che non hanno penetrato il campo coscienziale olistico-autopoietico e aumentano in quantità impressionante, così che l’inconscio viene riempito di acquisito personale e collettivo e pochissimo di esperienze olistico-autopoietiche.
È chiaro che, esplorando se stesso, l’Io-psyché incontrerà inizialmente costellazioni di ostacolatori con valenze istintivo-emozionali: alcuni processi sono talmente intensi da determinare identificazioni discrasiche compensatorie in forme dell’acquisito quotidiano, ma anche identificazioni nella costellazione inconscia vissuta. Sono stati che è necessario far evolvere e penetrare, se si vuole raggiungere ciò che può porli in remissione: i principi attivi olistico-autopoietici, da cui, sia la componente acquisita collettiva e individuale che quella conscia quotidiana, nascono. È chiaro che il tema investito, su cui proiettiamo, trasliamo tali contenuti può assumere esattamente la forma che noi gli facciamo assumere: l’elemento esterno è così, perché così lo costruiamo.
Per agire, l’Io-psyché non può far altro che fruire delle proprie facoltà e dei propri contenuti: sono quelli gli elementi da vivere e da penetrare, per capire che cosa usa, quando funziona, quando trasla all’esterno, sull’altro, processi validi soltanto per il vissuto personale e che, quindi, non permettono il riconoscimento del dato esterno. Un esempio: per tutta l’infanzia e l’adolescenza, un ricercatore era stato picchiato dal padre insegnante, perché, a suo avviso, non studiava e non rendeva come avrebbe dovuto. Le percosse si ripeterono a lungo. Da adulto, alla presenza di persone che dicevano di essere insegnanti, ricordava e sentiva quella sensazione distonica di disdegno e di dolore. Questa traslazione andava a coprire il fatto che molti degli insegnanti incontrati non picchiavano: era lui che li vestiva e li determinava, in quel modo. Noi siamo continuamente immersi in questo gioco proiettivo, pressoché sempre:
che cos’altro possiamo agire, se non ciò di cui disponiamo?
Sono questi ostacolatori, di cui alcuni potentissimi, che trasliamo sull’altro, su gruppi, su popoli. Tutte le relazioni hanno valenze proiettive: sono il ponte con il mondo, con se stessi. Ovviamente, si traslano anche aspetti produttivi, cosiddetti positivi, se incontriamo ed utilizziamo quelli. La traslazione, positiva o negativa, scaturisce dall’inconscio acquisito dell’Universi-parte ed è ciò che regola gran parte della vita, dell’acquisito: la storia, l’esperienza è il padre-madre della traslazione. A questo, è necessario aggiungere il fatto che spesso manca la consapevolezza dei principi attivi autopoietici che, al di fuori dell’acquisito, delle esperienze, di qualunque natura, hanno saputo edificare l’Universi-parte, l’essere umano pronto a funzionare. Tali potenze devono essere traslate consapevolmente nell’azione, nell’esperienza, allo scopo di irrorarla dello stesso contenuto autopoietico, il che creerebbe rivoluzioni nelle forme esistenziali, cosiddette acquisite. Per questo, i sogni (che sono esperienze registrate nell’inconscio) vanno attraversati e transmutati dopo essere stati vissuti, per trovarne gli elementi olistico-autopoietici che potranno rivoluzionare, rigenerare l’inconscio e l’Io-psyché.
Alcune costellazioni dell’inconscio acquisito collettivo sono state così tanto vissute da aver creato dei miti. Ad esempio, hanno assunto forme mitiche le partecipazioni-osservazioni, le percezioni che ogni giorno da milioni di anni si verificano, come l’alba e il tramonto. Il corso del sole è stato visto, rappresentato, traslato miliardi di volte: sono percezioni registrate, di enorme intensità. Sono partecipazioni-osservazioni, realizzate dall’essere umano, dall’Io-psyché, e le si trova in relazione: inizio del lavoro all’alba, fine del lavoro al tramonto, un processo che nasce, si evolve, muore e scompare e poi rinasce ogni mattina, da cui il
mito dell’eterno ritorno.
L’Io-psyché celebra, rappresenta la propria unione e capacità di riconoscimento della natura, di cui è parte integrante, ma molti di questi processi sono stati e sono ancora per lui impenetrati, incomprensibili, così come l’inconscio olistico-autopoietico, da cui egli stesso proviene, di cui è emanazione e da cui nascono tutte le mitologie misteriche, e così via. Sono immagini, scaturenti dal vissuto, di secoli e secoli, che l’Io-psyché può incontrare nella propria componente inconscia, che può quindi essere di tipo personale, e soprattutto di tipo collettivo. Tuttavia, provenendo tutto da forze olistico-autopoietiche, è possibile avere insights anche da quel livello che, a differenza di quello acquisito, non è memorizzato, ma vivo, in azione: l’Universi-parte, noi stessi, siamo vivi, accesi, in funzione, quindi, l’autopoiesi che ci forma lo è allo stesso modo. Come detto, percepire, vivere tali principi attivi autopoietici non ci fa tanto incontrare le memorie registrate, quanto quelli capaci di creare la funzionalità che ci consente di memorizzare un’immagine, un evento vissuto.
Non mi meraviglia affatto che molti ricercatori (me compreso) abbiano riferito di aver incontrato esseri a forma di sole, alberi enormi, cosmogonie, sciamani, sacerdoti (…). Ci sono esperienze che sono patrimonio dell’Io-psyché, dell’umanità e, sia pure con significati-significanti differenti, le troviamo nella coscienza di chiunque. È necessario dire che queste possono essere state identificate, perché dei meccanismi autopoietici hanno saputo creare l’Universi-parte, le specie, l’essere umano, la conoscenza. È quest’inconscio autopoietico il luogo di destinazione per il ricercatore, dopo aver allenato gli archetipi acquisiti, anche primigeni. Nell’inconscio acquisito collettivo, tali costellazioni possono essere lette come testimonianza dell’esperienza acquisita dell’Universi-parte, noi stessi. Quelli olistico-autopoietici sono soltanto da vivere come campo coscienziale in azione. Per questo, dietro ai sogni di un ricercatore legati al ripetersi delle stagioni, abbiamo potuto osservare i principi attivi che edificano i processi stagionali.
Non bisogna considerare gli archetipi autopoietici come contenuti acquisiti dell’Io-psyché a disposizione, bensì come campo di forza autopoietico olosgrafico in atto: rappresenta l’humus, la funzionalità, da cui si è forgiata la vita acquisita di ognuno.
Altro classico è la relazione madre-padre-figlio: ha valenze acquisite collettive e individuali, ma soprattutto auto poietiche. Anche se questo è il livello meno penetrato e discusso è di gran lunga, il più importante, poiché senza esso, tutti i miti e le storie individuali abbinate, semplicemente, non sarebbero nate. In questo senso, l’esistenza non è mai legata all’acquisito individuale, ma è parte integrante del collettivo e dell’olistico-autopoietico, da cui si esprime. Se non si tiene conto di questa funzionalità complessiva, ogni azione di vita, ogni lavoro sull’onirico risulterà incompleto e parziale.
Nella formazione a se stessi, l’Io-psyché può incontrare le parti descritte. Inizialmente, è come se si trovasse di fronte ad una barriera: tutte le esperienze acquisite, registrate ossia la sua storia, che deve essere vissuta e attraversata. Un ostacolatore che si dischiude in tanti piccoli ostacolatori: la somma delle esperienze.
L’ostacolatore è uno degli elementi maggiormente affrontati, durante la formazione. È come se si trattasse di tanti piccoli guardiani, la cui somma forma quello più vasto: l’archetipo b., posto soprattutto lì, davanti alle funzionalità olistico-autopoietiche a cui siamo destinati.
L’archetipo b. è fuso con l’archetipo c.a., e soltanto adeguati vissuti potranno permettere all’Io-psyché di viverlo, di attraversarlo e di transmutarlo. Di fatto, nasconde l’autopoiesi da cui anch’esso nasce: se l’Io-psyché si identifica in esso, nei suoi vestiti, non potrà conoscere, vivere modalità, tendenti al completo.
L’archetipo b. è l’Io-psyché stesso che assume quella forma e, con le sue facoltà, può incontrare tutti quegli elementi di cui, paradossalmente, è anche parte, pur avendo capacità di autotrascendimento, potendo spostarsi da una memoria all’altra: anche se non accetta una parte di sé, ne fa, di fatto, parte. Quando rigetta, per ragioni morali, estetiche, semplicemente si scinde (apparentemente) da una parte di sé. La sua identificazione in un tema, in un contenuto è, di fatto, una propria concentrazione su quel punto, che può porre in remissione, riconoscendosi come campo e non come proprietà emergente, secreta dall’attività del sistema nervoso e del cervello.
La barriera, gli ostacolatori, qualunque forma assumano, siamo noi, e per questo è da reintegrare, per poi essere risalita e trascesa.
Senza le facoltà, la funzione Ypsi, i principi attivi maturati, non potremmo produrre quella quantità di consapevolezza, necessaria ad autoriconoscerci dal livello localistico e riscoprire così, consapevolmente, la non località da cui è composta.
L’integrazione della barriera e la nascita della funzione Ypsi è il processo d’importanza fondamentale. Nel tutto è legato che siamo, entrare in conflitto con la barriera, con le identificazioni di chiunque altro, non è mai saggio, in quanto in quel momento non si riconosce una parte di sé, bloccando così il processo penetrativo e formativo della funzione Ypsi.
L’incontro dell’archetipo b. nei sogni ci mette di fronte a noi stessi, all’umanità.
Ora, procediamo all’elaborazione di alcuni simboli-segni, talvolta ostacolanti, che spesso sono stati raggiunti durante il sogno del ricercatore ed elaborati durante le sedute. A titolo di esempio, ne evidenzierò tre:
- la casa
- i colori
- i numeri.
La casa
Dopo aver percepito, l’Io-psyché trasforma tutto in immagini e sono proprio queste che vediamo, mentre sogniamo o mentre visualizziamo. In realtà, non viene memorizzata la figura di un albero, ma troviamo in noi l’albero stesso come campo di forza bios-chimico, bios-elettrico. È pura fisiologia.
Quando agiamo ad occhi aperti, la radiazione percettiva finisce sull’oggetto percepito che, facendo parte del tutto, emette anch’esso il proprio campo di forza. Non è nemmeno esatto usare il termine emissione, in quanto si tratta di presa di consapevolezza, attraverso la percezione e i sensi, di tale campo indivisibile che lega percipiente e ciò che viene percepito, e viceversa. All’apertura degli occhi, tale campo viene individuato e la morfologia viene registrata; ad occhi chiusi, tale modulazione, facente parte dell’Io-psyché, può essere attivata e il campo di forza assume la forma dell’immagine tridimensionale che visualizziamo. In realtà, una visualizzazione ci parla di un modo di aggregarsi e di disaggregarsi del campo c.a e coscienziale. Quindi, per rappresentare le proprie funzionalità Io-somato-autopoietiche sul piano acquisito, l’Io-psyché utilizza delle immagini percepibili sia dentro che fuori. Per rappresentarsi, può utilizzare molte di queste immagini, come quella della casa.
Vediamo come.
Secondo i riferimenti che abbiamo, possiamo dire che il nostro corpo ha una parte visibile, il volto, la pelle, che compongono la facciata, ma ha anche una parte interna, in cui muovono gli stati coscienziali, gli organi. Vivendo ciò, l’Io-psyché non ha potuto non traslare tale condizione, inventando la casa. Come nell’essere umano, nella casa c’è la facciata, ciò che si mostra all’esterno, il vestito che assume fuori. Essa può avere dei piani, ma anche il campo coscienziale olistico-autopoietico può averne, ponendo dalla testa ai piedi i diversi stati di profondità dell’Io-psyché. L’analogia non è stata difficile. Anche l’essere umano può mostrare alcuni elementi e averne altri non visibili: così, per analogia e traslazione, i piani dell’edificio possono rappresentare le parti del corpo e i diversi stati coscienziali. Secondo questa proiezione, il tetto rappresenta la testa, il piano superiore, cioè l’elemento cosciente, mentre la cantina potrebbe essere l’inconscio acquisito, individuale e collettivo, il terreno da cui si dischiude quello olistico-autopoietico, innato.
Nella vita, abbiamo molti momenti in cui trasformiamo e transmutiamo gli stati coscienziali: taluni possono traslarli nella cucina, luogo dove si preparano, si lavorano i cibi, da cui estrarre i principi attivi, necessari a vivere. Talvolta, la cucina compare nei sogni di alcuni ricercatori. Altri identificano la camera da letto come il luogo in cui vivere e praticare la propria sessualità-affettività, dove riposare, badare a se stessi, per cui, per molti, è sinonimo di intimità.
Un altro luogo significativo è il bagno. Lì, si evacuano, si eliminano i rifiuti, i residui, ciò da cui è stato estratto il principio attivo e, per questo motivo, da taluni interpretato come di poco valore. È frequente che, durante il momento analitico, i ricercatori verbalizzino questo. In un caso è stato testimoniato come l’evacuare fosse vissuto come momento di liberazione da un peso, di disinibizione, di apertura. La sensazione di sollievo è la conseguenza della liberazione-evacuazione (da verbalizzazione).
Altri ricercatori hanno riferito di aver sognato porte, finestre della casa: auto-osservandosi, si può scoprire che i nostri occhi, i sensi sono l’apertura, le porte sul mondo, analogia che taluni hanno colto.
È interessante partecipare-osservare che alcuni abbinano la fatica di penetrare le parti profonde di loro stessi a quella che si prova a salire le scale che, simultaneamente, possono anche rappresentare l’elevazione della conoscenza.
Il muoversi da uno stato coscienziale all’altro può essere simbolizzato, nel sogno, con lo spostarsi da un ambiente ad un altro della casa. Allo stesso modo, una ragazza trovò l’abbinamento tra i seni e i balconi, tra la porta e la vagina.
Non mi stancherò mai di ripetere che, durante il momento analitico autopoietico, è il ricercatore che rivela l’investimento simbolico-reale e questo non ha mai un significato-significante precostituito, anche se è pur sempre possibile fare delle analogie.
I colori
Attraverso la facoltà sensoriale, l’Io-psyché percepisce la frequenza dei colori. I primi quelli fondamentali che si percepiscono sono i colori della natura: il blu-celeste del cielo che può diventare grigio, nero, il verde dei prati o il marrone della terra. Scrutando il cielo, molti stati di coscienza possono essere traslati. L’intuizione di transfinito, di mistero del cosmo, di sospensione sono sempre interpretazioni che ho sentito, durante le verbalizzazioni. Quando le possibilità di riconoscere, di vivere le transfinite profondità del cielo corrispondono alle reali capacità percettive e di esplorazione, significa che si è aperta la facoltà in grado di spingere l’Io-psyché a sognare regioni ignote dell’Universi. Se, quando è notte e il cielo diviene buio, nero, non ci fossero quei punti di luce che sono le stelle, il cielo perderebbe il senso della transfinitezza. Quando l’Io-psyché non riesce a vedere chiaramente in sé, è spesso il buio traslato nel sogno. Ed è proprio la voglia di luce, d’insight intuitivo e sincronico, o il vissuto diretto di questi, che determina il sogno di cieli notturni, stellati, luminescenti. Quando l’Io-psyché s’impedisce di vedere qualche cosa, se la nega alla consapevolezza, alle profondità olistico-autopoietiche, può traslare nuvole che possono raggiungere forme e consistenza notevoli.
La percezione del colore rosso del tramonto, del colore giallo dell’alba, fanno parte di un patrimonio transfinito di percezioni vissute che possono essere abbinate al sole e alle sue evoluzioni. Rosso è anche il range, a cui appartiene lo stato di aumento della pressione sanguigna e che può essere associato alla passione, come il rosso-arancione si collega al fuoco che, ardendo, consuma la legna, l’Io-psyché, noi stessi: è una delle associazioni, ascoltate durante gli stages. Bianca e candida è la neve: pura, ma fredda.
Per tutti i colori, ritroviamo le caratteristiche e le funzionalità dell’Io-psyché: per questo, la percezione di quella determinata frequenza di colore ci parla di ciò che ci permette d’irradiarla e di percepirla. Ciò può spiegare la traslazione che fece un ricercatore rispetto ad un sogno che riguardava il suo attraversamento dei colori dell’iride, che gli permetteva di riuscire a vedere un colore mai incontrato e non esprimibile attraverso le parole.
I numeri
L’Io-psyché percepisce se stesso come unità semovente nello spazio-tempo, ma sa che viene dal due, dai genitori. Tale evidenza percettiva può trasferirsi, in sogno, nell’immagine di esseri androgini rappresentabili anche da uno stemma-logo ad Y (da verbalizzazione): i principi opposti-complementari, che si uniscono, danno vita ad una nuova unità.
La conoscenza della cellula dice all’Io-psyché che l’uno è l’integrazione dei due, l’uomo, la donna e il figlio: è il tre che diviene uno e l’uno che diviene tre. Tale auto-somiglianza fu trasferita in un sogno da un ricercatore che sognò se stesso che si triplicava e si ricomponeva continuamente!
In riferimento ai numeri, troviamo molto materiale nell’inconscio acquisito, collettivo e individuale.
Una simbolizzazione comune dell’uno, da parte dell’Io-psyché, è l’inizio di una qualunque situazione, ma è anche oggetto d’investimento dell’unità, dell’Universi-parte, del Tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, che forma l’unità ecosistemica cosmica.
Riguardo al due, spesso, gli Io-psyché riferiscono essere la scissione dell’uno, lo stato di dualità del tutto è legato e, per riconoscerlo, è necessario abbinarvi altri significati-significanti: se così non fosse, perché scindersi da quell’unità? È la nascita di altre tesi, di altre interpretazioni diverse, la variazione-contrasto di forme dicotomiche, di dualità, di ambi e plurivalenze. Molti ricercatori scindono, vivono il due. Due è lo spermatozoo e l’ovulo, che originariamente erano uno, per cui reintegrare la parte scissa con quella unitaria significa la ricomposizione dell’unità, del principio attivo olistico-autopoietico, la creazione del figlio dall’unione del maschile e del femminile. Il figlio è il terzo, ma è anche la condizione dell’uno, dell’unità originaria. Per questo, alcuni investimenti hanno riferito che tre è uno e uno è tre. Il figlio veicola il due e l’uno. L’uno, il due e il tre producono stati coscienziali, che possono generare, rigenerare, creare e scindere.
La riunione, consapevole della scissione con l’unione, è la percezione di ciò che è riunito, è il triangolo, la Y.
La condizione chiusa è il triangolo o, aperta, la Y, che è possibile reintegrare, vivere. Lo sguardo interiore nel triangolo, nella Y, è autoconsapevolezza, coscienza della cellula: è avvicinarsi alla coscienza dell’uno.
In quest’ottica, ai ricercatori è sorto spontaneo abbinare al quattro la natura, loro, il triangolo-Y-, il due, la scissione e l’unità, l’inizio, integrato all’ambiente, da cui alcuni accostamenti con gli ingredienti naturali:
Ed ancora.
Il due è l’unione dello spermatozoo con l’ovulo, ma è anche la scissione dell’uno provocata dal figlio, che è il terzo e che rappresenta di nuovo la riunificazione del due, ovvero l’inizio di qualunque situazione. Quindi, unendo il due con il tre, si ottiene la riunione della scissione. È la nascita dell’equilibrio, del riconoscimento delle funzionalità della scissione e della reintegrazione con la scaturigine olistico-autopoietica. Ma, è anche l’uno e le diverse possibilità che si uniscono al quattro, alla natura, la materia unita all’Io-psyché, un campo unico.
Alcune forme che costituiscono i principi attivi, da cui nasce l’equilibrio, sono legate al cinque.
Ecco che, aggiungendo l’uno ad altre possibilità, all’equilibrio, il cinque, si ottiene il sei, la facoltà di poter esprimere l’equilibrio in tutte le dimensioni. Ma, il sei è anche il 3+3, che è il figlio e la consapevolezza dell’uno, che raddoppia: può significare l’espansione delle funzioni del tre o di un nuovo equilibrio tra figli. Nel caso d’inversione, d’impenetrazione vissuta delle forme del tre,
si può rappresentare la relazione a somma zero o due triangoli opposti e l’integrazione di opposti:
Da qui, unendo il quattro con il tre,
è possibile congiungere la natura alla consapevolezza del figlio. È una possibilità di derivazione dell’uno, del sei, dello scisso e del reintegrato e rappresenta, in generale, stati di coscienza molto evoluti.
1+7, 2+6, 3+5, 4+4: sono, rispettivamente, tutte le possibilità, l’opera che si reintegra con la riunione della scissione, lo spermatozoo + l’ovulo o la scissione dell’uno che si riunisce all’integrazione di opposti, al figlio, il 3, che è consapevole dell’uno che si unisce all’equilibrio, o all’ambiente, il 4 che si espande nello stesso tessuto, ossia tutte le funzioni che hanno forma di giustizia e di equità armonica.
Sono condizioni, facoltà che consentono all’Io-psyché di esplorare il soma.
L’otto parte convenzionalmente dal basso e si dirige verso l’alto, legato allo psichico, all’autopoietico e, curvando ed integrandosi, torna al basso in una dialettica continua: 8
Il sensibile che si unisce al sovrasensibile: per questo, è anche l’infinito, ∞, l’esistenza continua, il continuo presente. Aggiungendo uno, 8+1, il 9, si ha la nuova nascita che integra ed esprime l’assunzione della consapevolezza di tutte le possibilità dell’otto.
Partendo dalla materia, come morfologia, si raggiunge l’autopoiesi in alto, che si stabilizza in 1+8: tutte le possibilità alla consapevolezza del conscio e dell’inconscio, del locale e del non locale continui (tutti i significati-significanti descritti sono estrapolati da verbalizzazioni di ricercatori. Stiamo raccogliendo in una monografia tutti gli innumerevoli investimenti che l’Io-psyché dei ricercatori in formazione hanno realizzato, applicando il momento analitico autopoietico ai loro sogni. Tale monografia può essere richiesta dal ricercatore in Sigmasofia, interessato ad approfondire analiticamente gli investimenti simbolici).
Le porte olistico-autopoietiche
La dimensione onirica è costituita da diverse fasi o movimenti ciclici, riconoscibili con l’elettroencefalogramma: una, universalmente riconosciuta con l’acronimo R.E.M., l’altra denominata N.R.E.M. (la fase di sonno) e un’altra ancora, riconosciuta con la denominazione di Autopoiesi olosgrafica non locale.
L’inconscio fa emergere le immagini oniriche a raffica. Questa radiazione, proveniente dalle strutture profonde del campo coscienziale olistico-autopoietico, determina il movimento rapido degli occhi e, da lì, la denominazione R.E.M.
Se una persona si sveglia durante il movimento rapido degli occhi e non si muove, ricorderà che cosa stava sognando, in quel momento. Infatti, la fase R.E.M. coincide con quella del sogno: anche il respiro e il battito cardiaco sono irregolari e si regolarizzano al termine di tale fase. In quel momento, l’Io-psyché apre un varco, un collegamento con la parte più profonda, con strati dell’inconscio personale e di quello collettivo: lo scopo è quello di attingere dal campo coscienziale olistico-autopoietico, che ha il potere di autorigenerare il corpo.
Per farlo, utilizza la fisiologia che governa il sonno-sogno, il che evidenzia che il contenuto in immagini è in strettissimo rapporto con la fisiologia che lo forma.
Il sonno-sogno N.R.E.M. si caratterizza per le diverse intensità e profondità del sonno (sonno delta), con diverso rilassamento del tono muscolare e il movimento molto lento delle pupille. Abbiamo fatto degli esperimenti, per cui risulta che, se il ricercatore si sveglia, durante la fase N.R.E.M., ricorda i sogni molto meno che se ciò avvenisse durante la fase R.E.M., o non li ricorda affatto!
Al di là di quanto solitamente si ritiene, tutte le fasi sono sempre in atto e non si alternano: è lo stato di autoconsapevolezza dell’Io-psyché che varia, ossia che se ne rende conto o meno: dipende da dove si posiziona.
Durante la fase R.E.M., dalla struttura del DNA e dell’atomo, emergono specifiche radiazioni che hanno la funzione di rendere attiva e di creare in immagini, situazioni, le esperienze acquisite sonno-sogno. È certo che precise radiazioni entrano in gioco e determinano le variazioni Io-somatiche descritte.
Il corpo ha profondamente bisogno di queste radiazioni R.E.M., in quanto legate a processi olistico-autopoietici che dobbiamo essere in grado di penetrare consapevolmente. Nel caso d’inibizione del flusso R.E.M. (svegliando il soggetto), un principio omeostatico farà sì che nella fase successiva il meccanismo aumenti.
Il sonno-sogno non ha un fine, è soltanto una dimensione dell’essere, una porta che, se attraversata, conduce all’essenza.
La fase R.E.M. contribuisce alla corretta maturazione del sistema nervoso. È interessante che, immediatamente dopo la nascita, il neonato viva la fase R.E.M., per lunghi periodi con continuità, dieci, dodici ore al giorno: la memoria, gli stati coscienziali, anche ereditati, si attivano e trovano una conformazione perfetta con la crescita neurologica del cervello.
Sintetizziamo.
Durante la fase R.E.M., utilizzando specifiche aree del cervello, l’Io-psyché incontra e produce immagini, esperienze, di cui è inconsapevole. Tali stati coscienziali, onirici, si attivano e si manifestano attraverso i circuiti senso-motori che tengono in interazione funzionale il tronco cerebrale e la neocorteccia. L’Io-psyché li produce, esattamente nello stesso modo con cui agisce durante lo stato di veglia e, in conseguenza della sua attività, la neocorteccia elabora il segnale, attraverso l’attivazione dei neuroni corticali. Infatti, durante le percezioni, le esperienze sono vissute come durante il normale stato di veglia (tranne che per le peculiarità, già in parte descritte). Accadrà che si raggiungeranno maggiori profondità e si formeranno maggiori maturazioni nel sistema nervoso, anche mediante la nascita del nuovo organo (nuova corteccia cerebrale).
Quando si raggiunge lo stato di sonno-sogno, alcuni funzionamenti Io-somato-autopoietici cambiano: infatti, ci si rilassa, si entra in una fase del campo istintivo-emozionale che gli scienziati individuano come onde alfa, e che io identifico come rilassamento e iniziale remissione dell’Io-psyché dall’identificazione in particolari contenuti. Se si procede con il rilassamento profondo che le Autopoiesi olosgrafiche determinano, l’onda alfa si modifica e si entra nell’onda theta (secondo la denominazione degli scienziati): si tratta di un livello di lucido abbandono, di Concentrazione-transmutazione autopoietica maggiormente intensa. L’Io-psyché può posizionarsi e sostare su questo livello di consapevolezza di sé, della propria funzionalità e dimensionalità.
Durante la fase di sonno-sogno, quando l’Io-psyché e il corpo sono immersi negli archetipi alfa, possiamo senz’altro dire che, operando nell’acquisito, nel sistema nervoso, nella località, s’identificano e operano nella fase R.E.M., sono immersi nel tessuto, nel campo istintivo-emozionale, che è il luogo in cui i significati-significanti, gli ostacolatori dell’archetipo b. operano. È la fase ipnagogica acquisita. Durante la fase d’ipnagogia R.E.M., l’Io-psyché incontra una quantità elevata di immagini e di esperienze in sé registrate. Nel tessuto onirico complessivo, troviamo il corpo delle esperienze registrate, ereditate e potenzialmente quelle di chiunque altro, in quanto tutto è atomicamente e coscienzialmente collegato e la percezione, la tridimensionalità, la transfinitezza, dipendono proprio da questa caratteristica autopoietica. Quindi, è veramente possibile incontrare qualunque tipo di visualizzazione, di sogno e, da qui, si dischiude la fase più importante.
Un classico della visualizzazione, del rilassamento profondo raggiunto con le Autopoiesi olosgrafiche, durante la fase theta, è quello dell’innesco di improvvise esplosioni di bios-luminescenze o di visualizzazioni di immagini, ciò che gli scienziati denominano fusi e che corrispondono alla possibilità di visualizzazione di peculiari forme dei principi attivi autopoietici. Queste, improvvise, sono sempre abbinate ad altre esplosioni, e producono sensazioni e percezioni di diverse intensità. Per la scienza, i complessi K indicano che la fase del sonno N.R.E.M. è in atto, in essere. Quando si procede con il rilassamento, con la pratica delle Autopoiesi olosgrafiche, questo stato inizia a modificarsi, si è ancora più abbandonati, è come se ci si lasciasse cadere dentro, e si rientrasse nell’onda delta, ossia, nelle transfinite profondità tridimensionali (altezza, larghezza, profondità) della propria interiorità. Si può avere la sensazione di visualizzare enormi spazi che si susseguono, in tutte le direzioni, pieni di piccole bios-luminescenze e striature, ma che, alla percezione interiore, sembrano essere sostanzialmente vuoti. Ci si trova nel tessuto del campo degli archetipi alfa, parte del campo coscienziale olistico-autopoietico, di principi attivi, necessari a tenere acceso il corpo. A tale stadio di Concentrazione-transmutazione autopoietica, il ricercatore sa di stare per entrare in morfologie coscienziali più profonde. Si trova consapevolmente nella fase di sogno o di sonno R.E.M., in cui è possibile incontrare lo stato coscienziale che denomino Autopoiesi olosgrafica non locale e che l’Io-psyché del soggetto addormentato realizza ogni notte. Si manifesta così: la pressione del sangue e il battito cardiaco aumentano o diminuiscono, a seconda delle caratteristiche emozionali che si stanno incontrando, le onde cerebrali non sono quelle lente (theta, alfa e delta), ma pressoché simili a quelle della veglia. È la creazione-incontro dell’Io-psyché con le esperienze, con le memorie registrate (il sogno). I movimenti degli occhi sono velocissimi, perché stimolano una specifica zona, corrispondente ad un’immagine o ad una sequenza d’immagini. È esattamente ciò che accade: il ricercatore, l’Io-psyché, incontra in sé lo srotolarsi delle immagini tridimensionali, si trova più che in un film (bidimensionale) e quelle memorie si comportano anche come hanno già fatto durante la veglia, quando sono state registrate: parlano, comunicano, utilizzano tutti i linguaggi possibili. È curioso constatare come il corpo fisico, in quel momento, tenda e si orienti verso lo stato di catalessi, fino a che il soggetto lo sente pesantissimo (se è consapevole del processo che sta vivendo), fino a raggiungere l’immobilità, in cui possono subentrare contrazioni muscolari e scosse. L’attività dell’Io-psyché è prevalentemente centrata su se stessa (e meno sul soma), elemento di enorme importanza, perché è uno stadio da raggiungere, durante le Autopoiesi olosgrafiche, in quanto preparatorio all’ingresso nello stato che denomino
ipnagogico autopoietico non locale o onda ∑igma.
Si tratta della condizione di catalessi autopoietica, che serve all’Io-psyché per esplorare i mondi del campo coscienziale olistico-autopoietico, degli archetipi, da cui nasce.
Durante questa fase, possono verificarsi eventi specifici. Se il ricercatore abbina l’immagine di sé che sta scappando (perché l’esperienza creata è di quel tipo), può sentire che, pur dandosi il comando di correre, non riesce a farlo, appunto perché il corpo, in quel momento, risulta essere molto appesantito. Ciò coinvolge simultaneamente l’Io-psyché, che ne risente, esperienza di cui hanno riferito molti ricercatori (volevo correre, fuggire, ma non ce la facevo, le gambe erano pesantissime).
Praticando le Autopoiesi olosgrafiche e la Concentrazione-transmutazione autopoietica sulle esperienze vissute durante la fase R.E.M., l’Io-psyché inizia a concentrarsi sulla fisiologia formante quelle esperienze: è come se incontrasse quella stessa immagine, esattamente nel punto interiore che sta dischiudendo e in cui riesce ad entrare e a penetrare lucidamente, sente il corpo pesantissimo e distante. Interiormente, accade che l’Io-psyché senta una possibilità di autonomia e di movimento che non ha mai avuto: lo stato ipnagogico autopoietico non locale o onda ∑igma. Il corpo non registra più alcuna sensazione, di massima l’onda delta diviene sempre più lunga, rallenta entrando nella fase ∑igma e l’Io-psyché entra nel campo coscienziale olistico-autopoietico, nell’autopoiesi, nella non località, luogo in cui diviene partecipatore dei principi attivi autopoietici che lo formano: si incontra la facoltà di autopoiesi continua, fenomeno che può trovare attuazione nel fatto che ciò che crea diviene psichicamente e coscienzialmente esistente.
L’Io-psyché scopre di essere un creatore.
Quando la persona si sveglia, per alcune decine di secondi, ha serie difficoltà a muoversi. Il fenomeno della pesantezza e dell’immobilizzazione-paralisi non dipendono dalle caratteristiche e/o contenuti del sogno, ma è semplicemente una funzione autopoietica del corpo, da cui si può iniziare ad esplorare.
La fase R.E.M. e il suo contenuto profondo, l’Autopoiesi olosgrafica non locale, sono le funzioni fondamentali che dobbiamo recuperare, come vissuto diretto.
Ognuno di noi, con un’aspettativa normale di vita, trovandosi nella fase R.E.M. per un periodo pari al 20% del tempo dedicato al sonno, vi trascorre almeno cinque anni dell’intera esistenza. È stato calcolato che può percepire fino a duecentomila esperienze e memorie registrate, di cui tuttavia non è consapevole, ricordandosene pochissime. Detto questo, è possibile affermare che proprio quelle immagini ed esperienze sono continuamente presenti e che nel Tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, a quel livello, sono continuamente operanti.
Se il sogno è realmente lucido e l’Io-psyché è autoconsapevole potrà applicare tutte le facoltà di critica in quella dimensione (elemento che va in remissione, quando il sogno non è lucido). La lucidità consapevole permette di riconoscersi sia nella propria facoltà di veglia che in quella onirica, senza rimanere identificati nella realtà univoca, caratteristica del sogno senza lucidità o della veglia senza sogno.
La mancanza di lucidità, di autoconsapevolezza è uno degli ostacolatori affrontati, elaborati durante la formazione. È tipica dello stato discraiotico maniacale, in cui l’Io-psyché si trova totalmente assorbito, identificato, senza possibilità di discernimento, di riconoscersi come essere semovente, capace, per atto volitivo, di disidentificarsi.
La lucidità, l’autoconsapevolezza delle diverse facoltà di veglia e di sogno determinano che le caratteristiche di alcuni specifici contenuti, quali il delirio, la discraiosi, l’allucinazione, non consentano una condizione, in cui l’Io-psyché si apra a quella parte di sé che coincide con i principi attivi che lo formano. Senza tale possibilità di apertura olistico-autopoietica alle diverse parti di sé, l’Io-psyché entrerebbe in forme identificative, di fissazione anche parossistica che, talvolta, ci ha indotti a coniare il termine follia.
Uno degli errori fondamentali è che il ciclo sonno-sogno-veglia è uno dei sistemi organici sincronizzati con il ciclo giorno-notte, conseguenza di un condizionamento.
La fase R.E.M. e l’Autopoiesi olosgrafica non locale coprono in media il 30% della fase N.R.E.M., ed è proprio quel 30% che dobbiamo ricordare, perché in quel range, si svolgono processi olistico-autopoietici da conoscere direttamente.
Il fatto che circa il 95% del contenuto della fase R.E.M., l’Autopoiesi olosgrafica non locale, non sia assolutamente ricordato dalla prevalenza delle autocoscienze (soprattutto in Occidente), è un segnale del guasto coscienziale che stiamo vivendo. Il non ricordare è dovuto essenzialmente all’identificazione dell’Io-psyché nei sensi, nel sistema nervoso percepibile, nel razionale acquisito, con rinforzi incredibili di questa identificazione, dovuta ai modelli convenzionali, culturali, sociali che abbiamo ideato e che sono conseguenza di questa frattura dell’autocoscienza dai principi attivi che la formano. Sono condizionamenti che stanno somatizzandosi e che stanno intaccando la struttura biologica. Anche per questo, emerge la necessità di una scienza dei sogni.
La superficialità sconvolgente di tale identificazione è che stiamo impedendo a noi stessi, all’Io-psyché, la percezione diretta delle componenti autopoietiche più significative, entusiasmanti e veicolanti gran parte dei significati profondi del vivere e del morire, come ogni Io-psyché, che vive consapevolmente l’Autopoiesi olosgrafica non locale, semplicemente sa.
La prima porta onirica
Al momento che indaga e penetra la dimensione del sonno-sogno, ogni Io-psyché può esplorare potenzialmente qualunque area, settore, memoria, esperienza, presente nella coscienza: infatti, ogni ricercatore, finora seguito, riferisce vissuti, diversi da quelli di altri.
In tanti anni di ricerca, non mi è mai capitato di ascoltare testimonianze che presentino somiglianze significative. Gli unici sogni, molto simili finora incontrati, sono quelli che l’Io-psyché fa ricorsivamente, sognando sempre la stessa cosa, ma, a ben partecipare-osservare, anche in questo caso i sogni presentano piccole differenze, anche se il contesto è simile.
Nel sogno, è possibile sovrapporre gli stati coscienziali prodotti e gli istinti-emozioni, coinvolgenti tutti i piani: è il processo che riduce il fatto, l’abitudine a produrre uno stato coscienziale per volta, tipico dello stato di veglia. Nel momento in cui l’Io-psyché produce gioia, difficilmente produrrà simultaneamente l’opposto, ma normalmente accade che, a causa dell’enantiodromia, progredirà verso lo stato opposto-complementare. Successivamente, entrambi gli stati coscienziali potranno sovrapporsi simultaneamente, divenendo un unico stato. Nel sonno-sogno, ciò accade ed è una delle motivazioni, per cui le visioni sono sempre qualitativamente e quantitativamente diverse, alterate, intense, abreagenti, intuitive, precognitive, retrocognitive, compensatorie (…). Oltre alla sovrapposizione degli stati coscienziali, sensibili e sovrasensibili, ciò è dovuto al fatto indicato prima: l’Io-psyché incontra memorie, esperienze registrate di qualunque tipo e natura e, sovrapponendole o dividendole, agisce, in funzione del proprio stato di autoconsapevolezza indagante.
Vivendo, ogni essere umano, veicolante l’Io-psyché, crea un numero molto elevato di pensieri, di stati coscienziali, di esperienze complessive. Al cosiddetto punto morte, il corpo fisico perde tensegrità e compattezza e si decompone, si ricicla in natura in specifici modi. Tutto l’insieme delle esperienze realizzate diviene un patrimonio della coscienza, ossia, nel Tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, quelle esperienze restano memorizzate e fruibili dall’Io-psyché, presente in ogni microstruttura e atomo. Voglio comunicare che la memorizzazione, la registrazione non è soltanto patrimonio del cervello e del sistema nervoso (che si è riciclato in natura), ma anche, e soprattutto, del corpo coscienziale complessivo: per questo motivo, al punto morte, l’Io-psyché si trova a disposizione di tutto il corpo esperienziale acquisito, individuabile nella quantità registrata del campo coscienziale.
Il primo punto fondamentale, per arrivare al sogno lucido, ossia ad essere perfettamente autoconsapevoli del momento in cui si sogna e si può interagire con esso, richiede una specifica organizzazione interiore. La capacità fondamentale consiste nel fatto, per cui le funzioni dell’autocoscienza, che agiscono durante la fase di veglia, operino allo stesso modo della dimensione sonno-sogno: quindi, la prima porta del sonno-sogno autopoietico, del sognare, è agire la dimensione percettivo-sensoriale autoconsapevole nella dimensione onirica.
L’attenzione e la volontà devono essere presenti e attive, durante lo sviluppo del sonno-sogno e, per farlo, è possibile proporre diverse Autopoiesi olosgrafiche. Tutte quelle, finora proposte, concorrono a ciò, in quanto permettono l’espansione dell’Io-psyché, soltanto nelle zone inconsce, che non conosce, di cui non è consapevole, che sono esattamente i luoghi in cui risiede il sonno-sogno.
Un consiglio. È bene ripetere l’autosuggerimento e le Autopoiesi abbinate, fino a quando non si è inequivocabilmente certi di essere svegli e lucidi, sia al momento del passaggio dalla veglia al sonno sia durante le fasi dei sogni.
Di solito, tale capacità di sogno lucido è una potenzialità latente, inconscia, dell’essere umano. Essere consapevoli è la base fondamentale per organizzarsi nella dimensione sonno-sogno. È una porta verso il sovrasensibile!
La base di questa prima porta, quindi, è
percepire direttamente e interiormente il momento in cui lo stato di veglia si
transmuta nello stato di sonno-sogno.
C’è una fase di trasmissione che è necessario partecipare-osservare nel dettaglio. La base è decidere di volere farlo e, non appena ci posizioniamo nel letto, concentrarci in questo: cominciare a creare la determinazione assoluta a farsi trovare svegli e vigili, quando sopraggiunge la dimensione di sonno-sogno.
È il primo passo, necessario ad esplorare la dimensione inconscia di sonno-sogno, scopo di questa prima porta autopoietica onirica. L’Io-psyché deve essere consapevole di stare per addormentarsi e deve farlo senza sforzo, abbandonandosi lucidamente a se stesso.
Sogno lucido significa autoconsapevolezza vissuta del sogno. Sottolineo che non attribuisco significati-significanti differenti, ossia non lascio intendere una valenza, per così dire, superiore al sogno lucido, contrapponendolo all’accezione che lo lega all’analisi psichica.
Per essere consapevoli e non fare dissolvere le immagini chiave che si formano, è necessario non interpretare o analizzare quanto si percepisce, non denominare: essere semplicemente presenti, consapevoli, per cui è necessario non trattenersi a lungo sull’immagine, esattamente come quando, sul piano sensibile, agiamo senza interruzioni, per poi zoommare meglio su un processo, attraverso operazioni specifiche.
La seconda porta onirica
La seconda porta autopoietica coincide con
la capacità specifica, volitiva, cosciente,
di scegliere e di poter spostarsi da un sogno all’altro,
ossia, non svegliarsi e ritrovare lo stato di veglia, ma cambiare situazione onirica a piacimento e volitivamente. Il cambio di dimensione o di sogno può avvenire, applicando i codici della Concentrazione-transmutazione autopoietica e soprattutto praticando specifiche Autopoiesi olosgrafiche.
L’applicazione della Concentrazione-transmutazione autopoietica, in particolare, permette questo cambio, partecipando-osservando senza analisi l’immagine e producendo lo stato coscienziale di essere assorbito da un’altra sequenza di immagini, creando ed entrando, così, in un altro sogno lucido. È necessario tenere presente, però, che l’Io-psyché è direzionato verso l’esplorazione del campo coscienziale olistico-autopoietico.
La Sigmasofia onirica forma il ricercatore a tale facoltà di cambiare senso, significato, piega a quello specifico sogno, interrompendolo senza svegliarsi.
Può accadere che, quando l’Io-psyché produce una situazione onirica e vi si identifica, restando in tale stato per un dato periodo, si determina un aumento d’intensità di campo (che può essere realizzata attraverso le Autopoiesi) della situazione onirica in essere, che può attirare altre costellazioni istintivo-emozionali, alcune anche molto arcaiche, appartenenti agli avi, ad esseri e situazioni antiche risonanti, simmetriche, che veicoliamo nell’inconscio. In questo attraversamento della seconda porta, è possibile spostarsi in quelle intensità, anche senza volerlo, ma è necessario farsi trovare pronti a quell’evenienza, inevitabile. Dobbiamo essere pronti ad utilizzare tutte le nostre conoscenze tecnologiche Io-somato-autopoietiche, appunto perché queste costellazioni hanno un forte potere di assorbire e di trattenere nelle proprie maglie l’Io-psyché. In questo caso, alcune danze autopoietiche, specifiche della Sigmasofia autopoietica marziale, risulteranno essere di vitale importanza, tra cui l’uso dello scettro Ypsilambd, dello scudo, delle Forme autopoietiche marziali, dello Stile unico, della Concentrazione-transmutazione olistico-autopoietica e dell’evento che si sta vivendo.
Quando incontra il sonno-sogno, l’Io-psyché deve organizzarsi in modo tale da non identificarsi con il contenuto onirico che vive: pur partecipandolo, si allena ad essere in uno stato di fusione e, allo stesso tempo, completamente disidentificato. Se questa doppia condizione non viene attuata, l’Io-psyché del ricercatore entra di nuovo nella naturale condizione di sonno-sogno che non ricorda.
È proprio l’essere in empatonia, in fusionalità e, allo stesso tempo, disidentificati, che farà comprendere all’Io-psyché la possibilità di poter decidere nel sonno-sogno che cosa fare, che cosa sognare, come muoversi, che cosa soddisfare, su che cosa meditare (…).
La terza porta onirica
L’Io-psyché del ricercatore raggiunge la terza porta, quando
entra e vive il sogno nella non località.
Questa particolare esperienza si manifesta, talvolta, anche quando i sensi sembrano essere posizionati sul soffitto e, guardando giù, si vede il proprio corpo addormentato (da verbalizzazione). La percezione è nitida, inequivocabile e, dopo un po’, si può aggiungere il vissuto di poter partecipare-osservare in tutte le direzioni, non soltanto verso il corpo fisico. È un inizio di vissuto della non località, in quanto si è espansi fino al soffitto e, quindi, si è superato il limite della cute, ma si è ancora troppo prossimi al corpo fisico, in cui di solito ci si riconosce. È la condizione, in cui l’Io-psyché del ricercatore deve applicare specifiche Autopoiesi olosgrafiche, per poter proseguire oltre il soffitto (o luogo in cui si riconosce, qualunque sia). Di solito, è il soffitto, perché l’Io-psyché spesso ancora veicola i condizionamenti di quando operava nel corpo e si riconosceva in quel luogo. Infatti, il corpo fisico non può oltrepassare i muri, ma, in questa situazione onirica, è l’Io-psyché che si riconosce come campo espanso: continuando a proiettare l’identificazione che il corpo non è un passa-materia, si blocca, s’incastra, perché egli stesso proietta di non poter passare, ma lì, in quello stato, è soltanto campo coscienziale (il corpo è nel letto) e, quindi, potrebbe attraversare l’ostacolo. Quando ciò accade, è necessario darsi l’autosuggerimento che è possibile passare realmente, perché ci si sta riconoscendo come campo che opera all’essenza di ogni atomo, sia pur veicolante contenuti acquisiti, e quindi l’operazione riesce.
L’attraversamento di questa porta significa presa di consapevolezza del campo unico che è la coscienza.
L’Io-psyché inizia a rendersi conto che, di fatto, è un campo presente in ogni luogo e tale vissuto inizia a porre in remissione le identificazioni, ovvero il contenuto di provenienza che ci induceva a credere che l’Io-psyché fosse soltanto un processo, una proprietà emergente, localistica, prodotta dal cervello e dal sistema nervoso e che poteva essere presente, soltanto in quella struttura antropomorfa.
Un primo orientamento, per i ricercatori che seguono da anni, è quello di evocare il ricordo delle esperienze, istintivamente, emozionalmente ed autopoieticamente condivise, perché quella evocazione e il ri-sentire le intensità sono dei facilitatori all’ingresso nella non località.
Il fatto che, durante gli interventi formativi, si vivano con continuità esperienze tendenti verso quello stato e il fatto che io le insegni e le veicoli consapevolmente cambia lo stato coscienziale del ricercatore, se io sono presente: assume necessariamente la consapevolezza dell’intenzionalità a formarsi a se stesso e ciò pone in remissione i propri stati identificativi quotidiani. Quindi, evocando tali esperienze durante il sogno, il campo che veicolo può essere immediatamente fruibile, contribuendo, anche in questo caso, a porre in remissione lo stato identificativo.
L’altra indicazione consiste nell’iniziare a concentrarsi e a partecipare tali esperienze intense, condivise (anche le proprie). Dalle sensazioni ottenute, è possibile valutare come queste abbiano effetto sullo stato di consapevolezza dell’Io-psyché e se, in qualche modo, possano orientarlo verso l’esplorazione, l’espansione, il movimento.
È possibile iniziare il tour delle esperienze condivise ed è sorprendente partecipare-osservare come queste siano correlate ad altre (anche non condivise), ma simmetriche, risonanti.
Accorgersi che l’Io-psyché può decodificarle, esattamente come è possibile farlo durante la formazione, o come quando lo abbiamo fatto nel quotidiano, è un altro iniziale segnale di riconoscimento.
Ogni esperienza e relativa emozione è un’intenzionalità, un principio attivo che possiamo vivere come correlato ad altri contenuti, anche arcaici.
Dall’intensità e dalle caratteristiche dell’esperienza-memoria incontrata, ci si renderà conto se questa ha il potere o meno di modificare l’autoconsapevolezza e, quindi, anche quella relativa alla non località. Ci si accorgerà che il criterio di decodificazione da parte dell’Io-psyché è profondamente diverso da quando si trova identificato nella località, nella vita, nelle attività quotidiane. Il livello di insight intuitivo, la percezione di sincronicità di esperienze e di stati di coscienza è maggiore, tanto da indurre nuove riflessioni nello stato di autoconsapevolezza ordinario, quotidiano, di molti.
Il Maieuta privilegia la trasmissione di peculiari vissuti in momenti in cui l’Io-psyché non è identificato nel quotidiano convenzionale, ma si trova in uno stato disidentificato, modificato, particolare, in quanto sa che quell’insegnamento, collegato ad un momento di differenziazione identificativa, ha più possibilità di essere recepito, ricordato. Poi, stimolando l’Io-psyché, tale azione induce il ricercatore a maggior autoconsapevolezza durante il sonno-sogno, o contribuisce semplicemente a mutare le caratteristiche dei sogni che normalmente tende a fare.
Tutte le operazioni indicate saranno riconosciute più profondamente, quando l’esperienza evocata avrà avuto caratteristiche di non località.
Lo srotolare la propria Tavola olistico-autopoietica, che racchiude tutte le esperienze realizzate e le persone incontrate, significa ripassare l’archetipo funzione Ypsi veicolato, di cui il ricercatore è consapevole in quel momento. Per altri, è possibile srotolare le azioni, le esperienze quotidiane, una per una, persona per persona, situazione per situazione, per estrapolarne informazioni ed insegnamenti. Ciò è utile ad avere il quadro generale, e non spezzettato, dei propri significati-significanti: è più funzionale di quando agiamo frammentati, scissi, vivendo, evocando uno stato coscienziale per volta.
L’esperienza, la visione d’insieme formano intenzionalità, funzione Ypsi più potenti, possibili nei vissuti di non località di questa fase.
Il ricercatore sa che lo srotolamento della propria Tavola autopoietica non è soltanto analisi, decodificazione, ma vissuto dei principi attivi auto poietici, formanti gli stati coscienziali che gli hanno consentito di vivere quella determinata esperienza.
Durante il sogno lucido, in cui l’Io-psyché riesce ad individuarsi nella propria consapevolezza di non località, è necessario fare dei tests di verifica. Si partecipano-osservano i dettagli della stanza in cui siamo, cercando di riconoscere che tutto quello che c’è è sensorialmente reale, per cui non devono esserci sovrapposizioni immaginate, visualizzate: così nella percezione sensibile, locale, così nella percezione sovrasensibile, non locale. La presenza, il riconoscimento di elementi differenti da quelli normalmente percepiti nello stato di veglia, sensorialmente, indicherebbe che quello è soltanto un sogno e non uno stato di autoconsapevolezza, durante il sonno-sogno. Se sento di essere certo della presenza di una bambola sul letto, con continuità e vicino al corpo che dorme, e poi, nello stato di veglia, mi accorgo, mi rendo conto che questa non c’è mai stata, è chiaro che mi trovo di fronte ad una visione onirica. La distonia tra oggetti fisici, realmente presenti, ed oggetti prodotti dall’Io-psyché deve essere netta, perfettamente riconoscibile. Tale stato di consapevolezza è un ulteriore dato per esplorare, per riconoscersi in maniera più ampia, come enti non locali.
Ovviamente, non ci si trova negli stati coscienziali in cui normalmente ci riconosciamo: quindi, per poter espandere l’Io-psyché, non devono utilizzarsi gli stessi metodi che usiamo sensorialmente, durante lo stato di veglia. Quando ci riconosciamo come ente antropomorfo e sensorialmente, è logico che per muoverci è necessario camminare e impartire specifici ordini di deambulazione. Ma, quando ci si percepisce non localmente, ovvero come ente Io-psyché, che veicola tutte le facoltà coscienziali e che è anche campo energetico innato, non si hanno gambe e, quindi, è impossibile che, impartendo l’ordine di camminare si cammini, emerge l’esplorazione.
Inizialmente, potremmo aver compreso che il mantenimento del condizionamento dell’Io-psyché di riconoscersi come ente antropomorfo permanga, in quanto, per lunghi anni, si è riconosciuto e vissuto in quella morfologia, ma questo non significa che, di fatto, sia sostanzialmente un campo non locale. L’ordine da impartire è semplicemente quello di utilizzare l’Io-psyché e le sue facoltà, per evocare, pensare, visualizzare un luogo, un volto amico. Faccio un esempio. Se, durante lo stato di veglia, siete fuori casa, mentalmente potete evocare la vostra casa, visualizzarne le stanze, le persone che vi abitano e potete vederle lì, all’interno della vostra coscienza. Ebbene, per espandersi, per spostarsi, è necessario fare la stessa cosa. Nel mondo onirico della non località, pensare, visualizzare, evocare è, nell’immediato, espandersi a quella consapevolezza, a quell’evento. Ora, avendo sperimentato le Autopoiesi olosgrafiche, è di naturale conseguenza evocare situazioni di vita quotidiana, sensibili: il ricercatore può praticare mentalmente una Forma e quindi espandersi nei principi attivi autopoietici, formanti quello stato coscienziale, ossia tentare di raggiungere, di evocare gli archetipi autopoietici, di partecipare il campo coscienziale olistico-autopoietico. Una volta agito quanto indicato, l’esperienza riconosciuta indicherà quali sono le sensazioni, i segnali che l’Io-soma-autopoiesi produce in quello stato, e questo faciliterà il loro riconoscerli nell’esperienza successiva di partecipazione non locale.
È già un modo di vedere il campo coscienziale, l’autopoiesi. Innescato il processo, le Autopoiesi olosgrafiche praticate guideranno irresistibilmente verso la partecipazione consapevole dei principi attivi di nuove regioni dell’inconscio autopoietico, nella condizione di sogno, in cui si potrà riconoscere l’archetipo ∑igma. Si entra nell’autocreazione.
La terza porta comprende anche lasciarsi andare al campo: si ha la sensazione di gonfiarsi, di espandersi all’interno di un essere transfinito.
È un vissuto particolare che va preparato: non appena ci si rende conto di ciò, s’inizia a vivere il suono-silenzio e la calma olistico-autopoietici.
Nel momento del passaggio tra la veglia e il sonno-sogno, non ci si orienta verso il contenuto, le memorie oniriche, ma verso il campo coscienziale, in cui queste immagini muovono.
Di fatto, l’Io-psyché può decidere quale parte di sé esplorare e dove dirigersi, o verso l’acquisito o verso l’innato, ma sempre nella consapevolezza che sono parti dell’Universi.
Per poter realizzare una simile esperienza, è necessario formarsi a se stessi, praticando le tecno-ontos-sophos-logie Sigmasofiche, specifiche per il sonno-sogno.