L’attenzione è l’attività dell’Io-psyché che applica tutti i propri strumenti operativi su un tema, su un oggetto, su un qualunque stato coscienziale producibile.
Dal latino attendere, composto dalla particella ad, che significa a, e dal verbo tendere che significa distendersi e, traslato, volgere a un termine, inclinare, mirare, aspirare.
Per esercitare una tale azione, l’Io-psyché deve usare intere aree del corpo che lo veicola, come il talamo, il sistema limbico del cervello. In particolare, durante l’attenzione, deve stimolare la funzionalità del sistema reticolare, per inibire tutti gli altri stimoli che, in quel momento, non interessano. L’attenzione è attivazione della corteccia cerebrale che emette onde, ritmi ad alta frequenza. Nella forma che denomino del lucido abbandono, è necessario innescare, simultaneamente, durante l’attenzione, anche i ritmi rilassanti, meditativi, alfa e theta.
Di fronte ad un evento, ad una situazione, per esempio di pericolo dell’Universi-parte, l’Io-psyché tende a reagire prontamente e a far nascere lo stato di attenzione, che progressivamente, può essere sempre più intenso (in caso di aumento del pericolo). Accade che si rivolga al luogo dell’Universi-parte da cui nasce il segnale, ne decodifichi il significato-significante e si identifichi in esso, non avendo, così, la consapevolezza del processo funzionale di attenzione.
È facile notare come l’intensità dell’attenzione tenda a defluire dopo che l’Io-psyché, elaborato il significato-significante, lo riconosce come innocuo, poco interessante o altro, anche in caso ci sia continuità nell’intensità dell’evento osservato. L’abitudine a esaurire i significati-significanti riduce lo stato di attenzione.
L’attenzione è uno degli strumenti che utilizza l’Io-psyché del ricercatore mentre si forma, la utilizza in tutte le situazioni, in particolare, durante le Concentrazioni-transmutazioni autopoietiche. La formazione consiste anche nel fatto di non inibire la consapevolezza del movimento spontaneo, autopoietico, durante l’attenzione e a non ricondurla ai significati-significanti, ma al processo funzionale.
Gli stati di coscienza, eventualmente prodotti al momento in cui decidiamo di applicare l’attenzione (che, come vedremo, lo stato di fusionalità può aiutare ad esprimerne la facoltà) su un tema, devono necessariamente essere utilizzati a sostegno dell’attenzione stessa, perché se così non fosse, diverrebbero forze distraenti.
Nell’attenzione, c’è attività selezionata, sostenuta da tutti i potenziali attivi (su cui, non ci si concentra), spogliata dei loro significati-significanti.
I diversi livelli di intensità di attenzione sono determinati dall’Io-psyché, ossia dalla consapevolezza dello stato di fusionalità, di partecipazione contemplatrice con l’Universi-parte, con la capacità di autori-conoscimento, legata al non proiettare, al non traslare (…). É tale capacità, da allenare, che permetterà di sentire il silenzio della natura, dietro al caos del traffico, l’urlo di pianto del bambino, dietro la conversazione, che si sta tenendo.
È necessario rendere l’attenzione volontaria, profondamente rilassata e immersa in uno stato fusionale. L’attenzione selettiva è sostenuta anche dai campi di forza, utilizzati nell’attenzione diffusa, ampia. Il meccanismo dell’associazione libera, della produzione di significati-significanti, deve essere ridotto fino all’eliminazione.
Essere attenti significa prendere consapevolezza del tema, su cui si investe l’attenzione.
I disturbi collegati sono sempre legati all’incapacità dell’Io-psyché di vivere la propria caratteristica autopoietica della fusionalità (come unico corpo).
La distrazione è la riduzione dell’integrazione dei campi di forza, di altri segnali dell’Universi-parte, sostituita con l’integrazione dei significati-significanti di quei segnali, alcuni con potere come le intensità emozionali. In questo senso, la distrazione segnala che il lavoro da fare su di sé coincide con l’intensità e i significati dell’elemento distraente, da risalire e da transmutare.
In alcuni ricercatori, ho potuto partecipare-osservare l’incapacità quasi totale a mantenere l’attenzione, soprattutto in quelli che non hanno mai elaborato, risalito i propri stati coscienziali, di cui molti sono stati, istintivamente ed emozionalmente coinvolgenti, spesso vissuti e interpretati come negativi.
Il Maieuta e il Docente devono necessariamente aver sviluppato la facoltà di attenzione-concentrazione su uno stato di fusionalità, perché, nel momento dell’ascolto di se stessi e dell’altro, senza proiezione o associazione alcuna, tale attitudine allontana l’acquisito personale e le proprie eventuali inclinazioni, facendo in modo di avere davanti a sé l’informazione pura, trasmettendo simultaneamente all’interlocutore lo stato di attenzione autopoietica.
La riflessione può essere spiegata nei termini dell’autoconsapevolezza che l’Io-psyché ha di se stesso.
Riflettere significa indagare le specifiche modalità, attraverso cui l’Io-psyché esprime la capacità di conoscere, ossia di utilizzare le facoltà e gli stati coscienziali che produce. In taluni casi, la riflessione avviene attraverso il confronto, la comparazione tra più stati coscienziali. È, quindi, una pulsione dell’Io-psyché che si evidenzia, quando trasforma un’attività endo-Io-somato-autopoietica in stato di coscienza e relativo significato-significante, processi naturali autopoietici, diventati contenuti della coscienza.
La riflessione autopoietica consiste nella transmutazione di un processo innato e istintivo emozionale in una successione di stati coscienziali e di significati-significanti che li esprimono.
Se si mantiene simmetria, si evidenzia il fatto, per cui l’Io-psyché sperimenta che la propria civiltà è il vissuto diretto e la descrizione coscienziale dell’inconscio olistico-autopoietico integrato a quello acquisito, riconoscendoli come funzionamento simultaneo.